Un’indagine di Forrester condotta su professionisti di infrastrutture e operazioni (I&O) mostra come ci sia ancora parecchia confusione tra i progetti: molti confondono il cloud privato in modalità Infrastructure-as-a-service (IAAS) con le iniziative di virtualizzazione dei server.
Il risultato è che nessuno capisce bene cosa serve veramente per far fruttare al meglio gli investimenti in un’infrastruttura cloud privata.
Dalla ricerca emerge che il 36% dei team I&O sta spingendo o si prepara a promuovere quest’anno un investimento più o meno consistente nel deployment di un cloud privato, ma la maggior parte di loro non si sente pronta a gestire questo tipo di ambienti una volta implementato.
1. Qual è il confine tra cloud e virtualizzazione server?
Questa è la questione al centro di quasi ogni domanda Forrester ha posto in merito ai cloud privati.
La virtualizzazione costituisce la base di quasi ogni ambiente cloud IAAS e sarà possibile utilizzare molti degli stessi strumenti creati per il data center virtuale anche per gestire il cloud. Ma ci sono alcune differenze fondamentali tra i due.
Gli ambienti cloud sono molto standardizzati
Prima di tutto, è necessario riuscire a eseguire le principali procedure operative del proprio ambiente cloud, quali provisioning, gestione delle patch, controllo, riavvio, cloning e, persino, eliminazione o archiviazione dei file, ogni volta esattamente nello stesso modo. È attraverso la standardizzazione che si riesce ad assicurare la massima prevedibilità e controllo degli ambienti nella nuvola che, in questo modo, cominceranno presto a contribuire a ridurre i costi operativi.
Gli ambienti cloud sono completamente automatizzati
I vostri amministratori di sistema dovrebbero di essere coinvolti raramente nelle questioni relative al vostro ambiente cloud, perché le “nuvole” dovrebbero essere in grado di eseguire autonomamente la maggior parte dei task. Ecco come si ripagano gli investimenti in queste tecnologie ed ecco spiegato il time-to-market rapido che gli sviluppatori ricercano sempre.
Ciò significa che tutte le procedure che siano state standardizzate dovranno essere integrate in un software di automazione che ne curi l’esecuzione. Finché le richieste di sviluppo rientrano nelle procedure operative standard, gli amministratori non dovrebbero avere alcun ruolo attivo nel progetto.
Gli ambienti cloud sono self-service
Non abbiate paura di questo concetto, non stiamo parlando di lasciare spazio al caos. Il self-service rende la vita più facile agli specialisti di infrastrutture e operazioni attraverso procedure standardizzate, opzioni di distribuzione fissate a priori, un catalogo di servizi che è costruito come un albero decisionale e flussi di lavoro e approvazione automatizzati. Ogni utente, infatti, in questi ambienti ha titolo per accedere a determinati flussi di lavoro e, in sostanza, questo permette di costruire automaticamente il processo di approvazione all’interno del sistema di autorizzazioni degli utenti. Se non si offrono queste opportunità di sperimentare il self-service, gli sviluppatori non vedranno mai questo tipo di tecnologie come un beneficio per il loro lavoro.
Gli ambienti cloud sono multi-tenant
Quiz: Quanti cloud privati dovrebbe avere la vostra organizzazione? L’unica risposta giusta è “uno solo”.
Quanti ambienti di virtualizzazione dei server sono presenti nella vostra azienda? Uno per ciascuna business unit? Silos diversi per i diversi gruppi? Questo approccio tiene separate le applicazioni in uso da quelle che saranno implementate in futuro, evitando che le rispettive prestazioni si influenzino a vicenda, e rende più facile gestire i diritti di accesso. Per contro, mantiene anche artificialmente basso l’utilizzo delle risorse e nessun ambiente cloud dovrebbe sperimentare uno scarso utilizzo delle risorse.
Attraverso una buona architettura multi-tenant, i cloud privati mantengono praticamente separate le business unit, ma le risorse vengono sfruttate al meglio e gestite assicurando coerenza operativa e convenienza.
2. Alla fine, non tutto sarà “nella nuvola”?
No, nemmeno in un orizzonte temporale che arriva a coprire i prossimi 10/15 anni.
