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Cloud migration: i percorsi delle aziende

Come viene vissuta, sul campo, dalle aziende la migrazione verso il cloud? Quali gli step di avanzamento e le principali criticità? Dalla voce di cinque primarie realtà italiane proponiamo alcuni dei possibili percorsi

Pubblicato il 25 Ott 2018

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Nel concetto di data center esteso descritto nell’articolo Service composition: l’orizzonte dei nuovi datacenter, il cloud è considerato ormai quasi unanimemente un importante abilitatore di innovazione (figura 1), ma non vi è un unico percorso che le aziende devono compiere per centrare i propri obiettivi: l’evoluzione dei sistemi informativi è ben rappresentata dalla metafora della foce di un fiume (figura 2) dove l’obiettivo (il mare) viene raggiunto non con un unico e ben delineato estuario, ma attraverso un delta che si sviluppa con tanti rivoli diversi.

Figura 1 – la cloud transformation è nel DNA dell’azienda innovativaFonte: Osservatorio Cloud Transformation della School of Management del Politecnico di Milano, ottobre 2018

Come si evince dalla figura (dalla ricerca dell’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano su 142 grandi imprese), nell’evoluzione verso il cloud pubblico (utilizzato dall’82% del campione), la componente più consolidata è il SaaS mentre un’azienda su due ha scelto di adottare (completamente o parzialmente per alcuni ambiti) Hosted e Virtual Private Cloud per utilizzare servizi infrastrutturali esterni che consentono maggiori personalizzazioni e isolamento.

Figura 2 – l‘evoluzione del sistema informativo aziendaleFonte: Osservatorio Cloud Transformation della School of Management del Politecnico di Milano, ottobre 2018

Parallelamente ai percorsi di migrazione al cloud, il 36% delle aziende sta comunque investendo in soluzioni di modernizzazione dei propri data center on premises. Questa variegata situazione è stata al centro di tre tavole rotonde che si sono tenute durante il recente Convegno Cloud Transformation: evolvere con le nuvole verso l’organizzazione agile dell’Osservatorio per presentare i dati 2018 e che hanno visto confrontarsi 19 realtà tra aziende utenti e dell’offerta. In questo articolo ci concentriamo su alcune delle prime per capire come stanno concretamente affrontando questa migrazione.

Le strategie di migrazione

De Agostini Editore, storico brand operante dal 1901, da 10 anni ha iniziato un percorso di ampliamento e rinnovamento del proprio business che l’ha portato a costituire la divisione Digital De Agostini dedicata a svilupparne la presenza sulle piattaforme digitali: dai canali TV, ai siti web, alle applicazioni mobile. “Essendo fortemente focalizzata sull’innovazione digitale – spiega Emanuele Brunelli, Chief Technology Officer di Digital De Agostini – una scelta strategica è stata quella di creare un IT all’interno di quest’area, autonomo rispetto ai sistemi informativi aziendali”. La Divisione non parte quindi con i classici vincoli di un legacy da far evolvere e questo l’ha sicuramente avvantaggiata nel percorso verso il cloud pubblico intrapreso a partire dal 2014.

Emanuele Brunelli
Emanuele Brunelli, Chief technology officer, Digital De Agostini

“Abbiamo delineato un percorso in due step incrementali: nel primo abbiamo deciso di portare nel cloud pubblico tutte le nostre infrastrutture e servizi che non richiedevano particolari interventi perché già predisposti per essere fruiti in cloud; nel secondo si è trattato di lavorare su quegli applicativi che era necessario riscrivere per sfruttare la vera potenza del cloud”. Con questa logica dei due step sono quindi migrati inizialmente alcuni siti web che erano gestiti on premises. Questo primo progetto ha consentito all’azienda di consolidare le proprie competenze e di dare il via a un progetto molto impegnativo: “Forti degli ottimi risultati ottenuti con il primo progetto, abbiamo deciso di migrare in public cloud il nostro asset core ossia la video content factory interna con la quale vengono gestiti i contenuti video erogati sui principali siti web aziendali, in modalità VoD e live streaming”, spiega Brunelli.

Il sistema in questione deve gestire la codifica dei video caricati in diversi formati (ad esempio vector e mobile), i meta dati a essi collegati e le concessionarie di advertising. La complessità principale è dovuta proprio all’advertising per il quale è necessario un sistema customizzato che, attraverso specifici algoritmi di analytics, configuri e gestisca le concessionarie permettendo una corretta monetizzazione delle attività.

