La diffusione del Cloud Computing nella Pubblica Amministrazione italiana appare oggi più matura rispetto a qualche anno fa: i singoli enti si stanno muovendo con percorsi di accentramento dell’erogazione dei servizi, infrastrutturali e applicativi. L’approccio è spesso strategico, e con obiettivi e priorità ben definiti. Ma questo non corrisponde a un percorso altrettanto strategico e condiviso a livello di “Sistema Paese”, che apporterebbe maggiori benefici, come dimostrato dai casi internazionali “best practice”. Oggi quindi appare più che mai necessaria la definizione di standard, priorità e regole per accelerare la diffusione del Cloud tra gli enti pubblici e coglierne al massimo i potenziali benefici.
Questi alcuni dei risultati presentati nei giorni scorsi a Roma dall’Osservatorio Cloud per la Pubblica Amministrazione della School of Management del Politecnico di Milano.
«La competitività di un Paese non può oggi prescindere dalla sua digitalizzazione, per la quale il Cloud è un elemento abilitante fondamentale», ha affermato Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio.
Com’è noto, l’Italia parte da un gap di digitalizzazione che penalizza la competitività del Paese, e in questo contesto, sottolinea l’Osservatorio, il Cloud può essere uno strumento di competitività che, se adottato in modo sistematico e coordinato, può accelerare il processo di digitalizzazione, e la razionalizzazione dei processi delle PA, senza richiedere ingenti investimenti iniziali.
«L’esempio dei Paesi più virtuosi e digitalizzati mostra come la diffusione di iniziative Cloud (IaaS, PaaS, SaaS) possa essere accelerata da una strategia unica a livello Paese, di una normativa abilitante, e di una governance di attuazione chiara e definita – rileva Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio -. I Paesi virtuosi hanno seguito percorsi sistematici: alla razionalizzazione e consolidamento del patrimonio infrastrutturale è sempre seguito un ripensamento degli applicativi, in ottica di standardizzazione e riuso per consentire interoperabilità tra gli enti, e quindi migliorare l’interazione con i cittadini e le imprese».
La situazione in Italia
In Italia, con la gara SPC ancora in divenire, e con il recente cambio ai vertici dell’Agenzia per l’Italia Digitale, la situazione sembra statica. Nonostante la pubblicazione a dicembre 2013 delle linee guida per la razionalizzazione del patrimonio infrastrutturale della PA, per ora, oltre alla realizzazione del censimento del parco infrastrutturale, non ci sono stati ulteriori sviluppi.
«Questo censimento evidenzia 90 iniziative della PA Italiana a livello centrale, passando per le Regioni e interessando realtà locali come enti sanitari o comuni, per cui gli enti italiani hanno realizzato iniziative molto interessanti, nel limite delle loro possibilità e attribuzioni, nonostante la mancanza di una governance centrale che indirizzi la PA verso un obiettivo comune», rileva Alessandro Piva, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio.
Delle iniziative censite, il 50% sono infrastrutturali, volte a virtualizzare, consolidare e automatizzare le risorse in ottica IaaS. Il 43% invece è in ottica applicativa, con obiettivi di digitalizzazione di processi, interoperabilità tra soluzioni diverse, e integrazione delle informazioni dell’ente. Il 7% invece si è focalizzata su trasformazioni relative alla gestione dei device, abilitando nuove e più efficaci modalità di lavoro.
L’approccio bottom up tipico della situazione italiana mostra tratti comuni: nella maggior parte dei casi si parte da una razionalizzazione del patrimonio infrastrutturale, a cui segue un consolidamento delle piattaforme e una razionalizzazione del patrimonio applicativo che abilita il ripensamento di processi e modelli di servizio.
I casi studiati evidenziano inoltre una scala ben definita di benefici progressivi ottenibili dall’adozione del Cloud: da risparmi economici a vantaggi intangibili quali la semplificazione gestionale, il miglioramento della qualità dei servizi nonché la nascita di nuovi servizi, abilitati proprio dal Cloud. I benefici di maggior livello scaturiscono da iniziative a livello applicativo che prevedono la collaborazione tra enti diversi.
Al proposito la Ricerca ha individuato tra i casi studiati due modelli di collaborazione. Si parla di “collaborazione verticale” quando un ente fornisce servizi a enti da esso dipendenti, e di “collaborazione orizzontale” se due enti tra loro indipendenti mettono risorse a fattor comune per ottenere benefici. Quello che emerge è che in Italia proliferano iniziative di collaborazione verticale, nate da obiettivi di risparmio di costo, che hanno poi generato opportunità per offrire nuovi servizi. Invece le collaborazioni orizzontali, che consentirebbero maggior valore aggiunto grazie all’interoperabilità dei sistemi, sono rare per la mancanza di una governance centralizzata che indirizzi gli enti verso un percorso comune.
«In conclusione, in Italia il terreno dell’adozione del Cloud nella PA è molto fertile – afferma Mariano Corso – e bisogna riconoscere la proattività dei singoli enti, ma è arrivato il momento di creare una governance centralizzata che si occupi di definire obiettivi di lungo termine ai quali tendere in modo congiunto, e che apporti maggior valore aggiunto ai processi consentendo agli enti di dialogare tra loro». «Ciò – aggiunge Stefano Mainetti – può essere possibile solo definendo una normativa prescrittiva e abilitante, e introducendo un sistema di incentivi per gli investimenti in iniziative Cloud che consentano di promuovere anche la collaborazione tra gli enti».