Il cloud impone uno schema completamente "disruptive", non solo sul piano tecnologico e architetturale dei sistemi informativi, ma anche sotto il profilo organizzativo e culturale delle imprese stesse. A cambiare, come sostiene Stefano Mainetti, co-direttore scientifico dell’Osservatorio Cloud & Ict as a Service, School of Management del Politecnico di Milano, sono sia le modalità di lavoro e relazione all'interno delle aziende utenti sia i modelli di business che regolano il sistema dell'offerta. La trasformazione, insomma, riguarda l'intera catena distributiva, che si riconfigura sulle necessità dell'as-a-service con la comparsa di nuovi ruoli professionali, mentre vengono rimesse in discussione le dinamiche consolidate, con non poche reticenze. Graduale ma inesorabile, questo percorso evolutivo appare tanto più evidente e necessario nel mondo delle Piccole e medie imprese, sempre in cerca di flessibilità e per natura più reattivo al mercato rispetto al contesto delle large enterprise. Ed è proprio qui che trova spazio la figura emergente del cloud broker, come esperto capace di supportare l'azienda utente attraverso un orizzonte sconfinato di nuvole, dove scegliere la soluzione e il provider più adatti ai bisogni aziendali.
Una nuova figura: il cloud broker
"In sostanza – spiega Mainetti -, il broker fa scouting di servizi, ponendosi come intermediario tra fornitore e utente finale, grazie a una profonda conoscenza dell'offerta, nonché alle capacità consulenziali spesso abbinate alle competenze di system integrator. In genere, si tratta di società molto piccole, a volte poco più che start-up, che non solo hanno il compito di indirizzare le scelte di acquisto delle Pmi, ma devono anche portare avanti un'opera di sensibilizzazione nei confronti dei decisori aziendali". Secondo i dati dell'Osservatorio, infatti, il 76% delle Piccole e medie imprese italiane nel 2012 non aveva ancora attivato alcun progetto cloud e di queste ben il 60% dichiarava di non essere interessato a future implementazioni. L'adozione, insomma, è lenta e serve una spinta per "evangelizzare" le aziende, diffondendo la conoscenza sulle opportunità generate dalla nuvola. "A differenza dei system integrator che si muovono su un mercato di fascia enterprise – prosegue Mainetti -, i broker si rivolgono tipicamente a quei 4 milioni di imprese italiane sotto i 250 dipendenti, dove i dipartimenti It hanno meno risorse e la necessità di fare cultura è sicuramente maggiore". Per quanto complessa, la figura del cloud broker si sta via via affermando, anche se, come afferma Mainetti, incontra la concorrenza – o meglio, una certa sovrapposizione di ruoli – non solo dei system integrator, che comunque hanno un altro target, ma anche degli operatori Telco, che, appoggiandosi alla propria rete, finiscono con il rivendere servizi di altri provider in un'ottica consulenziale (è il caso, ad esempio, di Clouditalia che ha acquisito e sfrutta le infrastrutture di Eutelia).
"Certo – continua il co-direttore -, l'attività del cloud broker è tanto più richiesta quanto meno diffusa è la conoscenza intorno alla nuvola. Ma nella Pmi servirà sempre chi potrà offrire al responsabile del sistema informativo un supporto nella gestione dell'It as-a-service. Il brokeraggio, ovvero il guadagno di margini sulle vendite effettuate, è solo un modello di business e un aspetto di una ben più ampia attività di consulenza. Le aziende hanno e avranno bisogno proprio di questo: assistenza nella scelta del fornitore, ma soprattutto nella fase di sottoscrizione dei contratti e di personalizzazione delle soluzioni. Se il cloud sposta gli asset lontano dall'azienda e dal proprio presidio, generando ansie, occorre una figura in grado di avvicinare la nuvola attraverso le garanzie della conoscenza e del know-how, restituendo l'agilità come valore aggiunto".
E il canale tradizionale soffre
E mentre il broker sembra quindi avviarsi verso un fortunato destino, a fare le spese della rivoluzione cloud è il canale tradizionale. "La vendita di prodotti fisici per conto dei vendor – precisa Mainetti – ha il grande vantaggio di restituire un ritorno economico immediato per il distributore, con la possibilità di ottenere il controllo sul cliente fidelizzandolo, ad acquisto effettuato, grazie all'offerta di tutta una serie di servizi complementari. Passando all'as-a-service, invece, non solo il canale rischia di rimanere fuori dai giochi poiché i large vendor possono distribuire le proprie soluzioni in modalità self-service”, ma anche nel caso in cui il canale assuma un ruolo nella catena del valore della fruizione di soluzioni via cloud, diminuiscono drasticamente anche le certezze di fatturato. Se il cliente paga a consumo, infatti, il distributore avrà un guadagno differito nel tempo sui margini di intermediazione. “Senza contare – aggiunge Mainetti – la competizione agguerrita tra provider: se l'utente non è soddisfatto del servizio acquistato, interromperà il contratto per passare all'offerta di un concorrente e così il distributore vedrà interrompersi il suo profitto".
In questa situazione, come ammonisce Mainetti, c'è poco da fare: o il distributore si adegua alle nuove logiche di mercato oppure i vendor troveranno un altro partner. Così, preso tra l'incudine e il martello, il canale avrà vita difficile, poiché il provider-produttore gli imporrà obiettivi di fatturato sia per la distribuzione delle soluzioni on-demand sia per la vendita dei corrispettivi prodotti on-premise: una visione che Mainetti definisce "strabica" e che sarà causa di conflitti all’interno del canale stesso, costretto a rivolgersi alle Pmi con due proposte equivalenti, una tradizionale e l'altra as-a-service. "Diversa invece la questione per il mercato delle large enterprise – evidenzia Mainetti – dove è lo stesso vendor a servire direttamente l'utente finale e a dovere risolvere la diatriba interna".
E a proposito di divergenze, il canale non è il solo a dovere scendere a compromessi con il nuovo paradigma; anche i Cio, osserva Mainetti, dovranno abbandonare ogni remora sulla perdita di governance e salire di buon grado sulla nuvola: lo chiedono, anzi lo pretendono, le business unit che non sono più disposte a tollerare inefficienze e lentezza dei sistemi tradizionali, magari vecchi di anni e ormai obsoleti, ma vorrebbero cogliere i benefici delle soluzioni allo stato dell'arte offerte dal cloud.
"Il cloud – conclude Mainetti – è destinato a imporsi nelle Pmi italiane, nonostante il ritardo che queste attribuiscono in gran parte alla crisi economica e al taglio dei budget per l'innovazione. Secondo Gartner, stiamo entrando adesso nella curva di disillusione, ma prima che si passi pienamente alla fase di maturità e la nuvola arrivi a generare valore, ci sarà un lungo periodo di sperimentazioni ibride. La sfida ora è portare la nuvola dentro l'impresa per aumentare la produttività, fino al punto in cui di 'cloud' non si parlerà più, diventando un modello assodato per l'informatica enterprise, così come lo è già per il mondo consumer".