È Tim O’Reilly, Ceo di O’Reilly Media, che ha coniato il termine Web 2.0 in una conferenza del 2004 e sono già alla 3° edizione i suoi “Web 2.0 Summit”. E nel diluvio di opinioni, battibecchi, pubblicità e ricerche serie che si ottiene digitando “Web 2.0” su Google c’è più che da smarrirsi: oltre 684 milioni di occorrenze!
Si naviga tra estremi opposti, imbattendosi in un caleidoscopio di opinionisti, che vanno dai visionari entusiasti ai realisti disincantati e un po’ cinici, come Nick Carr (sì, quello dell’It doesn’t matter).
Kevin Kelly (We are the Web, www.wired.com/wired/archive/13.08/tech.html ) è il più lirico, aedo di “un tempo, unico nella storia di ogni pianeta, in cui nasce il sistema operativo di un megacomputer che copre tutti i servizi, tutte le periferiche affiliate in Rete, dagli scanner ai satelliti, e coinvolge i miliardi di menti dei suoi abitanti…. Con Web 2.0 è nata, in forma primitiva, una Macchina gargantuana che in una decade evolverà in un’estensione integrale non solo dei nostri sensi, ma delle nostre menti”.
Gli si contrappone ferocemente appunto Nick Carr che respinge questa percezione “New New Age, quasi religiosa” del Web, perché fa accettare acriticamente come “buoni” tutti i potenziali benefici senza vigilare sui “lati oscuri” dalla partecipazione al collettivismo, dalle comunità virtuali al trionfo dell’amatorialità, di cui cita esempi, a volte effettivamente probanti, in Wikipedia. E nel suo blog, www.roughtype.com/archives/2005/10/the_amorality_o.php, parla invece di totale “Amoralità del Web 2.0: non c’è alcuna Macchina in gestazione, ma un insieme di tecnologie che alterano le forme e l’economia della produzione e del consumo”.
Già, ma scusate se è poco. Le tesi minimalista e massimalista si accordano su un minimo comun denominatore che riconosce nell’avvento della piattaforma 2.0 una discontinuità da un Web di livello “accesso” a uno di livello partecipativo, che altera (si discuterà se influenza o sconvolge) l’equilibrio tra business e consumatore. E accettano addirittura l’imporsi in prospettiva della cultura online come cultura tout court: “data la facilità di creazione e di disseminazione, la cultura online diventa ‘la’ cultura” pontifica Kelly; Carr ribatte a denti stretti, ma il suo è solo un difensivo “spero si sbagli, ma temo che finirà con l’aver ragione sul lungo periodo”.
La discontinuità web 2.0, i fatti e le fonti
Ma il confronto è di opinioni sul trend, non è sulla piattaforma Web 2.0, indubbiamente ormai una realtà matura, sia pure nel contesto del perpetuo “beta” dell’oceano Internet.
Nessuna fonte mette in discussionje il fatto che siamo di fronte a una discontinuità fra piattaforma “di solo accesso” del primo Web e nuova piattaforma partecipativa Web 2.0 (e occorre aggiungere: programmabile, componibile, con ricca interfaccia utente, decentralizzata, capace di relazione globale di contenuti, network-centrica, estendibile a logiche Soa). proviamoci a esplorarla: seguendo tre filoni, tecnologico, partecipativo – sociologico e di impatto al business, come propone Gartner; vedendo il punto di vista dell’esperienza dell’utente business con forrester (forse un briciolo più conservatore, nel condizionare i benefici materializzabili per il business con Web 2.0 a una disciplina di sviluppo); e integrandola con Wikipedia, che non troviamo affatto “amatoriale”, almeno nello specifico Web 2.0, ce lo consenta l’illustre Nick Carr.
Il polo tecnologico: i “principi” web 2.0
Avrebbe una sua logica proporre un percorso bottom-up, in cui familiarizzarsi prima con funzionalità e nuovi principi architetturali (e un po’ di acronimi relativi) ormai maturi nei Web di livello 2.0, per poter poi meglio esplorarne gli impatti sui modelli di business, di relazione in Rete fra consumatori (sempre più “comunità” di consumatori), business, e le risonanze sui mutui equilibri. Ma dopotutto è preferibile proporre prima un quadro d’insieme tecnologico, partecipativo e di business, che comprima, anche drasticamente, il filone tecnologico in (almeno) sette “principi” ormai consolidati (fonti Gartner e Wikipedia) – e per ciascuno dei quali forniremo un livello di approfondimento in un prossimo articolo.
