Basterebbe questa frase di uno dei partecipanti per riassumere gli scenari e le criticità legati all’evoluzione digitale del settore Industry, su cui Cio e vendor, in un workshop dedicato durante l’ultimo convegno Finaki, si sono misurati: “Prima vendevamo sedili in pelle, adesso vendiamo servizi. È chiaro che diventa fondamentale raccogliere i dati. Le opportunità sono grandissime, ma la difficoltà oggi è quella di trovare gli skill giusti”.
Da qui discende una parte importante del confronto che ha puntato, oltre alla messa a fattor comune di alcune visioni e criticità, alla concretezza di poter formulare alcune proposte di trasformazione e di focalizzazione su cui convogliare impegni, attenzioni, investimenti da parte delle aziende e nello specifico attraverso la figura di riferimento, in tema d’innovazione digitale, che vuole ancora essere il Cio e il dipartimento It nel suo complesso.
Il dibattito ha messo a fuoco alcuni punti fermi:
1) Cos’è oggi innovazione digitale e come essere, in azienda, protagonisti di questo processo.
Certamente per saper fare vera innovazione, è emerso dal dibattito, diventa preponderante mettere in moto tutti quei meccanismi organizzativi, di competenza, di conoscenza tecnologica (le diverse tecnologie consumer usate dagli utenti), per essere vicino al business e all’evoluzione della domanda. Quando ho conosciuto bene l’esigenza, posso supportare con opportune scelte tecnologiche la necessaria innovazione di prodotto e/o di servizio. Il tema di un rinnovato demand management diventa quindi centrale. Serve intervenire su organizzazione e competenze in modo light: bisogna che il Cio (espressione di una nuova prospettiva d’innovazione da parte di tutto il dipartimento) sappia portare proposte, cercare consenso, proporre prototipi, trovare sponsor e innovatori in azienda attraverso un costante processo di “contaminazione digitale” a due vie: dall’It agli utenti aziendali e da questi verso l’It, in un meccanismo di continua reciproca conoscenza e aggiornamento delle esigenze del mercato.
È questo che consente all’It di far parte in modo concreto del “momento ideativo di business”, declinando poi correttamente il supporto tecnologico atteso e quasi pre-validato dagli utenti, che si aspettano quindi soluzioni Ict allineate alle loro esigenze proprio perché si è condiviso fin da subito l’obiettivo di business.
Dopo tanto parlare di innovazione, nel Workshop Industry si è ribadita l’esigenza di una concretizzazione: serve un approccio “agile”; serve “fare l’elefante a fette”, focalizzandosi su specifiche azioni ben definite che possano irrobustire il rapporto di trust e di lobby tra It e Lob e sviluppare questi progetti in modo prototipale e rapido.
Proprio per la costante ricerca di innovazione, cui il settore Industria deve saper dare risposta, più volte è emersa la consapevolezza, importante a nostro avviso, di sviluppare una capacità di saper concepire nuovi scenari attraverso l’impegno di “team dell’innovazione”, con risorse (persone, budget e mission) specifiche. Bisognerà saper includere in questi “aggregati” anche attori non tradizionali come le startup, con la necessità però di ingegnerizzare meglio l’innovazione verso l’azienda.
2) La consapevolezza della centralità dell’informazione
Se tutto concorre a portare al centro della strategia aziendale l’utente con le sue esigenze di fruizione, a forte componente digitale, di nuovi servizi, nuovi prodotti e nuovi modelli relazionali con l’azienda, questo processo, che è stato più volte sintetizzato dal gruppo di lavoro in “Digital revolution”, ha come elemento primario di azione la riduzione dell’attuale segmentazione, tecnologica, organizzativa e culturale, “a silos” con cui le aziende si sono strutturate e hanno lavorato per anni. Serve quindi sempre più urgentemente una vista unificata, a livello di dati, del cliente, una visibilità cross di questi dati su tutta l’azienda e, una volta avviata questa vera e propria “rivoluzione copernicana”, lavorare in parallelo sul “discovery di competenze” adeguate per trarre utili informazioni, proposte e progetti da questo patrimonio.
