Il cloud appartiene ormai a quelle tematiche tecnologiche date per acquisite. Anche per questo ha senso capirne oggi il reale stato evolutivo e di implementazione perché chiunque abbia ricercato, negli ultimi anni, nuova capacità elaborativa e di innovazione scegliendo di portare nel modello as-a-service infrastrutture, piattaforme e applicazioni si è dovuto scontrare con una dura realtà: le complessità legate a questa transizione non sono banali. Soprattutto, la sfida correlata alla migrazione cloud richiede una riduzione non semplice delle rigidità organizzative aziendali; con la necessità di far evolvere le proprie competenze strutturatesi negli anni attorno a modelli tecnologici, organizzativi e di processo pensati per aziende a silos, poco trasversali nei loro flussi operativi. Proprio attorno a questi aspetti si articola lo studio realizzato a fine 2023 da McKinsey sull’intero campione che compone le 80 grandi aziende profilate dalla società di consulenza per il proprio CloudSights Database.
Sono in genere questi elementi intangibili, più che gli aspetti tecnologici e architetturali, le principali cause ostative al raggiungimento di un Roi significativo legato al passaggio al cloud. Lo studio ribadisce d’altro canto l’ineluttabilità per le aziende del ricorso al cloud. Sottolinea tuttavia che sono ancora poche le realtà che possono misurare significativi effetti sul valore generato. McKinsey stima infatti un incremento di profittabilità media tra il 20 e il 30% nelle aziende Global 2000 ma la maggior parte delle imprese va a rilento in questo percorso: circa un terzo dell’aumento del valore dell’Ebitda nell’indice azionario statunitense S&P 500 degli ultimi 10 anni è infatti provenuto da sole otto società native digitali con un’infrastruttura cloud. Tutto il resto continua ad avere difficoltà: solo il 10% delle aziende dell’indice S&P ha infatti dichiarato di acquisire valore significativo e “strutturale” dagli investimenti cloud.
La ricerca in questione si occupa anche dell’AI generativa come strumento utile a superare questa empasse. Dal confronto con il panel di Cto e cloud program leader emerge infatti inevitabile l’interesse per queste tecnologie applicate alle fasi di implementazione. Tutto ciò che infatti serve per la transizione al cloud può essere supportato e accelerato. Già nei processi di application remediation (prioritizzazione, check qualità e security, test di vulnerabilità e penetration, ecc) e di migrazione al cloud (ridisegno end to end ottimizzato dei tradizionali flussi operativi), il panel di aziende ha rilevato una diminuzione di circa il 40% in tempi e investimenti necessari grazie ai tool di AI utilizzati.
Ma questa volta non ci occuperemo di AI generativa. Vedremo invece la parte dello studio in cui gli analisti McKinsey identificano le azioni prioritarie per migliorare l’efficacia e l’efficienza del cloud; i principali problemi sul versante tecnologico da superare per catturare valore; i passi chiave da compiere sul fronte organizzativo e i supporti necessari per rendere efficace il passaggio. Va infatti considerato che, sempre secondo McKinsey, solo il 15-20% delle applicazioni nelle medie e grandi aziende sono oggi in cloud anche se ormai da tempo queste stesse aziende sono passate al nuovo modello architetturale. E lo scorso anno, nei dodici mesi, solo tra il 5 e il 10% ha adottato il cloud. Il campione McKinsey ha dichiarato la volontà di portare in cloud circa il 50% delle proprie applicazioni entro tre anni e la maggior parte del proprio parco applicativo nei prossimi cinque. Guardiamo dunque ai passi che queste imprese si apprestano a compiere.
Tre modi di usare il cloud
Sono almeno tre le aree di riferimento in cui McKinsey prevede un utilizzo cloud che possa portare valori economici tangibili per le imprese (con opportunità e indici di crescita diversi a seconda dei settori):
- Una prima area è legata all’ottimizzazione dei costi attraverso un rinnovamento dei sistemi informativi. Il modello as-a-service è in questo caso preferito dalle aziende per ottimizzare i costi dell’IT. Viene quindi scelto l’utilizzo dei server in cloud per realizzare un’infrastruttura auto-scaling nella quale le applicazioni sono monitorate costantemente in automatico e le risorse ricalibrate, scalate e distribuite nei diversi servizi in rapporto alla domanda di utilizzo, con il risultato di creare un ambiente più stabile, più flessibile, resiliente e reattivo. Sempre l’allocazione automatica delle risorse cloud può essere indirizzata alla manutenzione e allo sviluppo applicativo, con evidenti impatti sui costi e sulla velocità di rilascio dei progetti. Infine anche un ambiente IT cloud standardizzato, dinamicamente dimensionato, ridondante e auto riparativo accelera la creazione di risparmio e di valore tanto che questo approccio di “ringiovanimento via cloud” dei sistemi informativi è previsto possa generare per le aziende un Ebitda di circa 570 miliardi di dollari di aumento a partire dal 2030.
