MILANO – In molti fanno a gara per elencare i difetti di Chrome beta, il web browser open source targato Google mancato supporto per gli RSS, alcune pericolose falle di sicurezza (come quella attribuita a una versione non aggiornata del WebKit), cattiva gestione delle tab (schede dei browser di ultima generazione per la navigazione contemporanea su più siti) in sovrannumero, mancato funzionamento del doppio clic sulle tab (che avrebbe dovuto portarle a schermo intero), l’eccessivo consumo di risorse. Ma la realtà è che, pur essendo ancora in beta, Chrome è veramente veloce, semplice ed efficace. Insomma ha tutte le carte in regola per mettere preoccupazione agli altri player del mercato. Contemporaneamente, 850 miglia più a nord sulla West Coast, i team Microsoft fino a qualche mese fa erano altrettanto occupati a rilasciare un’altra beta importante: Internet Explorer 8 (in Italia è stata presentata alla stampa pochi giorni fa, a settembre), che introduce importanti novità come gli accelerators (ovvero strumenti configurabili per interagire con i contenuti delle pagine), le web slices (porzioni di contenuto a cui ci si può iscrivere, come i feed) e molto altro ancora.
Una battaglia difficile e il primo round sembra andare a favore di Google: secondo HitsLink la share di utilizzatori di Chrome sì è attestata nel giorno del rilascio intorno all’1%, mentre IE8 con il rilascio della beta 2 si è fermato allo 0,2%.
Ma perché è così importante il mercato dei browser, che sono software gratuiti e quindi non generano direttamente fatturato? Perché il browser è il punto di contatto con il web, quindi chi controlla il browser è in grado di “controllare” il comportamento online degli utenti. L’attività di controllo si esprime, per esempio, nella raccolta dei dati di navigazione degli utenti: nell’informativa sulla privacy di Google si legge: “Quando scarichi Google Chrome o lo utilizzi per contattare il server Google, vengono inviati a Google solamente i dati di log standard, ad esempio l’indirizzo IP del tuo computer e uno o più cookie”. Questi dati comprendono i dati di navigazione, gli indirizzi IP a cui ci si collega, gli URL digitati e così via. Fortunatamente per l’utente è possibile disabilitare queste funzioni (fortunatamente per Google sono in pochi gli utenti che cambieranno le impostazioni di default). L’attività di controllo si può spingere anche oltre, suggerendo percorsi consigliati in modo da indirizzare parzialmente il comportamento del navigatore. Mediante il motore di ricerca predefinito, la home page predefinita, i suggerimenti nella digitazione dell’indirizzo e così via; il browser oggi è il primo mezzo in grado di portare l’utente a navigare in una particolare direzione senza che si accorga di essere guidato.
L’entrata in campo di Google nel mercato dei browser non mancherà di suscitare perplessità in tema di antitrust. Non dimentichiamo che Google controlla il mercato del keyword advertising (AdWords), della pubblicità online (AdSense), degli strumenti di misurazione di questa pubblicità (DoubleClick) e ora anche dello strumento di fruizione finale (Chrome). È come se nel mercato della televisione un unico operatore controllasse la vendita della pubblicità, la misurazione auditel dei dati di ascolto e la produzione degli apparecchi televisivi con preselezionati i canali visualizzabili. Con la differenza che la televisione si limita a veicolare un messaggio pubblicitario che poi porterà a delle azioni di acquisto lontane dallo schermo, mentre sul Web non esiste soluzione di continuità tra l’advertising e l’acquisto. Al punto che l’utente stesso può essere “portato” in modo più o meno consapevole sulla vetrina del negozio online che in quel momento soddisfa il suo bisogno in una forma di advertising attivo estremamente più efficace di un messaggio in televisione.
Anche se appare improbabile un’azione dell’antitrust americana (che finora, nonostante le proteste di Microsoft, non ha ancora alzato il cartellino giallo nei confronti dell’azienda di Mountain View), è altrettanto improbabile che Google possa cavalcare lo stesso entusiasmo antimonopolistico che ha portato al successo di Firefox a scapito di Internet Explorer.
Quindi è Internet Explorer il competitor di Chrome? Ufficialmente sì, anche se a ben vedere il browser per Google rappresenta non solo uno strumento di navigazione ma un vero e proprio ambiente di lavoro in cui eseguire applicazioni di diverso tipo. Già un anno fa in una conferenza stampa, Adam Bosworth, vice president di Google, aveva segnalato l’esigenza di un’infrastruttura veloce ed efficiente in cui far funzionare applicazioni Web (basate su Google Gears).
All’interno di Chrome è possibile ora accedere a un ventaglio di servizi online che non ha nulla da invidiare a un computer ricco di applicazioni: office automation con Google Documents, elaborazione immagini con Picasa, email e messaggistica istantanea e così via. Terminali più leggeri (su cui installare solo Chrome) e tutte le applicazioni in rete: è il network computing, l’utility computing targato Google, l’alternativa a un sistema installato in locale. Insomma, il vero bersaglio non è Explorer ma Windows.
Ancora Google contro Microsoft: ora la sfida è dietro le pagine Web
È arrivata la versione beta del web browser open source proposto da Google. Diverse le critiche per i difetti riscontrati anche se, stando ad alcune statistiche, l’attacco a Microsoft ha portato i suoi frutti. Ma la vera strategia di Google non è "rubare" il podio a Internet Explorer quanto, semmai, offrire un’alternativa via web alle soluzioni installate in locale
Pubblicato il 15 Set 2008
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