Questo aspetto, molto dibattuto nel workshop, ha portato con sè un’altra focalizzazione necessaria, quella cioè legata al concetto di “integrazione”. Un’integrazione che deve concretizzarsi considerando almeno tre punti:
a) un’efficienza di costi It, elemento che è sempre la base di riferimento per ogni progetto Ict di cambiamento;
b) una migliore efficienza nei processi sempre più digitalizzati, attraverso l’integrazione spinta tra It e le varie Lob;
c) la contribuzione attiva dell’It al cambiamento del business model.
Interessante notare come i Cio presenti al workshop abbiano più volte dato al concetto di “integrazione” soprattutto un’accezione organizzativa e di processo e poco tecnologica, pur nella complessità di quest’ultimo aspetto, di cui i Cio sono ben consapevoli: “Ok digitalizzare bene i processi, ma ormai serve spingersi oltre, come Cio, a creare soluzioni di valore di business, con una forte evidenza di Roi”.
Ecco intrecciarsi, ancora una volta, l’opportunità rappresentata dalla possibilità oggi di disporre di moltissime informazioni e un coerente modello organizzativo e di competenze che le sappia gestire opportunamente. “Analytics e big data devono diventare il centro di Ricerca e Sviluppo per nuovi prodotti e servizi – è stato detto – ma perché ciò sia vero, dobbiamo trovare insieme al business soluzioni innovative e soprattutto forme di knowledge sharing efficaci che solo una vera contaminazione organizzativa può sostenere nel tempo”. Oltre la chiarezza di queste affermazioni c’è anche la consapevolezza della complessità del tema con un mondo, quello dei big data, in cui i progetti reali vincenti sono ancora pochi e ogni azienda deve ancora riuscire a capire cosa farne.
Solo velocemente accennato, segno della necessità di una comprensione approfondita del fenomeno, il grande tema dell’Internet of Things, con tutte le enormi potenzialità, nell’analisi dei dati, che quest’ambito può portare proprio al settore Industry nella sua trasformazione/estensione dell’offerta da prodotto a servizio. E segno anche che questi “pensieri innovativi” oggi non sono ancora pertinenza del dipartimento It, ma nascono altrove, lasciando all’It il difficile compito dell’integrazione, della security e della governance.
Il dipartimento It frena l’innovazione?
Realtà o luogo comune? La risposta passa dalla capacità di saper realizzare la trasformazione tecnologica e organizzativa sopra descritta. La “macchina” dei sistemi informativi deve funzionare, deve avere prestazioni, gestibilità, sicurezza e capacità rapida di evoluzione, ma tutto questo non può assorbire l’80% del budget (e del tempo, e delle risorse umane), altrimenti ogni necessità di innovazione non trova ascolto o terreno fertile in un dipartimento It che dovrebbe essere invece promotore e supporto alla creazione del digital business aziendale. “Il budget non è pertinenza del Cio, quindi i progetti li faccio partire attraverso un confronto soprattutto con R&D e Marketing” ha temerariamente sostenuto un vendor, aprendo così un nuovo filone di dibattito, controverso e aspro, quello delle relazioni It-vendor che stanno faticosamente cercando di riproporsi su nuove basi.
I vendor lamentano, nella maggior parte dei casi, una chiusura del Dipartimento It delle aziende, chiedendo invece loro di assumere una posizione di anticipatori, di lasciarsi coinvolgere e di saper dialogare correttamente con le funzioni aziendali, cosa che, a detta di alcuni, ancora non avviene. I Cio vorrebbero, dal loro punto di vista, che i vendor conoscessero di più e meglio il business, le specificità di settore, fino a condividere in parte il rischio/investimento.
