Il modello ‘hybrid cloud’ risulta essere la strategia enterprise preferita dal 58% delle organizzazioni, con un 85% che adotta una strategia multi cloud (RightScale 2017 State of the Cloud Report). Per multi cloud si intende l’uso contemporaneo di due o più servizi cloud per minimizzare il rischio di estese perdite di dati o downtime causati da guasti localizzati di componenti nell’ambiente di cloud computing, che possono verificarsi a livello hardware, software o di infrastruttura. Una strategia multi cloud può anche migliorare le performance complessive dell’impresa, evitando situazioni di ‘vendor lock-in’ e utilizzando infrastrutture differenti per soddisfare le esigenze di diversi partner e clienti. Ma sono necessari tool multi cloud.
In ogni caso, a prescindere dal fatto che si stia parlando di cloud ibridi o di ambienti multi cloud, oggi un problema fondamentale si pone quando cresce la necessità di controllare e gestire tutte queste nuvole in maniera razionale ed efficiente.
Una strategia di cloud management mira a ottenere un controllo amministrativo su cloud privati, pubblici e ibridi e, se implementata in modo corretto, consente di mantenere tale capacità di gestione anche in ambienti di cloud computing dinamici e scalabili.
Benefici di una gestione razionale
Quando la strategia di cloud management è solida e ben congeniata, i vantaggi si esprimono soprattutto su tre fronti:
- si possono sviluppare funzionalità ‘self-service’ che permettono di eliminare i tradizionali processi associati con il provisioning di risorse IT;
- è possibile attuare un’automazione dei workflow, che consente di convertire le politiche di business dell’azienda in immediate operazioni di creazione e gestione delle istanze di cloud computing, senza necessità di intervento umano;
- si abilita una continua analisi dei workload di cloud computing e delle esperienze utente. Una capacità di analisi che, nel caso dei cloud pubblici, permette ad esempio di valutare i tempi di latenza e downtime, per verificare la conformità con gli SLA (service-level agreement) dei public cloud provider. L’ottenimento di tutti questi benefici dipende però dall’adozione di tool adeguati.
Quali strumenti di cloud management scegliere
La gestione del cloud richiede strumenti specifici, e i fornitori di cloud pubblici tipicamente sviluppano tool altamente specializzati di monitoraggio, orchestrazione dei servizi, gestione dei costi, della sicurezza e quant’altro, per adattare le funzionalità dei propri servizi alle esigenze dei diversi clienti. Ad esempio, Amazon Web Service (AWS) abilita gli utenti ad accedere e gestire le istanze cloud attraverso un’interfaccia a riga di comando (CLI), mentre la Google Cloud Platform (GCP) offre lo strumento di monitoraggio e logging Stackdriver, che fornisce dati sulle prestazioni per applicazioni e macchine virtuali (VM) che girano su GCP e AWS. In Microsoft Azure, lo strumento Azure Site Recovery abilita gli amministratori IT a replicare in automatico le macchine virtuali.
Tuttavia, poiché la maggior parte dei tool di gestione dei cloud pubblici limita la capacità d’intervento degli utenti a operazioni base di reporting e gestione dei workload, fornendo scarsa visibilità sull’infrastruttura sottostante del provider o sulle sue performance, vi sono vendor di terze parti (ad esempio RightScale, Scalr, Cloudability, Turbonomic, o Cisco, con l’offerta CliQr) che offrono piattaforme di cloud management per integrare i tool nativi del fornitore cloud.
Si tratta di strumenti di gestione degli ambienti multi cloud che tipicamente fanno meno affidamento sulle metriche tradizionali, come l’analisi del carico di lavoro di un server o di un router, e sfruttano di più le funzionalità di reporting. Questo perché, negli ambienti multi cloud, ma anche nel modello cloud in generale, le configurazioni del sistema cambiano in modo dinamico, quindi, di conseguenza, le organizzazioni hanno necessità di avere una registrazione storica di quali workload ‘hanno girato’ su quale piattaforma o server cloud. In aggiunta, per gestire in modo corretto una implementazione multi-cloud, gli amministratori devono far evolvere le loro competenze su aspetti come l’orchestrazione dei servizi cloud e l’ottimizzazione dei costi operativi delle diverse nuvole.
I tool da valutare: priorità sull’orchestrazione
L’ascesa del modello cloud, e in particolar modo del paradigma multi cloud, fa sì che le competenze e le capacità sui tool di orchestrazione diventino prioritarie. Ciò perché, con l’avvento delle tecnologie di virtualizzazione e della nuvola nei data center, le configurazioni di sistema da eseguire sono cresciute sia in numero, sia in complessità, e gli ambienti multi cloud accentuano ulteriormente questa tendenza. In un tale scenario, gli strumenti di orchestrazione diventano utili per ridurre i tempi di allocazione delle risorse del sistema in ambienti cloud divenuti molto complessi.
Attraverso i tool di orchestrazione è possibile automatizzare e coordinare i complessi processi di amministrazione del sistema, inclusi quelli che comportano da parte degli IT manager l’esecuzione di svariate operazioni, magari da compiere in rigida sequenza. Ad esempio, per fornire a un’applicazione cloud maggiori risorse di storage, gli amministratori spesso possono dover modificare le impostazioni dell’applicazione, del database, dello storage array, del web server e del load balancer, intervenendo su ciascun dispositivo, mentre i tool di orchestrazione permettono di effettuare con efficienza tutti questi aggiornamenti nel loro complesso. E tali evolute funzionalità di orchestrazione si rivelano utili soprattutto nelle attività di gestione multi cloud, in cui le organizzazioni hanno l’esigenza di monitorare le applicazioni su diverse piattaforme cloud e dove le configurazioni possono cambiare con rapidità. Da questo punto di vista, tool di orchestrazione cloud interessanti da valutare per un IT manager possono essere ad esempio quelli forniti da società come Chef, HashiCorp, Puppet e SaltStack: tutti strumenti adatti a costruire funzionalità di controllo in ambienti ‘multi-nuvola’.
Tool per monitorare i costi in ambienti multi cloud
Il paradigma multi cloud sta anche inducendo un’evoluzione dei modelli di gestione dei costi IT, e ciò è più vero quando si considera che risulta in crescita il numero di professionisti del settore che, sfidando l’ipotesi secondo cui il cloud pubblico risulta sempre meno costoso delle alternative on-premise, stanno riportando alcuni workload ‘in casa’. In effetti, non sono poche le situazioni in cui accade che le imprese, monitorando le proprie implementazioni multi cloud, si accorgano della presenza di perdite, sprechi di risorse e spese per il cloud pubblico non previste nel calcolo dei costi mensili. Un caso tipico, ad esempio, è quando i team DevOps decidono di creare una versione di test di un’applicazione, e lasciano che essa continui a girare nel cloud, anche dopo che l’applicazione finale è stata spostata in produzione: in tale situazione si generano infatti costi IT non necessari.
Per venire incontro a queste sempre più pressanti esigenze di controllo dei costi negli ambienti multi-nuvola, esistono vendor, come Cloudability e Cloudyn, in grado di fornire tool di gestione per monitorare la spesa negli ambienti multi cloud. Ad esempio, società come AWS addebitano ai propri clienti una spesa ogni volta che l’impresa in questione decide di spostare i propri dati da una risorsa a un’altra, inclusi quelli trasferiti dalla piattaforma AWS verso un’altra, come Azure. In questi casi, strumenti di gestione multi cloud come quelli di Cloudability o di altri vendor possono aiutare un’organizzazione a identificare tali costi e, di conseguenza, a prendere le necessarie contromisure per ridurne il peso sul budget IT dell’impresa.