Il team IT di Digital De Agostini ha deciso di dismettere la piattaforma in uso e da un anno utilizza una piattaforma cloud nativa sviluppata utilizzando gli strumenti messi a disposizione dal provider: “Nella piattaforma in public cloud – prosegue Brunelli – gli sviluppatori hanno infatti a disposizione una serie di componenti applicativi prefabbricati da unire in maniera semplificata e intuitiva nella creazione di un software custom. In questo modo, la complessità del processo di sviluppo risulta estremamente ridotta”.

Ma Digital De Agostini non ha intenzione di fermarsi qui: “L’evoluzione nei prossimi mesi è sicuramente verso il multi cloud sia per non correre il rischio di lock in legandoci a un unico provider sia, e direi soprattutto, per sfruttare le peculiarità di ogni singolo provider”, conclude il CTO.

La strategia in ambito cloud di Intesa Sanpaolo è evidente anche solo dalla qualifica di Nicola Carotti, Responsabile Servizi Cloud e Collaboration, che infatti esordisce: “Intesa Sanpaolo ha deciso di costituire un ufficio, del quale sono responsabile, indirizzato proprio a costruire, monitorare e governare la strategia cloud”. Il percorso cloud della Banca nasce circa 7 anni fa sulla parte infrastrutturale con la dotazione di un private cloud al quale si è affiancata nel tempo la parziale fruizione di servizi anche da cloud pubblico: “Oggi circa il 60% dei servizi infrastrutturali viene erogata tramite private cloud e, laddove necessario, tramite public. Anche sul versante applicativo abbiamo un approccio opportunistico: Servicenow, Docebo e SuccessFactor sono alcune delle adozioni più recenti a dimostrazione del fatto che pensiamo anche al cloud come elemento che favorisce la trasformazione digitale”, afferma Carotti, che aggiunge: “Il nostro nuovo Piano d’impresa si pone l’obiettivo di essere la prima banca digitale d’Europa, una sfida per noi importantissima. Per vincerla l’IT si sta trasformando da creatore di oggetti a integratore di componenti tecnologiche, on premises e in cloud, agevolandone l’adozione attraverso il governo dei rischi che, come si sa, nel settore bancario sono strettamente regolamentati”.

Nicola Carotti
Nicola Carotti, Responsabile Servizi, Cloud e Collaboration, Intesa Sanpaolo

In questa trasformazione il cambiamento delle persone oltre che dei processi rappresenta uno snodo cruciale: “Negli ultimi 5 anni ho visto sistemisti trasformarsi in sviluppatori di automazione; stiamo lavorando per creare una comunità di specialisti cloud che sappiano integrare le diverse componenti disponibili sul mercato e integrarle al meglio in modo opportunistico sia dal punto di vista tecnologico che di processo; stiamo impiegando alcuni servizi di collaboration per la trasformazione in chiave digitale di alcuni processi della banca. Il valore delle nostre persone dell’IT sta proprio nella capacità di mettere insieme tutti questi fattori abilitando anche una integrazione organizzativa”.

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Il governo degli ambienti e l’importanza del networking

Lo scorso anno, Massimo Bertolotti, Direttore Innovazione e Multimedia Distribution di Sky Italia, aveva illustrato alla platea del Convegno annuale dell’Osservatorio come il cloud fosse ormai uno strumento consueto per la gestione dei metadati associati ai contenuti multimediali (informazioni di contenuto e di programmazione), ma non ancora per le attività core dell’azienda.

Massimo Bertolotti
Massimo Bertolotti, Direttore innovazione, E Multimedia Distribution, Sky Italia

Nel suo intervento al Convegno 2018, Bertolotti illustra i passi compiuti nell’ultimo anno: “Il cloud è fantastico, ma per funzionare le applicazioni devono essere virtualizzate e nella produzione televisiva non è possibile spostare tutto in cloud perché ci sono delle componenti che sono strutturalmente fisiche quindi ci scontriamo con due tipologie di problemi: da una parte la creazione di servizi non può, nel nostro caso, avere un workflow completamente in cloud; dall’altro non tutte le applicazioni girano nello stesso modo su tutti i cloud”. Problemi che possono essere parzialmente risolti con un approccio multi cloud che però introduce il tema dell’orchestrazione dei diversi ambienti: “Abbiamo quindi sviluppato un orchestratore che, proprio come un direttore d’orchestra che conosce tutti gli strumenti e sa quando ciascuno deve entrare in azione, sia in grado di spostare i contenuti dall’on premises ai cloud pubblici (ne utilizziamo 2) sia per sfruttarne le capacità computazionali sia per usufruire di determinati servizi offerti a uno dei due provider, come quelli di intelligenza artificiale”. Per dare un’idea della dimensione dell’attività in termini di performance, l’orchestratore deve essere in grado di spostare flussi di dati di 100 GB per secondo con una scalabilità/portabilità che deve essere garantita sotto i 15/20 millisecondi per non avere problemi: “Ci aspettiamo che l’orchestratore non solo sia capace di scalare verso il cloud con questi parametri, ma che sia anche in grado di parallelizzare questi processi, strutturalmente sequenziali, senza dover occupare troppa banda”.