Oggi il dipartimento It è “frustato” da innovazioni tecnologiche importanti che sono la base su cui ripensare il modello di digital business cui si tende: cloud, analytics, social collaboration e mobility sono i pillars che portano con sé ripensamenti tecnologici e modelli organizzativi nuovi. Sul cloud, per esempio, è stato esplicitato come vi siano ancora parecchie (e non sempre giustificate) paure in tema di privacy, compliance in genere e security, mentre sui social network diventa cruciale il tema del monitoraggio e della reattività alle comunicazioni “pericolose” per l’immagine e il business aziendale, un aspetto sul quale i vertici dell’impresa sono molto sensibili.
Tutto questo porta a un’attenzione nuova al concetto di cyber security, che deve essere intesa come approccio trasversale a tutte le componenti aziendali e non a sé stante, perché oggi il rischio reale è sovente sottostimato e la consapevolezza stessa del rischio assolutamente insufficiente.
Le proposte
Sistematizzare tutto questo non è semplice e già all’interno di quanto scritto vi sono abbondanti indicazioni di direzione che i Cio stanno intraprendendo. Tuttavia alcuni “topics” si possono definire:
- Avere la consapevolezza di essere arrivati a un punto in cui si devono compiere coraggiose scelte architetturali, (salvaguardando certamente il legacy ma non facendosene schiacciare) per preparare un environment tecnologico in grado di supportare meglio l’evoluzione verso il digital business. Rientrano in questo disegno elementi di flessibilità, sicurezza, automazione, trasversalità tecnologica, infrastrutture e sistemi “software defined”, modelli cloud da approcciare coerentemente con ridisegno organizzativo e crescita di nuove competenze.
- Dedicare tempo alla relazione personale con i propri “peers”/decision makers in azienda. È questo il tema della “contaminazione” culturale e organizzativa, dell’osmosi tra It e business in una conoscenza reciproca delle esigenze e delle tecnologie necessarie, della volontà dell’It ad essere presente laddove l’idea di business nasce e a sostenerla e amplificarla attraverso tecnologie digitali che saranno accolte pienamente dalle Lob in quanto l’It è stato parte del processo di ideazione del nuovo business (inoltre, come recita Gartner, una diffusa cultura digitale in azienda e un’adeguata infrastruttura Ict di supporto che sia costantemente in grado di analizzare, gestire, proporre iniziative digitali, consente all’impresa di poter sfruttare il cosiddetto “business moment”, quell’opportunità di vendita di prodotto e servizio che si presenta inaspettatamente, che deve essere sfruttata “al volo” e che solo una relazione digitale intensa con i consumatori sul mercato consente).
- Portare a bordo nuovi skill e nuovi ruoli necessari. Per far questo ci vuole un’organizzazione It diversa, che partendo da una riduzione dell’impegno nella governance tecnologica della macchina sappia creare team di innovazione aperti anche all’esterno, in una dimensione di “digital community” di cui il Cio deve saper farne parte. Il concetto di scouting deve diventare parte del bagaglio professionale del Cio.
- Avere la consapevolezza (cioè investire in organizzazione, ruoli, competenze e tecnologie) che l’azienda non solo si è aperta al mercato ma lavorerà sempre più con il mercato su base digitale per sviluppare il proprio business. Diversi sono i sistemi di collaboration con i partner e le informazioni (e le innovazioni) dovranno circolare attraverso ogni tipo di device per attingere idee, validare progetti, creare nuove opportunità.
- In questo contesto aumenta la potenziale fragilità rispetto ad attacchi cybercrime e quindi servirà sempre più una Threats intelligence (con investimenti adeguati). E ancora una volta, questi investimenti sarà possibile ottenerli se la consapevolezza di un digital business da sviluppare inevitabilmente da parte dell’azienda arriverà al top management. Il Cio dovrà riuscire ad essere parte dei vari board meeting per portare nei modelli di governance dell’azienda quella cultura dell’innovazione digitale della quale il dipartimento It e le sue persone dovranno essere attori protagonisti e non semplici esecutori di decisioni e progetti impostati altrove.