La proposta del cloud computing compare in un momento in cui il mondo dell’It viene attraversato da due altri modelli di provisioning, uno relativo all’hardware ed uno relativo al software, intesi entrambi alla realizzazione della cosiddetta ‘impresa flessibile’, quella cioè capace di reagire ai mutamenti imposti dal mercato e dal quadro competitivo (e magari di anticiparli) adattando alle nuove esigenze ed ai nuovi processi di business che queste possono comportare la propria struttura e le proprie risorse. Ci riferiamo al consolidamento e virtualizzazione delle risorse di elaborazione, storage e rete, che disaccoppiando l’infrastruttura tecnologica dalle soluzioni applicative rende disponibili a queste ultime tutto ciò di cui hanno bisogno con la massima flessibilità, e al cosiddetto software-as-a-service (SaaS), che disaccoppiando la disponibilità delle applicazioni dal loro acquisto, installazione e manutenzione, ne rende parimenti flessibile il reperimento e l’impiego. Come abbiamo anticipato nell’articolo precedente il cloud computing comprende entrambi i concetti, che ne sono anzi i pilastri portanti. Non può prescindere infatti dall’esistenza di un insieme di risorse interconnesse e indifferenti nei confronti del programma che ne fa uso (il pool dei Pc di Napster, vedi articolo precedente), ed il suo scopo è fornire servizi fruibili su richiesta, come una qualsiasi utility pubblica. Ma siccome quello che interessa all’azienda utente è appunto la fruizione del servizio, lasciando al fornitore gli aspetti tecnologici sulle quali questa si basa, parleremo prima e soprattutto del SaaS, una proposta che è già da tempo tra noi e sulla quale molti Cio si trovano a doversi confrontare.
Soluzioni software: da asset a servizio
Il Software-as-a-Service, ricordiamo, è un modello di provisioning secondo il quale l’utente sottoscrive un contratto d’uso per un’applicazione che gli viene fornita via Internet da un Isp terza parte sui cui server è ospitata. Il concetto è simile a quello dell’Application service provisioning (Asp), che non fu un gran successo. Ma mentre questo lavorava adattando all’accesso via Web una logica client-server, il SaaS prevede l’uso di applicazioni scritte ad hoc che possono essere distribuite su più server e permettono a numerose istanze di essere eseguite in modo concorrente in un ambiente comune. L’Isp può quindi servire con una stessa applicazione centinaia di utenti, abbattendo i costi della fornitura. E rispetto agli anni dell’Asp sono scesi di molto, anche in Italia, i costi della necessaria connettività a banda larga.
Figura 1. Risposte alla domanda "Selezionate il trend che ha l’impatto più importante sul vostro business". Fonte: Enterprise Software Customer Survey 2008. McKinsey (cliccare sull’immagine per visualizzarla correttamente)
Nel 2005 Idc prevedeva che entro il 2009 un decimo del mercato worldwide del software aziendale si sarebbe spostato sul SaaS. Una stima che secondo la recente indagine Enterprise Software Customer Survey 2008, svolta da McKinsey presso 857 Ceo, Cio e Cfo di società che per dimensione ed area geografica sono rappresentative del mercato globale, risulta più che confermata (figura 1). Il passaggio ad una piattaforma SaaS è stato infatti valutato dal 31% dei rispondenti come la tendenza “di maggiore importanza” sul business; superando la Soa (seconda, con il 25%) l’offshoring delle risorse (al 13%) e l’open source (8%). Questo trend è confermato dalla crescita della quota del budget software che viene spesa secondo modelli di abbonamento o fatturazione ‘on-demand’ (figura 2), che dall’attuale 19% passerà l’anno venturo al 21%. Se aggiungiamo l’aumento dal 10 al 12% della spesa fatturata in base alle transazioni (che è anch’esso un modello ‘a consumo’), è evidente che l’idea di pagare il software sull’uso che se ne fa, senza l’investimento iniziale per l’acquisto della licenza, è assolutamente vincente. Né potrebbe essere diverso. Non solo gli utenti incominciano ad essere un po’ stanchi di comprare licenze d’uso, pagare contratti di manutenzione e poi affrontare spese ulteriori per gli upgrade, ma secondo lo studio, ancora di McKinsey, Delivering Software as a Service, il confronto tra il Tco di una classica applicazione business (un pacchetto di Crm per 200 utenti) acquistata, installata e mantenuta ‘in house’ e il Tco di un’applicazione equivalente fruita come servizio dimostra un risparmio superiore al 28% a favore di quest’ultima.