Ci limitiamo dunque in questa sede a riportare una definizione sotto il profilo tecnologico di Web 2.0 (fonte Wikipedia) e ad articolare questi “principi” di indiscussa discontinuità rispetto al primo Web di solo accesso informativo. La definizione: “con Web 2.0 ci si riferisce alla transizione dei siti Web da silos informativi isolati, a sorgenti di contenuto e funzionalità, capaci di fungere in tal modo da piattaforma elaborativa al servizio delle applicazioni Web per l’utente finale”. Ed ecco i “principi di discontinuità”:
– l’affermarsi di una Web oriented Architecture (Woa), sorella minore della Soa (Service oriented architecture);
– la sindacabilità dei contenuti;
– la componibilità Web-centrica (Mashability) dei contenuti sulla base di un nuovo paradigma di interoperabilità fra Web (il Representational State Trasfer o Rest);
– la capacità di applicazioni “ricche” in Internet (Reach Internet Applications – Ria), che finora era confinata all’architettura client-server pre-browser;
– l’affermarsi di capacità sia pure solo “pragmaticamente” semantiche nel Web, sulla base Microformati e “folksonomie” (categorizzazioni collaborative di informazioni mediante l’utilizzo di parole chiave scelte liberamente);
– un disegno delle applicazioni Web data driven, con grande valore di flessibilità;
– la capacità di costruire applicazioni su esempi (build by example).
Solo sul quarto principio di discontinuità, le Ria, ha senso anticipare in questa sede l’analisi Forrester sulla loro usabilità, proprio perché condotta a un livello che prescinde dalla tecnologia: in una recente ricerca (dal titolo “from Rich Internet Applications To Rich User Experiences” scaricabile dal sito www.zerounoweb.it), forrester sottolinea alle aziende che creare con Ajax o flash (due tecnologie per le Ria) un’Applicazione Internet Ricca, di per sé non rende Ricca l’esperienza Utente: serve a rinforzo di un processo disciplinato per capire e indirizzare i bisogni reali (dal business case, al disegno di scenario, alla validazione dell’uso). E interfacce non standard o tentazioni di inserti pubblicitari a spese dell’esperienza utente possono creare catastrofi. Con queste riserve, forrester riconosce alle Ria indubbio valore nella ricerca del sacro graal della differenziazione Basata sull’Esperienza (si veda a su questo tema il secondo articolo della storia di copertina di questo numero), citando casi di successo: nell’acquisto di gemme, Blue Nile (www.bluenile.com) consente al compratore un agevole sort con immediata visualizzazione, secondo i criteri per lui più importanti, in altrimenti ostici database parametrici; il sito www.miniusa.com offre in qualsiasi ordine la scelta, per esempio, di colore, tappezzeria, stile delle ruote, tramissione per l’acquisto di una Mini Cooper, ricreandola ogni volta sullo schermo del pc: “dentro” c’è flash (di nuovo una tecnologia per Ria) che aggiorna la pagina direttamente nel browser.
Il polo partecipativo: libertà e nuovo equilibrio fornitore-consumatore
Gli effetti partecipativi, collaborativi e sociali di Web 2.0 rimandano a quel “Nuovo potere dei consumatori” cui ZeroUno dedicava già una storia di copertina nel novembre del 2005, quando il sottostante motore tecnologico era ancora in rodaggio. per Wikipedia, Web 2.0 abilita “un approccio a creare e distribuire contenuto del Web, con comunicazione aperta, autorizzazione decentrata, libera condivisione e riuso; il tutto per un “mercato visto come conversazione”, a due vie. Gartner parla di etica della partecipazione, e non esita a trasferire al contesto Web 2.0 le quattro libertà proclamate per il software da Richard Stallman, profeta di Free Software Foundation e Gnu, in www.gnu.org/philosophy/free-sw.html: libertà di usare, studiare, copiare e migliorare. E trarre profitto, Gartner aggiunge, illustrando la trasposizione con “l’albero della vita celtico” (vedi figura 1).
Il nuovo equilibrio fornitore-consumatore – fonte: Gartner
Web 2.0 abilita una circuitazione virtuosa (e aperta a sfera, cioè con connessioni illimitate) dal fornitore al consumatore di prodotti o servizi, e di ritorni (in termini di contenuti e di intelligenza distillata). Su questi scambi si fondano i nuovi equilibri fra business e consumo, tanto più innovativi quanto più aperti, liberi e paritetici. Il postulato di Stallman, che Gartner estende a Web 2.0, è che la nuova etica “common” (partecipativa) non possa che dare risultati superiori a qualunque strategia “anti-common” (esclusiva). Come esempio indubbiamente significativo, il successo e l’adozione esplosiva di www.myspace.com (poi comprato ad agosto per 560 milioni di dollari da Murdoch), il cui modello si è spinto oltre il concetto di portale esclusivo, per adottare un modello aperto, con spazio modificabile ed estendibile liberamente dall’utenza.