Enel è un caso ormai famoso di migrazione verso cloud pubblico con un approccio multicloud. Stefano Regaglia, Head of Engineering Services, Infrastructure and Technological Services dell’azienda, spiega come uno dei temi strategici sia stato il ridisegno del networking: “Il cloud non funziona se non c’è un networking adatto”, ha esordito il manager Enel che ha spiegato: “Abbiamo baricentrato la nostra rete sugli hub internazionali di Francoforte e Amsterdam sui quali converge la nostra intranet; da lì vengono interconnessi i vari cloud provider”. Nel 2016 le linee dirette su Francoforte e Amsterdam sono state potenziate con tratte a 10 Gbit e ora si sta introducendo la virtualizzazione di tutta la rete, con la rete stessa fruibile in modalità as a Service.

Stefano Regaglia
Stefano Regaglia, Head of Engineering , Services, Infrastructure and Technological Services, Enel

Sul versante applicativo, quello su cui sta lavorando oggi Enel è lo sviluppo di nuove applicazioni: “Per ottenere il massimo dal modello cloud bisogna sviluppare applicazioni cloud native e quindi nell’ultimo anno abbiamo lavorato molto sul concept dell’applicazione cambiando il modello di riferimento: non più applicazioni monolitiche, ma graduale spostamento verso architetture a microservizi, basate su container. Questo ci offrirà inoltre l’opportunità di essere indipendenti dal cloud provider”.

Come cambiano organizzazione e competenze

Utilizza la metafora del treno Alessandro Alloisio, Corporate Systems & IT Planning Director di Ermenegildo Zegna, per spiegare l’impatto della cloud transformation nelle aziende: “Quando compro un biglietto posso scegliere tra varie tipologie di biglietti e differenti orari all’interno di un set offerto dal vettore ferroviario. Lo stesso avviene quando acquisto un servizio cloud: la scelta avviene all’interno di un pool, di un catalogo di servizi, se esco da questo catalogo [ammesso che sia possibile ndr] i costi sicuramente salgono e i tempi del progetto di allungano. Questa non è una cosa del tutto chiara in azienda”. Un tema di consapevolezza determinante strettamente correlato con quello contrattuale: “Spesso si pensa di acquistare un servizio tailor made invece si acquista una commodity e il provider non compila uno SLA diverso per ogni cliente; si tratta di contratti standard ed è indispensabile che chi acquista il servizio abbia delle competenze anche di tipo contrattuale. Soprattutto bisogna capire bene cosa succede se si volesse sciogliere questo contratto”.

Alessandro Alloisio
Alessandro Alloisio, Corporate Systems & IT, Planning Director, Ermenegildo Zegna

Infine c’è un altro tema importantissimo che rileva Alloisio: “L’IT è abituato a guidare un progetto tecnologico, ma, soprattutto se parliamo di SaaS, il cloud porta con sé processi ipertestati e se non si segue il processo definito, ancora una volta, aumentano i costi e si allungano i tempi. Un cambiamento importante che non riguarda solo l’IT: anche l’utente interno deve capire che un’interfaccia, per esempio, può cambiare o una funzionalità che oggi c’è, domani può non esserci più, deve insomma avere la flessibilità e la capacità di adattarsi al cambiamento.

Figura 3 – cosa deve saper fare chi si occupa di cloudFonte: Osservatorio Cloud Transformation della School of Management del Politecnico di Milano, ottobre 2018

Quindi: cambio di competenze [la figura 3 mostra quali sono le competenze che deve avere chi si occupa di cloud ndr], cambio di processo e di relazioni organizzative. I ruoli sono molto meno definiti e questa osmosi di competenze crea inevitabilmente tensioni che non è facile risolvere”.

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