In attesa di riuscire a digitalizzare il sesto senso, la tecnologia sta integrando gli altri per rendere la realtà virtuale sempre più immersiva. Tutti e cinque andrebbero ad arricchire l’esperienza dell’utente, rendendola “surrealmente reale”, soprattutto pensando a quella asettica comunemente proposta ancora oggi al grande pubblico. Alcuni, però, a partire dal tatto, hanno la priorità su altri perché in grado di portare numerosi vantaggi in diversi settori. Non si tratta quindi solo di rendere la realtà virtuale “più realistica”, ma di abilitare nuove opportunità che possono rendere competitive e agili le aziende. Partendo dal manufacturing, si possono immaginare vantaggi in svariati settori, dalla medicina all’e-commerce, dal turismo alle utilities, fino ad arrivare al lifescience.
Gettare il guanto oltre l’ostacolo
Il tatto, quindi, innanzitutto. Ed è il senso di cui si è occupata una start-up italiana, nata in grembo all’Università di Siena, nel suo laboratorio di robotica e automazione.
Weart, così si chiama, ha saputo creare Touch Diver, un guanto tattile indossabile che traccia i movimenti della mano dell’utente e applica forze, trame e segnali termici. I suoi tre founder, Guido Gioioso, Giovanni Spagnoletti ed il prof. Domenico Prattichizzo hanno iniziato in laboratorio a lavorare “sugli antenati dei device indossabili”. “Le interfacce aptiche esistono dagli anni settanta, ma sono rimasti sempre confinate nei centri di ricerca perché ingombranti e costosi. Noi, a Siena, abbiamo avuto l’intuizione di renderle indossabili e accessibili a un vasto pubblico. Per arrivare a un go to market efficace, nel 2018 abbiamo creato la società Weart insieme a e-Novia, una fabbrica di imprese innovative, e oggi facciamo parte del Gruppo industriale creato da e-Novia per portare sul mercato internazionale prodotti di robotica veicolare e indossabile” spiega Gioioso. Poi entra nel merito del “prodotto” che ha tra le mani, spiegandone funzionamento e applicazioni attuali e potenziali. Il suo guanto si presenta come una combinazione di attuatori che applicano forze vibrazioni e moduli termici. Il tutto è governato da degli algoritmi di controllo che trasformano gli stessi attuatori in uno strumento in grado di digitalizzare il tatto.
Il tatto allunga la mano sul B2C
Dal punto di vista tecnologico, la parte più difficile è stata dotare il dispositivo della dote della “indossabilità”. “Abbiamo lavorato molto sulla digital experience, per ottenere un device facile da indossare, poco invasivo e che si calibrasse in poco tempo, sempre mantenendo alta la qualità del feedback aptico” racconta Gioioso. Una sfida complessa che ha permesso a questo guanto di penetrare in alcuni settori promettenti. I primi forti interessi sono arrivati da chi si occupa del training industriale legato al virtual prototyping. Con Touch Diver diventa infatti possibile fare il design dei prodotti in digitale e valutarne l’ergonomia prima di creare il mockup. Ciò significa far slittare la sua produzione “in avanti”, rendendolo l’ultimo step di un processo in cui l’uso di tempo, risorse e materiali deve essere costantemente ottimizzato. Applicando questa tecnologia in ambiente manifatturiero, si ha una sorta di circolo virtuoso tecnologico: “lo stesso guanto permette di usufruire di dispositivi o prodotti che sono stati creati utilizzandolo. È una sorta di ‘restituzione’ che innalza il livello di innovazione e di efficienza della product chain” sottolinea Gioioso. Sempre in ambito manifatturiero, il suo device diventa utile anche per chi lavora a distanza. Rende possibile lavorare su un prodotto da diverse località, con un’esperienza di condivisione aumentata dal tatto. Con questo upgrade si riesce a testarne l’ergonomia agilmente e prematuramente. Secondo Gian Paolo Bassi, Executive VP di 3DEXPERIENCE Works di Dassault Systèmes, azienda che ha tecnologicamente supportato Weart e il suo prodotto, il futuro dei sensori aptici arriva ben oltre i virtual twin. “Nel B2C, le applicazioni in campo reale sono ancora più promettenti. Si pensi già ora alle vibrazioni di uno smartphone o del volante di una smartcar. Lo sviluppo commerciale più rilevante sarà in questo campo, piuttosto che nella parte più progettuale o training. Nel mondo consumer può diventare un vero e proprio fenomeno scalabile”. I settori più pronti a far leva sul tatto per evolvere, nel B2C, sono l’e-commerce, il marketing e l’entertainment, per esempio, con applicazioni sempre più indossabili e immersive. Bassi spiega che “Siamo entrati in una nuova era della computazione. Dopo il passaggio dal laptop ai device tascabili, ora si lavora per un futuro ‘indossabile’, senza né mouse né tastiera. L’utente interagirà con dispositivi trasparenti e leggeri, visualizzando contenuti 3D che coinvolgeranno tutto il corpo. Proprio il tatto sarà una parte fondamentale di ogni esperienza, di acquisto o lavorativa, di comunicazione oppure di entertainment.
VR aumentata & lifescience: il futuro più augurabile
Sembrano scenari futuristici sull’orlo del genere distopico, ma nulla a confronto con ciò che si può immaginare accadrà fra una manciata di anni. “Le sensazioni tattili potrebbero essere trasmesse addirittura attraverso laser e il concetto di haptic evolverebbe oltre la fisicità dell’oggetto stesso. Smartphone e smart car potrebbero usarlo per coinvolgere l’utente nella fase decisionale, o per comunicare eventi in modo non tradizionale” ci fa immaginare Bassi. Già oggi non solo gli oggetti possono trasmettere sensazioni all’uomo, ma anche il corpo umano le riesce a imprimere agli oggetti. Un domani questa simmetria potrà evolvere verso l’idea di robot, industriali o per la mobilità domestica, in grado di reagire alle onde cerebrali o al moto dell’occhio.
Questa biunivocità tattile è e sarà sempre più utile nel campo delle teleoperazioni, sia che l’ambiente remoto sia “spaziale” o terrestre. “È possibile controllare un sistema lontano, sfruttando anche il tatto. I device ricevono come input un movimento dell’utente e ne capiscono l’intenzione, trasferendola a un robot che compie una specifica operazione, dando un feedback tattile all’utente” spiega Gioioso.
Questo stesso meccanismo, già realtà, può essere sfruttato nel settore Lifescience. Questa visione rappresenta il futuro augurabile, secondo Bassi. “Permetterà di superare difetti e handicap, per esempio, o di migliorare la medicina in modo personalizzato, anche operando a distanza. E il training dei futuri chirurghi potrebbe essere svolto a distanza, con robot in grado di far percepire loro i tessuti su cui vanno ad agire. Sarebbe una vera e propria svolta verso una democratizzazione della medicina. Con un training più immersivo e più economico, rispetto a quello tradizionale con i cadaveri, diventerebbe possibile formare giovani in tutto il mondo, anche nei Paesi in via di sviluppo, garantendo alta qualità ed efficacia”.