Web 2.0: tecnologie e prospettive della nuova Internet

Dalla piattaforma di solo accesso del primo web alla piattaforma partecipativa di web 2.0: quali le novità? e le discontinuità? Ma, soprattutto, quali le basi tecnologiche e le prospettive in ambito business?

Pubblicato il 20 Mar 2007

È Tim O’Reilly, Ceo di O’Reilly Media, che ha coniato il termi­ne Web 2.0 in una conferenza del 2004 e sono già alla 3° edizione i suoi “Web 2.0 Summit”. E nel diluvio di opinioni, battibecchi, pub­blicità e ricerche serie che si ottiene digitando “Web 2.0” su Google c’è più che da smarrirsi: oltre 684 milioni di occorrenze!
Si naviga tra estremi opposti, imbattendosi in un caleidoscopio di opinionisti, che vanno dai visionari entusiasti ai realisti disincan­tati e un po’ cinici, come Nick Carr (sì, quello dell’It doesn’t matter).
Kevin Kelly (We are the Web, www.wired.com/wired/archive/13.08/tech.html ) è il più lirico, aedo di “un tempo, unico nella storia di ogni pianeta, in cui nasce il sistema operativo di un megacomputer che copre tutti i servizi, tutte le periferiche affiliate in Rete, dagli scanner ai satelliti, e coinvolge i miliardi di menti dei suoi abitanti…. Con Web 2.0 è nata, in forma primitiva, una Macchina gargantuana che in una decade evolverà in un’estensione integrale non solo dei nostri sensi, ma delle nostre menti”.
Gli si contrappone ferocemente appunto Nick Carr che respinge questa percezione “New New Age, quasi religiosa” del Web, perché fa accettare acriticamente come “buoni” tutti i potenziali benefici senza vigilare sui “lati oscuri” dalla partecipazione al collettivismo, dalle comunità virtuali al trionfo dell’amatorialità, di cui cita esempi, a volte effettivamente probanti, in Wikipedia. E nel suo blog, www.roughtype.com/archives/2005/10/the_amorality_o.php, parla invece di totale “Amoralità del Web 2.0: non c’è alcuna Macchina in gesta­zione, ma un insieme di tecnologie che alterano le forme e l’econo­mia della produzione e del consumo”.
Già, ma scusate se è poco. Le tesi minimalista e massimalista si accordano su un minimo comun denominatore che riconosce nel­l’avvento della piattaforma 2.0 una discontinuità da un Web di livel­lo “accesso” a uno di livello partecipativo, che altera (si discuterà se influenza o sconvolge) l’equilibrio tra business e consumatore. E ac­cettano addirittura l’imporsi in prospettiva della cultura online come cultura tout court: “data la facilità di creazione e di disseminazione, la cultura online diventa ‘la’ cultura” pontifica Kelly; Carr ribatte a denti stretti, ma il suo è solo un difensivo “spero si sbagli, ma temo che finirà con l’aver ragione sul lungo periodo”.

La discontinuità web 2.0, i fatti e le fonti
Ma il confronto è di opinioni sul trend, non è sulla piattaforma Web 2.0, indubbiamente ormai una realtà matura, sia pure nel con­testo del perpetuo “beta” dell’oceano Internet.
Nessuna fonte mette in discussionje il fatto che siamo di fronte a una discontinuità fra piattaforma “di solo accesso” del primo Web e nuova piattaforma partecipativa Web 2.0 (e occorre aggiungere: programmabile, componibile, con ricca interfaccia utente, decentra­lizzata, capace di relazione globale di contenuti, network-centrica, estendibile a logiche Soa). proviamoci a esplorarla: seguendo tre fi­loni, tecnologico, partecipativo – sociologico e di impatto al busi­ness, come propone Gartner; vedendo il punto di vista dell’esperien­za dell’utente business con forrester (forse un briciolo più conservatore, nel condizionare i benefici materializzabili per il busi­ness con Web 2.0 a una disciplina di sviluppo); e integrandola con Wikipedia, che non troviamo affatto “amatoriale”, almeno nello spe­cifico Web 2.0, ce lo consenta l’illustre Nick Carr.