- C’è poi tutta la fase di ricorso al cloud per accelerare la capacità di innovazione. Applicato alla digitalizzazione dei processi core, consente alle imprese un maggior coraggio nell’adozione di tecnologie nuove o prima poco usate (analytics, AI generativa, IoT, realtà immersiva e altre) per sperimentare nuovi business model “disruptive” rispetto ai propri legacy tradizionali. Le architetture cloud per supportare la business innovation si stima che possano valere 2,5 trilioni di dollari del valore totale del cloud a partire dal 2030.
- McKinsey si aspetta infine un terzo gruppo di aziende pioniere nell’utilizzo del cloud. In pratica realtà “fully digital” che attraverso la sperimentazione continua di nuove tecnologie fruite grazie al ricorso ad architetture as-a-service altamente scalabili, faranno del processo di innovazione continua e di disruption dinamica dei propri modelli di business la loro fonte primaria di valore.
Tre ostacoli alla generazione di valore attraverso il cloud
Quali impedimenti vanno quindi rimossi per creare nuovo valore con il cloud? Per essere concreti, McKinsey ha analizzato i programmi cloud di 90 grandi aziende, incontrando Cio, Cto, responsabili architetture e cloud program leader. Ne emerge che le aziende sono ancora parecchio lontane da aver raggiunto i propri obiettivi cloud. Solo il 39% delle aziende ha oltre il 30% delle proprie applicazioni in public cloud. Per non parlare delle evidenze in termini di valore: solo il 10% ha dichiarato di aver misurato questo obiettivo. Circa il 40% ha spostato in cloud solo poche applicazioni e di conseguenza non si è raggiunta un’evidenza di valore e di efficacia. Come accade da sempre nelle imprese, anche le tecnologie più disruptive, come senz’altro sono state quelle cloud, spesso faticano a essere considerate innovazioni di business prima ancora che novità tecnologiche. Ciò significa che molti tech leader continuano oggi a trattare il cloud come un’altra fase legata a una serie di innovazioni dell’hosting (come le architetture x86, Linux, virtualizzazione, ecc) e al perenne tentativo di abbatterne la struttura dei costi. Il passaggio da questa impostazione al cloud come supporto strategico nella revisione dei modelli operativi e di business è ancora in buona parte da realizzare.
Dal campione, McKinsey ha identificato almeno tre elementi significativi di complessità:
- Il primo riguarda l’allineamento difficile da parte degli executive team nel correlare investimenti cloud e le priorità di business definite. Vedono questo rapporto slegato, con conseguenti scarsi investimenti da destinare. Anche sul versante IT sussistono freni: gli investimenti e i costi legati al passaggio cloud sono, per attribuzione di budget, quasi sempre a carico dell’IT, mentre i potenziali benefici si riversano su tutto il resto dell’organizzazione. Ne risulta che l’area IT è teoricamente disincentivata a spingere l’investimento come si dovrebbe. Questo rende difficile dimostrare, cifre alla mano, il valore del cloud e convincere i business executive a un pieno supporto al cloud in quanto tecnologia business value.
- Il secondo elemento è tecnologico. Spesso nelle grandi aziende le applicazioni legacy necessitano di una remediation, una preparazione o addirittura una revisione architetturale per poter essere utilizzate con efficacia, sicurezza e resilienza nel cloud. Senza questo lavoro, alcune aziende hanno rilevato che le applicazioni in cloud costano più che nella modalità on premise. Le applicazioni core, spesso legacy, sono state negli anni affinate moltissimo (con conseguenti investimenti) per poter girare in modo ottimale su architetture on premise. Il processo di migrazione, quindi, non è semplice e non sempre è visto come un’occasione per una vera application remediation, con un forte ricorso a tecnologie e metodologie di preparazione delle applicazioni al cloud.
- Il terzo aspetto critico è la complessità organizzativa richiesta dal cloud per poterne sfruttare appieno le caratteristiche. Serve un coordinamento trasversale tra i diversi team IT e business, con una condivisione, anche economica e di budget, degli obiettivi da raggiungere nonché una forte capacità di governance del cambiamento. Questa si è rivelata una fase più complessa del previsto con la necessità di una trasformazione “Agile” dove i processi siano meno strutturati, gruppi di lavoro più snelli e coordinati, azioni migliorative ricorsive e continue. Ma questo è il percorso obbligato perché il cloud possa creare valore di business e non un’effimera efficienza tecnologica.