Attuale e preoccupante come l’inflazione, ma meno evidente per l’opinione pubblica, la dipendenza da “minerali critici” altrui è un problema che avvicina USA e UE. Potrebbe essere l’ennesimo terreno di collaborazione tra i due, anche per garantire un futuro più sicuro e sostenibile ai settori maggiormente coinvolti, automotive in primis. A parlarne concretamente, sono stati i rappresentanti di Francia e Germania, incontrando qualche giorno fa i principali funzionari statunitensi a Washington. L’Inflation Reduction Act e le preoccupazioni per la penalizzazione delle aziende europee, erano al centro del confronto. La proposta sulle terre rare ha comunque trovato spazio, rivelandosi una concreta opportunità, strategica e lungimirante. Settoriale? Un po’ sì, ma forse per questo più attuabile a breve.
Nazionalizzarsi od “Occidentalizzarsi”
L’idea abbozzata durante l’incontro è quella di creare uno status di libero scambio de facto per tutti i “minerali critici”. Un accordo ufficiale, dedicato solo e soltanto a quelli necessari per i veicoli elettrici e altre preziose tecnologie, emergenti e non.
È vero che, oggi, tutti guardano a nazionalizzare (o regionalizzare) le supply chain. In Occidente, però, ancora più urgente risulta trovare il modo di ridurre la dipendenza dalla Cina, fornitore chiave di minerali come il litio, il cobalto, il nichel e la grafite, utilizzati nelle industrie high-tech. USA e UE stanno valutando quanto possa convenire fare squadra, nonostante le pressioni interne per proteggere ciascuna le proprie catene di approvvigionamento.
Dialoghi in corso anche su un altro tema delicato, su cui la linea protezionistica di entrambe potrebbe ammorbidirsi: le tecnologie verdi. L’UE vorrebbe che le proprie aziende che ne sviluppano, possano godere di una sorta di “equivalenza normativa” con i produttori statunitensi. Una “concessione speciale”, limitata solo a tale ambito, ma che permetterebbe a molti prodotti europei di beneficiare di crediti d’imposta e sussidi, come fossero made in USA.
L’European Critical Raw Material Act in bozza
Il futuro di questo “club dei minerali critici” è ancora incerto: mancano documenti ufficiali e, prima ancora, un accordo condiviso. Gli USA sono combattuti dall’istinto di chiudersi nel proprio fortino e la tentazione di tagliar fuori una volta per tutte la Cina, facendo squadra con l’UE. L’Europa spinge con tutta sé stessa per un accordo dignitoso e robusto, ben consapevole che la propria domanda di terre rare aumenterà di cinque volte entro il 2030. Ursula Von der Leyen, la presidente della Commissione Europea, lo ha ricordato di recente, paventando il rischio di diventare nuovamente dipendenti, come abbiamo fatto con il petrolio e il gas.
Una preoccupazione che non nasce con questo “club dei minerali critici”. L’Unione Europea, infatti, restando nei suoi confini, già aveva tentato di arrangiarsi da sola, con un “European Critical Raw Material Act” tuttora da approvare. Un intervento non certo potente quanto il possibile accordo con gli USA, ma un passo avanti verso l’autonomia che, completa, non sarà mai. Ci potremmo dire soddisfatti, per esempio, se almeno il 30% della domanda di litio raffinato dell’UE provenisse dall’UE entro il 2030.
La versione definitiva dell’European Critical Raw Material Act sarebbe attesa fra qualche mese. Le circostanze potrebbero influenzarne il contenuto, ma la proposta originaria sarebbe la creazione di una rete europea di agenzie per le materie prime e di misure che supportino un percorso verso una sovranità “minerale”.
Nella prima bozza emergono con chiarezza i quattro principali pilastri: “focus, anticipate, strengthen e preserve”. Si partirebbe, quindi, definendo in modo più efficace quali sono le materie prime “critiche” per l’UE, per poi unire in un network le varie agenzie europee competenti, per coordinare i singoli Stati Membri. Per rafforzare la filiera produttiva interna, potrebbe essere addirittura istituito anche un nuovo fondo sovrano, ma il nucleo strategico dell’Act è nel quarto pillar.
Il “Preserve”, infatti, implica un’azione sul piano normativo, che richiama e interseca la più recente idea del “club” con gli USA. Ciò che l’UE aveva pensato, era un intervento per far aumentare la competitività sul piano internazionale, da applicare anche nei rapporti con i paesi terzi fornitori. Ora, questo quarto pilastro potrebbe trasformarsi in un ponte con gli Stati Uniti, regalando alle aziende europee più virtuose delle opportunità di mercato introvabili su suolo europeo.