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Availability Report 2017, tutti i dati su uno degli ostacoli alla digitalizzazione

Quanto costa non poter contare su accesso a servizi, dati e applicazioni in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo? Lo ha calcolato Veeam che rileva oltre al danno economico quello sulla reputazione aziendale, all’Availability gap si affianca anche il Protection gap

Pubblicato il 10 Mag 2017

Accesso a servizi, dati e applicazioni in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, è il pre requisito fondamentale per realizzare iniziative mirate alla digital transformation ma purtroppo rappresenta uno degli ostacoli alle iniziative in quest’ambito.

È quanto emerge dalla sesta edizione del Veeam Availability Report 2017, che è stato condotto su oltre mille IT manager in 24 nazioni, rilevando che esiste un notevole divario tra le aspettative degli utenti e quello che la tecnologia riesce a garantire. L’82% delle aziende ammette di trovarsi spesso a convivere con un “Availability Gap”.

Il 69% delle multinazionali ritiene che il continuo accesso ai servizi, l’Availability appunto, sia una condizione necessaria per la digital transformation, nonostante questo la maggioranza dei responsabili IT (66%) asserisce che queste iniziative subiscono dei ritardi a causa di interruzioni di servizio non pianificate, provocate da cyber attacchi, errori nell’infrastruttura, interruzioni nel network e disastri naturali (la media di fermo del server è di 85 minuti per disservizio).

E mentre i costi specifici del downtime sono soggetti a variazioni, nel Report è calcolato che la media del costo annuale per ogni azienda è di 21,8 milioni di dollari, in aumento, rispetto ai 16 milioni di dollari rilevati lo scorso anno. Il downtime e la perdita di dati compromettono inoltre la reputazione delle imprese nei confronti dell’opinione pubblica, in maniera non quantificabile a livello economico.

Lo studio di quest’anno evidenzia inoltre che quasi la metà delle aziende coinvolte ha rilevato una perdita di fiducia da parte dei clienti, mentre il 40% ha riscontrato un danno all’integrità del proprio brand, con un impatto negativo sia sulla reputazione del brand stesso sia sulla fidelizzazione dei clienti. Per quanto riguarda invece le implicazioni interne, un terzo degli intervistati ha constatato una diminuzione della fiducia dei dipendenti e il 28% ha dovuto riallocare le proprie risorse per far fronte a questa criticità.

Inoltre, è risaputo che il cloud e i suoi diversi modelli di consumo stanno modificando il modo in cui le aziende si approcciano alla protezione dei dati. E il report evidenzia che numerose imprese considerano il cloud come un trampolino di lancio per la propria agenda digitale, con investimenti nel software as a service destinati ad aumentare del 50% nei prossimi 12 mesi. Quasi la metà dei leader aziendali (43%) ritiene che i cloud provider possano offrire un servizio migliore per i dati mission-critical rispetto ai processi IT interni. Gli investimenti nel Backup-as-a-Service (BaaS) e Disaster Recovery as a Service (DRaaS) aumenteranno di pari passo in quanto le aziende li combineranno con la tecnologia cloud.

In aggiunta, il 77% delle aziende ha riscontrato quello che Veeam identifica come “Protection Gap”, ovvero l’incapacità dell’organizzazione IT di proteggere i dati, superando quindi la soglia di tolleranza relativa ai dati persi, con aspettative sui tempi di attività costantemente insoddisfatte a causa di meccanismi e di politiche di protezione insufficienti. Nonostante le aziende affermino di poter tollerare solo 72 minuti all’anno di perdita di dati derivanti dalle applicazioni “ad alta priorità”, l’analisi di Veeam mostra che gli intervistati in realtà subiscono 127 minuti di perdita di dati, una differenza di quasi un’ora. Ciò rappresenta un grave rischio per tutte le aziende e impatta il successo del business in diversi modi.

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