RIcerche e studi

Cloud, tutti si stanno muovendo verso il modello ibrido: tocca a storage e reti

Sostenuta da una ricerca Idc, Oracle prova a dettare tempi e modalità per l’evoluzione non più rimandabile dei data center, per esigenze di mercato, ma anche per una crescente inadeguatezza di infrastrutture ormai obsolete. La priorità è la standardizzazione dell’IT, la più grande preoccupazione è la sicurezza

Pubblicato il 06 Mag 2015

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John Abel, senior director Emea technology and systems di Oracle

Alle certezze consolidate sull’affermarsi del cloud computing quale infrastruttura di riferimento per i sistemi IT aziendali, si è ormai affiancata quella altrettanto radicata di una configurazione ibrida come modalità preferita. Una situazione di fronte alla quale l’offerta deve adeguarsi, in modo da garantire soluzioni in grado di assecondare la migrazione e mantenere al tempo stesso le promesse di massima versatilità e controllo dei costi.

La stessa strada è intrapresa con decisione anche da Oracle, pronta a trasmettere il messaggio ai potenziali clienti in occasione dell’evento milanese The Road to the Hybrid Cloud, con il supporto di una ricerca dalla quale trarre ispirazione. Dal proprio punto di vista, per mettere a punto l’offerta di Platform as a service idonea a sfruttare tutti i benefici del cloud; sul lato utente per trovare supporto utile a individuare la migliore strategia.

«Il fenomeno hybrid cloud è evidente ormai a tutti e in rapida crescita – esordisce Emanuele Ratti, system country leader di Oracle -. È qualcosa di assolutamente pervasivo, al centro dell’attenzione di tutti i nostri clienti, ormai senza alcuna eccezione. Addirittura, quasi un momento schizofrenico, ma in senso positivo, dove ogni utente cerca di costruirsi la propria strada, non senza una certa confusione».

Anche per questo, nel rispetto del ruolo di guida di mercato rivendicato dall’azienda, avere le idee chiare al riguardo è fondamentale. Da qui, la necessità di una ricerca mirata, affidata a Idg, la quale ha chiamato in causa 300 figure C-level o con poteri decisionali in area It in ambito Emea, scelti in modo orizzontale tra aziende con almeno 250 dipendenti.

A livello generale, il grado di attenzione si può ormai considerare soddisfacente. Il 41% che ha già intrapreso la strada del cloud computing, anche solo applicando la virtualizzazione, rappresenta infatti un’importante crescita rispetto al 18% di solo due anni fa. Crescita costante, anche se più contenuta, pure tra chi è a un livello più avanzato, già alle fasi successive, nel 39% dei casi. «Soprattutto, l’aspetto più importante è come praticamente nessuno risulti fermo – sottolinea John Abel, senior director Emea technology and systems di Oracle -. Stiamo ormai muovendoci verso la nuova generazione del cloud a livello enterprise, dove entrano in gioco anche storage e presto networking, per garantire versatilità, integrazione, flessibilità e naturalmente sicurezza».

Uno scenario dove le maggiori richieste dal mercato vanno in direzione di una standardizzazione dell’It, l’aspetto sentito dall’80% degli intervistati, mentre un 70% è preoccupato di garantire adeguato supporto al management in fase decisionale. Da non trascurare, anche il 65% intenzionato a sottolineare l’importanza di mantenere comunque sotto controllo la governance.

Una certa uniformità emerge tra i diversi punti chiave presi in considerazione in fase di approccio al cloud computing. La preferenza ancora marcata a iniziare dalla modalità privata (22%), è infatti appena di poco superiore all’importanza di contare su una chiara strategia di migrazione (21%), allo stesso livello dell’intenzione di tradurre al più presto il tutto in benefici tangibili. Una segnalazione importane per i fornitori arriva anche dal 21% convinto di non poter rimandare oltre gli interventi necessari su data center ormai datati. Cresce inoltre, la consapevolezza di voler iniziare dal modello privato come primo passo verso un assetto definitivo almeno ibrido.

Nessuna sorpresa invece sulle barriere verso un’apertura più decisa. «La sicurezza resta il problema più sentito, mentre meno scontata appare la richiesta di una integrazione senza ostacoli con le applicazioni esistenti e soprattutto la necessità di competenze adeguate – puntualizza Abel -. Significa che c’è tanto lavoro da fare per noi. Dobbiamo accompagnare le aziende in questo percorso, aiutarle ad acquisire le competenze necessarie a mettere in campo la migrazione. Fondamentale è per esempio non dover riscrivere alcuna parte di codice».

In una serie di requisiti non molto distanti tra loro per livello di attenzione, la sicurezza spicca infatti con il 55%, mentre l’integrazione si ferma al 47%, due punti più delle competenze. Da non trascurare, subito dopo, anche i costi hardware, un freno nel 44% dei casi, e del relativo software (43%). Nella stessa misura, preoccupa anche il dover ridisegnare la componente di networking. Come viene evidenziato, un aspetto dal quale appare lecito attendersi una ulteriore spinta in direzione delle software defined network.

Le indicazioni più importanti dal punto di vista dei fornitori, arrivano dalle aree indicate come prioritarie per agire già nel corso dell’anno. La maggior parte degli intervistati, 68%, investirà nel software-as-a-service, mentre il 61% guarderà al mondo database-as-a-service. Qualcuno di meno, il 57%, si dedicherà anche al platform-as-a-service. Nel 61% dei casi inoltre, sarà importante rivolgersi a chi in grado di garantire l’integrazione delle applicazioni, mentre il 59% intende dedicare attenzione all’attività di system management.

Dal punto di vista Oracle, un quadro abbastanza chiaro per orientare le proprie strategie in direzione delle aspettative dei clienti. «La domanda di un cloud ibrido è guidata dalla necessità di integrare nuovi servizi con le infrastrutture esistenti e rispondere alla richiesta di carichi di lavoro dinamici – riflette Abel -. Dobbiamo essere capaci di offrire risposte in tempi rapidi, e non solo ai Cio, per adattare le infrastrutture It. D’altra parte, chi cerca la massima disponibilità di dati e capacità di analisi spinte, non può pensare di garantirlo solo con le risorse interne».

Sono quindi ampi gli spazi di manovra per consolidare, se non aumentare, la propria quota di mercato, anche in modo da poter continuare e rivendicare il ruolo di guida del settore. «Il panorama si sta allargando a tutte le aree di attività aziendale e noi vogliamo essere in pole position – conclude Ratti -. Si tratta di abilitare l’infrastruttura, adattare l’architettura e garantire la sicurezza. In questa direzione, stiamo anche adattando l’offerta, come ribadisce la nuova linea di sistemi ingegnerizzati X5».

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