Il polo tecnologico: i “principi” web 2.0
Avrebbe una sua logica proporre un percorso bottom-up, in cui familiarizzarsi prima con funzionalità e nuovi principi architetturali (e un po’ di acronimi relativi) ormai maturi nei Web di livello 2.0, per poter poi meglio esplorarne gli impatti sui modelli di business, di relazione in Rete fra consumatori (sempre più “comunità” di con­sumatori), business, e le risonanze sui mutui equilibri. Ma dopotutto è preferibile proporre prima un quadro d’insieme tecnologico, par­tecipativo e di business, che comprima, anche drasticamente, il filo­ne tecnologico in (almeno) sette “principi” ormai consolidati (fonti Gartner e Wikipedia) – e per ciascuno dei quali forniremo un livel­lo di approfondimento in un prossimo articolo.
Ci limitiamo dunque in questa sede a riportare una definizione sotto il profilo tecnologico di Web 2.0 (fonte Wikipedia) e ad artico­lare questi “principi” di indiscussa discontinuità rispetto al primo Web di solo accesso informativo. La definizione: “con Web 2.0 ci si riferisce alla transizione dei siti Web da silos informativi isolati, a sor­genti di contenuto e funzionalità, capaci di fungere in tal modo da piattaforma elaborativa al servizio delle applicazioni Web per l’uten­te finale”. Ed ecco i “principi di discontinuità”:
– l’affermarsi di una Web oriented Architecture (Woa), sorella minore della Soa (Service oriented architecture);
– la sindacabilità dei contenuti;
– la componibilità Web-centrica (Mashability) dei contenuti sulla base di un nuovo paradigma di interoperabilità fra Web (il Re­presentational State Trasfer o Rest);
– la capacità di applicazioni “ricche” in Internet (Reach Inter­net Applications – Ria), che finora era confinata all’architettura client-server pre-browser;
– l’affermarsi di capacità sia pure solo “pragmaticamente” se­mantiche nel Web, sulla base Microformati e “folksonomie” (catego­rizzazioni collaborative di informazioni mediante l’utilizzo di parole chiave scelte liberamente);
– un disegno delle applicazioni Web data driven, con grande valore di flessibilità;
– la capacità di costruire applicazioni su esempi (build by example).
Solo sul quarto principio di discontinuità, le Ria, ha senso anti­cipare in questa sede l’analisi Forrester sulla loro usabilità, proprio perché condotta a un livello che prescinde dalla tecnologia: in una recente ricerca (dal titolo “from Rich Internet Applications To Rich User Experiences” scaricabile dal sito www.zerounoweb.it), forre­ster sottolinea alle aziende che creare con Ajax o flash (due tecno­logie per le Ria) un’Applicazione Internet Ricca, di per sé non rende Ricca l’esperienza Utente: serve a rinforzo di un processo disciplina­to per capire e indirizzare i bisogni reali (dal business case, al dise­gno di scenario, alla validazione dell’uso). E interfacce non standard o tentazioni di inserti pubblicitari a spese dell’esperienza utente pos­sono creare catastrofi. Con queste riserve, forrester riconosce alle Ria indubbio valore nella ricerca del sacro graal della differenziazio­ne Basata sull’Esperienza (si veda a su questo tema il secondo arti­colo della storia di copertina di questo numero), citando casi di suc­cesso: nell’acquisto di gemme, Blue Nile (www.bluenile.com) consente al compratore un agevole sort con immediata visualizza­zione, secondo i criteri per lui più importanti, in altrimenti ostici da­tabase parametrici; il sito www.miniusa.com offre in qualsiasi ordine la scelta, per esempio, di colore, tappezzeria, stile delle ruote, tra­missione per l’acquisto di una Mini Cooper, ricreandola ogni volta sullo schermo del pc: “dentro” c’è flash (di nuovo una tecnologia per Ria) che aggiorna la pagina direttamente nel browser.

Il polo partecipativo: libertà e nuovo equilibrio fornitore-consumatore
Gli effetti partecipativi, collaborativi e sociali di Web 2.0 riman­dano a quel “Nuovo potere dei consumatori” cui ZeroUno dedicava già una storia di copertina nel novembre del 2005, quando il sotto­stante motore tecnologico era ancora in rodaggio. per Wikipedia, Web 2.0 abilita “un approccio a creare e distribuire contenuto del Web, con comunicazione aperta, autorizzazione decentrata, libera condivisione e riuso; il tutto per un “mercato visto come conversa­zione”, a due vie. Gartner parla di etica della partecipazione, e non esita a trasferire al contesto Web 2.0 le quattro libertà proclamate per il software da Richard Stallman, profeta di Free Software Founda­tion e Gnu, in www.gnu.org/philosophy/free-sw.html: libertà di usare, studiare, copiare e migliorare. E trarre profitto, Gartner ag­giunge, illustrando la trasposizione con “l’albero della vita celtico” (vedi figura 1).

Il nuovo equilibrio fornitore-consumatore – fonte: Gartner

Web 2.0 abilita una circuitazione virtuosa (e aperta a sfera, cioè con connessioni illimitate) dal fornitore al consumatore di prodotti o servizi, e di ritorni (in termini di contenuti e di intelligenza distil­lata). Su questi scambi si fondano i nuovi equilibri fra business e consumo, tanto più innovativi quanto più aperti, liberi e paritetici. Il postulato di Stallman, che Gartner estende a Web 2.0, è che la nuo­va etica “common” (partecipativa) non possa che dare risultati supe­riori a qualunque strategia “anti-common” (esclusiva). Come esem­pio indubbiamente significativo, il successo e l’adozione esplosiva di www.myspace.com (poi comprato ad agosto per 560 milioni di dol­lari da Murdoch), il cui modello si è spinto oltre il concetto di por­tale esclusivo, per adottare un modello aperto, con spazio modifica­bile ed estendibile liberamente dall’utenza.