Il polo business: previsioni e potenziale
Ci pare di cogliere una dicotomia nell’analisi di Gartner: netta cautela sulle attese di benefici effettivi, rispetto alla percezione di opportunità straordinarie di canale e di innovazione profonda nei modelli di processo e di valore. Gartner si aspetta per il 2008 una maggioranza delle aziende Global 1000 si estenda al modello Web 2.0; ma – anche se un po’ incerta (azzarda solo un 60% di probabilità) – vede un’adozione limitata agli aspetti più tecnologici, che non sfrutta le dimensioni partecipative (il nuovo equilibrio con il consumatore), con il risultato di impatti “minimali” sul business, vedi figura 2. Ma c’è una significativa eccezione: queste previsioni conservatrici non valgono certo per le startup né per i “Web business”, focalizzati sui processi di business generati dal Web. questi ultimi, anzi, saranno in posizione di forza e costringeranno le aziende “non core web” a inseguire per sopravvivere. Il tutto ci può stare con il 62% di Ceo che si attendono di dover cambiare modello di business entro due anni (ricerca Ibm-Global Ceo 2006).
La sfida sta proprio nei “principi di discontinuità” Web 2.0, che vedremo essere, in diverso grado, un coacervo di tecnologie e di proprietà con implicazioni sociali e partecipative. Come si vede in figura 2 si prevede un maggior grado di adozione aziendale (in quanto più semplici da aggiungere al Web) proprio per i principi più tecnologici ma di minor impatto partecipativo, come Ajax (quindi le Ria) e Really Simple Syndication – Rss (la sindacabilità del contenuto). borderline, fra tecnologici e non, sono Rest e i Mashup (la componibilità web-centrica dei contenuti).
Gli impatti sul business del Web 2.0- fonte: Gartner
Dove maggiore sarebbe il beneficio al business, servono User content, User-derived metadata (contenuto e dati con contribuiti dall’utente, ne parleremo nel Web “pragmaticamente” semantico) e semplicità (e flessibilità, vedremo il disegno “data driven”). Sfortunatamente questi “principi di discontinuità” sono anche i più difficili da architettare, e dunque più basso è il grado di adozione atteso. La figura dice anche, come già forrester per l’esperienza utente, che la sfida per i benefici reali di business è poi in area del tutto non tecnologica: riuscire a decentralizzare i processi per aprirli a nuovi servizi di piattaforma Web 2.0 su base collaborativa, e magari terziarizzarli, costituisce chiaramente un’innovazione profonda del modello di business, se non impone addirittura di rifocalizzare la clientela target. Ma a un’azienda capace di sfruttare tutto il potenziale di Web 2.0 si schiude uno scenario di elevati benefici di business. Innanzitutto “l’ecosistema aperto” dei processi, esternalizzabili a terze parti (pensiamo alle offerte “da web a business” di Software as a service secondo una modalità di Web 2.0), o partecipabili dall’utente abilitato dalla piattaforma Web 2.0 a contestualizzare contenuti e servizi (per la preziosa differenziazione basata sull’Esperienza). Nello specifico, si possono inoltre immaginare modelli di processi innovativi: nel marketing, possibilità di sindacare capacità e contenuti; notifiche automatiche nelle attività di marketing; sviluppo di prodotti/servizi per comunità di clienti. Nei servizi, il business del remix (composizione applicativa su piattaforma Web 2.0, in architettura Woa); e di nuovo servizi a una comunità oltre che al cliente individuale. Ma l’impatto maggiore è l’apertura a nuovi modelli di creazione del valore. Con Web 2.0, il basso punto d’entrata per competere sulla composizione applicativa e l’apertura alla partecipazione, crea un’ “economia di coda lunga”, vedi figura 3. La “coda lunga” favorisce l’ingresso di piccole aziende con prodotti meno cari che costringono i pochi vendor dominanti a calare i prezzi, anche finendo con l’alzare un poco i propri: l’effetto complessivo sposta il peso del mercato su un maggior numero di prodotti e servizi più granulari, e riduce il numero di clienti “catturati” da un solo vendor. Rispetto al canale di fatturato tradizionale (primo Web incluso), Gartner riconosce in generale che Web 2.0 consente un allargamento del ventaglio dei ritorni, sfruttando, oltre alla produzione di contenuto “in coda lunga”, il business di aggregare l’accesso “ovunque e in qualsiasi momento” attraverso piattaforme multiple (e in economia di scala), nonché il finanziamento derivante dalla pubblicità mirata a gruppi di interesse. E diventa più mirata ed efficace la gestione del cliente seguito su base paritetica nell’ambito della sua comunità d’interesse, attraverso tutte le fasi in cui l’ecosistema di business lo percepisce: dalla consapevolezza, alla preferenza, alla forma di azione intrapresa, alla lealtà.
L’ecosistema abilitato dal Web 2.0- fonte: Gartner