Come facciamo a saperlo? Guardate il vostro data center. C’è un mainframe in un angolo buio del vostro CED? Quel sistema Unix sul quale girava il database della vostra azienda quando ancora gli uffici occupavano a malapena due stanze, è ancora acceso? Perché quella macchina e ancora qui? La risposta è presto detta: perché continua a lavorare e lo fa, tutto sommato, bene. Probabilmente sarebbe costato di più cercare di modernizzare questa piattaforma e migrare i dati in essa contenuti che non lasciarla semplicemente in esecuzione.
Si possono virtualizzare ambienti di lavoro legacy in effetti, ma questo ancora non significa che sarà possibile includere il legacy negli ambienti cloud perché la natura altamente standardizzata e multi-tenant dei cloud privati potrebbe non adattarsi bene a questi ambienti “vetusti”.
Il cloud computing è solo un’estensione del portafoglio IT che offre nuove opzioni di distribuzione, con gradi differenti di risparmi attesi, standardizzazione, automazione ed efficienza. Aspettatevi che solo il 10/15% delle vostre applicazioni sia adattabile al cloud oggi, con un’ipotesi di crescita per i prossimi anni di una quota altamente variabile, compresa tra il 30 e il 60%.
3. Quanto grande potrà essere il mio cloud privato?
Più piccolo di quanto possiate pensare. Per prima cosa, tutti gli esperti raccomandano di partire “in piccolo”. Questo potrà permettere a voi e al vostro team di prendere confidenza facilmente con il nuovo ambiente, aumentandone le dimensioni in parallelo alla curva di apprendimento dei vostri skill in materia. Ci sono quattro ragioni per iniziare con un progetto in formato ridotto:
Aspettatevi un lento buy-in
Ci vorrà del tempo perché la vostra organizzazione inizi a percepire concretamente il valore nel cloud e voi, di sicuro, non vorrete spendere una fortuna nell’attesa che questo accada.
Massimizzate i tassi di utilizzo
Poiché l’obiettivo della nuvola è di massimizzare l’utilizzo delle risorse IT (ottenendo, così, risparmi di lungo periodo) è ovvio che il vostro fine sarà raggiungere il massimo tasso di utilizzo prima di espandere ulteriormente questo ambiente. Ciò significa anche riuscire ad assicurarvi che il vostro team di I&O sia a proprio agio con la gestione di un ambiente funzionante quotidianamente anche al 60% o all’80% della sua capacità massima.
Evitate che la nuvola si “accasci” sotto il peso dei compiti
L’uso più comune dei cloud, inizialmente, sarà a scopo di test e sviluppo. I carichi di lavoro sono, quindi, transitori, e nel momento in cui uno è concluso vorrete liberare rapidamente le risorse per il successivo. Se il cloud è troppo piccolo, costringerà gli sviluppatori a ripulire con cura tutto il proprio lavoro ogni volta che dovranno creare spazio per nuovi task.
Fate finta di lavorare per uno show “sold-out”
Questa considerazione è, forse, la meno intuitiva: avrete bisogno di indurre nei vostri utenti lo stimolo a volere di più. La nuvola è un ambiente condiviso, il che significa che avrete bisogno di parecchie di componenti di lobbying per promuovere la sua espansione e giustificare, quindi, ulteriori investimenti.
Se gli sviluppatori guardano alla rapidità del time-to-market che il cloud privato è in grado di fornire, questo indubbiamente vi agevolerà, ma potrebbe non essere sufficiente. Anche se un cloud privato ben progettato è allettante per gli sviluppatori, tenete presente che molti di loro potrebbero avere già dimestichezza con i cloud pubblici e potrebbero, quindi, essere scettici in merito ai benefici di quelli privati.
Gli sviluppatori sono, inoltre, spesso impiegati per ottenere il massimo valore dai vecchi, inefficienti, sistemi IT e non hanno, quindi, un chiaro incentivo a passare al modello cloud. Questo significa che dovrete essere in grado di rendere il cloud allettante per loro, pensando a incentivi ad hoc per questo tipo di soggetti attivi del progetto.