Il polo business: previsioni e potenziale
Ci pare di cogliere una dicotomia nell’analisi di Gartner: netta cautela sulle attese di benefici effettivi, rispetto alla percezione di opportunità straordinarie di canale e di innovazione profonda nei modelli di processo e di valore. Gartner si aspetta per il 2008 una maggioranza delle aziende Global 1000 si estenda al modello Web 2.0; ma – anche se un po’ incerta (azzarda solo un 60% di probabi­lità) – vede un’adozione limitata agli aspetti più tecnologici, che non sfrutta le dimensioni partecipative (il nuovo equilibrio con il consu­matore), con il risultato di impatti “minimali” sul business, vedi figu­ra 2. Ma c’è una significativa eccezione: queste previsioni conserva­trici non valgono certo per le startup né per i “Web business”, focalizzati sui processi di business generati dal Web. questi ultimi, anzi, saranno in posizione di forza e costringeranno le aziende “non core web” a inseguire per sopravvivere. Il tutto ci può stare con il 62% di Ceo che si attendono di dover cambiare modello di business entro due anni (ricerca Ibm-Global Ceo 2006).
La sfida sta proprio nei “principi di discontinuità” Web 2.0, che vedremo essere, in diverso grado, un coacervo di tecnologie e di proprietà con implicazioni sociali e partecipative. Come si vede in figura 2 si prevede un maggior grado di adozione aziendale (in quanto più semplici da aggiungere al Web) proprio per i principi più tecnologici ma di minor impatto partecipativo, come Ajax (quindi le Ria) e Really Simple Syndication – Rss (la sindacabilità del contenu­to). borderline, fra tecnologici e non, sono Rest e i Mashup (la com­ponibilità web-centrica dei contenuti).

Gli impatti sul business del Web 2.0- fonte: Gartner


Dove maggiore sarebbe il beneficio al business, servono User content, User-derived metadata (contenuto e dati con contribuiti dal­l’utente, ne parleremo nel Web “pragmaticamente” semantico) e sem­plicità (e flessibilità, vedremo il disegno “data driven”). Sfortunatamen­te questi “principi di discontinuità” sono anche i più difficili da architettare, e dunque più basso è il grado di adozione atteso. La fi­gura dice anche, come già forrester per l’esperienza utente, che la sfida per i benefici reali di business è poi in area del tutto non tecno­logica: riuscire a decentralizzare i processi per aprirli a nuovi servizi di piattaforma Web 2.0 su base collaborativa, e magari terziarizzarli, costituisce chiaramente un’innovazione profonda del modello di bu­siness, se non impone addirittura di rifocalizzare la clientela target. Ma a un’azienda capace di sfruttare tutto il potenziale di Web 2.0 si schiude uno scenario di elevati benefici di business. Innanzitutto “l’ecosistema aperto” dei processi, esternalizzabili a terze parti (pen­siamo alle offerte “da web a business” di Software as a service se­condo una modalità di Web 2.0), o partecipabili dall’utente abilitato dalla piattaforma Web 2.0 a contestualizzare contenuti e servizi (per la preziosa differenziazione basata sull’Esperienza). Nello specifico, si possono inoltre immaginare modelli di processi innovativi: nel marketing, possibilità di sindacare capacità e contenuti; notifiche au­tomatiche nelle attività di marketing; sviluppo di prodotti/servizi per comunità di clienti. Nei servizi, il business del remix (composizione applicativa su piattaforma Web 2.0, in architettura Woa); e di nuovo servizi a una comunità oltre che al cliente individuale. Ma l’impatto maggiore è l’apertura a nuovi modelli di creazione del valore. Con Web 2.0, il basso punto d’entrata per competere sulla composizione applicativa e l’apertura alla partecipazione, crea un’ “economia di coda lunga”, vedi figura 3. La “coda lunga” favorisce l’ingresso di pic­cole aziende con prodotti meno cari che costringono i pochi vendor dominanti a calare i prezzi, anche finendo con l’alzare un poco i propri: l’effetto complessivo sposta il peso del mercato su un mag­gior numero di prodotti e servizi più granulari, e riduce il numero di clienti “catturati” da un solo vendor. Rispetto al canale di fatturato tradizionale (primo Web incluso), Gartner riconosce in generale che Web 2.0 consente un allargamento del ventaglio dei ritorni, sfruttan­do, oltre alla produzione di contenuto “in coda lunga”, il business di aggregare l’accesso “ovunque e in qualsiasi momento” attraverso piattaforme multiple (e in economia di scala), nonché il finanzia­mento derivante dalla pubblicità mirata a gruppi di interesse. E di­venta più mirata ed efficace la gestione del cliente seguito su base paritetica nell’ambito della sua comunità d’interesse, attraverso tutte le fasi in cui l’ecosistema di business lo percepisce: dalla consape­volezza, alla preferenza, alla forma di azione intrapresa, alla lealtà.

L’ecosistema abilitato dal Web 2.0- fonte: Gartner

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