Infrastrutture

Cloud, meglio se privato e con tecnologia aperta

Un sistema operativo per la nuvola basato sulla tecnologia aperta Openstack. A fare la differenza è la distribuzione e avere un partner solido. Ad avvalorarlo la ricerca commissionata da Suse a Dynamic Markets: se oggi Openstack è presente nel 15% delle architetture, il 66% degli intervistati afferma di volerlo adottare entro la fine del prossimo anno

Pubblicato il 13 Nov 2015

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Definitivamente passato dal ruolo di opzione a quello di priorità per la maggior parte delle aziende, il Cloud privato impegna ora i responsabili IT nel non facile compito di mettere a punto la necessaria architettura, alla ricerca della giusta combinazione tra costi, tempi e benefici. Tra le tendenze in corso di affermazione, OpenStack raccoglie consensi in misura crescente, non tanto per gli aspetti economici legati alla natura open source, quanto per l’ampia gamma di funzionalità messe a disposizione e da una community particolarmente attiva e competente dalla quale patch ed estensioni escono praticamente a getto continuo.

La complessità della questione è però elevata al punto da rendere possibile solo a poche organizzazioni di poter procedere in proprio, adattando il codice e mantenendolo efficiente a fronte di data center cresciuti nei modi più eterogenei nel corso di decine di anni. «Quando si è iniziato a parlare di OpenStack, anche chi nel 2011 era perplesso e aveva preferito seguire la strada proprietari nel giro di pochi anni ha capito che era meglio allinearsi – osserva Gianni Sambiasi, Territory Manager di Suse -. Oggi, possiamo parlare di modello virtuoso, lo stesso alla base del successo di Linux».

Un paragone non casuale, per l’azienda capace di costruire buona parte delle fortune proprio sul concetto di distribuzione, partendo appunto dalla versione open source di Unix. «Pensare di scaricare da soli OpenStack e riuscire a gestirlo da soli è molto difficile – sottolinea Sambiasi -. Non parliamo di una comune applicazione, ma di una problematica molto complessa per chi non può contare sulle necessarie competenze, la distribuzione è la soluzione migliore».

Fermo restando la massima libertà del cliente nell’intervenire sul codice, dal punto di vista commerciale il nodo è individuare come articolare l’offerta e il contenuto di una distribuzione. Per mettere a punto le due più recenti novità, con particolare attenzione anche alla nuova frontiera del software defined storage, è stato chiesto a Dynamic Markets di realizzare una ricerca orientata ai sistemi Cloud privati costruiti intorno a OpenStack, che ha coivolto 813 professionisti IT, di imprese in imprese con almeno 250 dipendenti equamente distribuite in sette nazioni tra Nord America ed Europa, rientra anche l’Italia, di cui il 76% opera su più sedi.

I dati dell’indagine mettono nero su bianco come il 90% delle aziende abbia già implementato almeno una soluzione di nuvola privata, che il 96% di loro preferirebbe utilizzare questo approccio per le applicazioni critiche e che il 93% ha individuato nel modello IaaS il riferimento per l’evoluzione del proprio data center. Interessanti sono anche i numeri specifici riferiti a OpenStack: se oggi è presente nel 15% delle architetture, il 66% degli intervistati afferma di volerlo adottare entro la fine del prossimo anno.

Un successo prevedibile, dal punto di vista di chi lo conosce a fondo. «È un framework pensato per risolvere problematiche complesse – riprende Sambiasi -. Contiene tutte le caratteristiche utili a mettere in piedi i processi, ma sui processi bisogna avere le idee molto chiare. Il nostro compito è proprio rendere questo più facile, individuare tutto ciò che deve essere installato». Compito arduo in Italia, Paese caratterizzato da aziende con peculiarità specifiche e con una marcata riluttanza nello sposare anche i risvolti di condivisione e confronto del mondo open source. «Progetti di questa portata chiamano in causa molti aspetti oltre alla piattaforma IaaS. Networking, storage, amministrazione e altro, possono fare riferimento a una persona diversa. È fondamentale un approccio graduale, nell’ambito di un progetto globale completo di una tabella di marcia».

Nel complesso però, la maturità sull’argomento appare a un buon livello. In linea con i risultati complessivi della ricerca, in Italia il 52% punta sul Cloud prima di tutto per avere una maggiore flessibilità dei sistemi IT e a seguire per aspetti strategici di innovazione (48%) ed economici (47%). Solo il 28%, infine, si scontra con il budget.

Suse, dal canto suo, pone l’attenzione su due aspetti in particolare. «Enterprise Storage 2 è la prima, e al momento unica soluzione, basata su tecnologia Ceph con supporto per una vasta gamma di sistemi operativi, per uno storage software-defined realmente a costi contenuti – conclude Sambiasi -. Siamo inoltre arrivati alla versione beta di Open Stack Cloud 6, con il supporto per l’alta affidabilità e soprattutto per il mondo mainframe».

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