La complessità dei testi contrattuali aventi a oggetto l’erogazione di servizi di Cloud Computing, così come la criticità delle previsioni in essi contenute, possono realmente costituire un freno allo sviluppo dei servizi Cloud nel vasto panorama delle imprese italiane di piccola e media dimensione? In un’ottica di tutela dei consumatori e delle PMI, l’attenzione degli esperti di settore – tra cui il gruppo di lavoro sul Cloud Computing promosso dalla Commissione Europea – si è di recente rivolta proprio all’individuazione di best practice nelle fasi di negoziazione e contrattualizzazione, sulla base dell’assunto per cui clausole contrattuali poco chiare o eccessivamente sbilanciate costituirebbero un deterrente all’acquisto dei servizi in questione.
Su questo tema si è soffermata recentemente anche la Ricerca 2014 condotta dall’Osservatorio Cloud & ICT as a Service della School of Management del Politecnico di Milano, che ha analizzato un vasto campione di PMI (332), con l’obiettivo di comprendere se e in che misura la predisposizione unilaterale, da parte dei principali vendor, di accordi spesso fortemente sbilanciati in proprio favore possa incidere sulla scelta del fornitore o del servizio. Contrariamente alle attese, i risultati della survey hanno tuttavia evidenziato come soltanto in una modestissima percentuale dei casi analizzati i contenuti contrattuali abbiano influenzato la strategia d’impresa circa l’acquisto o meno di un servizio Cloud (vedi anche il VIDEO in fondo all’articolo).
Solo il 5% delle imprese interpellate ha dichiarato, infatti, di aver riscontrato, nel corpus contrattuale, clausole critiche o insoddisfacenti, le quali sono comunque state accettate al momento della stipulazione dell’accordo nel 4% dei casi analizzati, mentre hanno avuto effetto dissuasivo avverso la conclusione del contratto solo nell’1% dei casi. A fronte di tali modestissime percentuali, ben il 51% dei rispondenti all’indagine dichiara di non aver riscontrato alcuna criticità nell’articolato dei contratti in argomento, laddove una consistente porzione del campione analizzato – pari al 44% – ha ammesso di non aver nemmeno proceduto ad analizzare le condizioni contrattuali di fornitura prima di adottare la nuova tecnologia.
Specularmente, e a ulteriore riprova della scarsa importanza attribuita dalla PMI alle clausole contrattuali in sede di scelta del fornitore o del servizio, ben il 61% del campione intervistato dichiara di non aver rilevato nessuna criticità sui livelli di chiarezza e trasparenza dei contratti, mentre il 32%, pur non scorgendo alcun deficit di chiarezza, ha lamentato l’eccessiva lunghezza degli accordi.
Solo un modesto 8% giudica le condizioni di fornitura dei servizi in questione poco chiare e difficilmente comprensibili. La scarsa importanza attribuita dalle PMI ai contenuti contrattuali può probabilmente giustificarsi sulla base del modesto valore del contratto, che, in un’ottica di bilanciamento tra costi e benefici, rende antieconomico un adeguato supporto legale in fase di negoziazione, così come avviene invece nell’ambito delle grandi aziende.
Ciò non toglie, comunque, che l’auspicabile diffusione di prassi contrattuali meno “unfair” porterebbe a un innegabile aumento della fiducia riposta dalla imprese nell’adozione di strategie Cloud, oltre che a una riduzione dell’ipotetico contenzioso che attorno ad esse potrebbe sorgere.
* Gabriele Faggioli è legale e Adjunct Professor MIP-Politecnico di Milano; Annamaria Italiano è Avvocato