Figura 2. Fonte: Enterprise Software Customer Survey 2008. McKinsey (cliccare sull’immagine per visualizzarla correttamente)
Questo risparmio non piove dal cielo, né è totalmente frutto di una riduzione dei costi, ma è in buona misura fatto a spese dei profitti del vendor. Lo stesso studio confronta infatti i dati finanziari 2007 di tutti i fornitori software (esclusa Microsoft) rilevando che mentre la media del profitto lordo degli Isv tradizionali è del 31%, quello dei dieci fornitori classificati come “pure SaaS” è solo del 13%, eroso da costi generali e commerciali più alti della media. Si tratta però, osservano gli analisti McKinsey, di un problema di scala dovuto al fatto che i vendor SaaS sono ancora relativamente piccoli. E anche, aggiungiamo noi, di una scelta necessaria ai fini di un’azione di rottura in grado di aprire a questi nuovi attori il mercato. Se si limita infatti il confronto agli Isv con un giro d’affari inferiore a 1,2 miliardi di dollari, i valori tra vendor tradizionali e SaaS sono praticamente uguali; così come i vendor SaaS più affermati hanno ben più ricchi margini, come il 19% di Digital Insight e l’ottimo 26% di WebEx, la specialista di videoconferencing che giusto lo scorso marzo è stata acquistata da Cisco per 3,2 milioni di dollari. In ogni caso, sebbene da quanto abbiamo detto si può capire come il SaaS non sia stato particolarmente spinto dall’industria del software, il suo affermarsi sembra una tendenza irreversibile, tanto che gli Isv tradizionali stanno correndo ai ripari e Sap, il numero uno del software business, già nel 2006 ha presentato il suo mySAP Crm in versione SaaS, hosted da Ibm e fruibile a 75 dollari per utente/mese. Passare però da soluzioni trasversali ai processi di business dell’impresa, come quelle per l’amministrazione del personale, la sales force automation o lo stesso Crm, a soluzioni gestionali non è affatto facile. Un esempio di queste difficoltà lo ha fornito la stessa Sap annunciando il mese scorso il rinvio del progetto di fornitura SaaS della piattaforma gestionale Business by Design, che era stato annunciato nel settembre 2007 negli Usa e nel febbraio 2008 in Italia. Una decisione dovuta a problemi di messa a punto del software che, dicono gli analisti di Gartner, “non ci ha colto di sorpresa”.
Figura 3. Fonte: The McKinsye Quarterly, may 2007 – Delivering Software as a service (cliccare sull’immagine per visualizzarla correttamente)
Il ruolo dell’infrastruttura
Che succede se coniughiamo il SaaS con il cloud computing? Un decisivo salto di qualità nel livello di servizio, dovuto al ruolo che un’infrastruttura tecnologica resa indipendente e separata dalle funzionalità della soluzione da essa abilitata può giocare nel garantire un elevato Sla. Parliamo allora del secondo pilastro del ‘cloud’, ovvero di una tecnologia che Forrester Research ha definito, in base a domande poste a provider di servizi, fornitori d’infrastruttura ed aziende utenti, come: Un insieme di infrastrutture di elaborazione virtualizzate, altamente scalabili ed automaticamente gestite, in grado di ospitare applicazioni destinate all’utente finale e a lui addebitabili secondo il consumo. Perdonateci se è un po’ lunga, ma a parte il fatto che la lingua di Dante non ha la sinteticità di quella di Shakespeare, i concetti che definiscono un ‘cloud’ e lo distinguono dal Data center che eroga applicazioni hosted sono più d’uno, tutti necessari e nessuno sufficiente.
Per non limitarci ad elencarli, ma comprenderne il ruolo ed il peso relativo, abbiamo voluto ascoltare quei fornitori di tecnologia che saranno (e in parte già sono) chiamati a tradurre questi concetti in realtà. Nel novembre 2007, per esempio, Ibm ha presentato i piani del progetto Blue Cloud, che prevede di rendere disponibili una serie di offerte di cloud computing entro la metà del 2008.
Secondo Fabrizio Renzi (in foto), Technical Director di Ibm STG (il gruppo che si occupa delle tecnologie dei sistemi), “Il cloud è un’evoluzione del grid computing dal quale si distingue in primo luogo per prevedere la presenza delle diverse macchine, che nel nostro caso possono essere cluster di blade server con processori Power e x86 o i mainframe Z10 di nuova generazione, in un singolo posto fisico, e in secondo luogo per disporre di metodologie di allocazione dinamica delle risorse che nel grid non ci sono”. Mentre nel Data center tradizionale le macchine vengono pre-allocate al cliente in base al contratto di outsourcing, nel ‘cloud’ gli utenti ricevono automaticamente la potenza di calcolo via via necessaria in funzione dei servizi erogati. Ciò comporta tra l’altro, aggiunge Renzi, “la necessità di comprendere nel cloud anche un cloud payroll, cioè un meccanismo di attribuzione dei costi che agisce sia all’interno, per attribuire le attività ai centri di costo, sia all’esterno, per il billing ai clienti”.
Il provisioning dinamico è una parola chiave anche per Giuseppe Facchetti, responsabile della Business Unit Server di Sun Italia (in foto): “L’automazione, ossia la presenza di meccanismi di gestione, configurazione e procurement delle risorse, nonché di self healing e self repair, distinguono il cloud dal normale Data center”. Ma l’altra parola chiave, che lo distingue anche dal grid computing, è la virtualizzazione. Infatti, spiega Facchetti, “mentre un’applicazione dev’essere scritta in un certo modo per sfruttare al meglio l’architettura grid, uno degli obiettivi del cloud è che il software non debba ‘sapere’ come è fatta l’architettura sottostante ma riceva solo potenza di calcolo e spazio per i dati”. Ciò significa che i clienti non devono specificare il tipo di piattaforma occorrente alle loro applicazioni e la scelta dell’infrastruttura è di esclusiva competenza del service provider. E anche questa è un’importante differenza rispetto all’hosting tradizionale. Per Sun, però, il reperimento delle risorse non dev’essere indifferenziato: “Nel cloud computing – prosegue Facchetti – l’applicazione dev’essere fatta girare sull’architettura ad essa più adatta. Per alcune va benissimo avere centinaia di macchine piccole, per altre occorrono sistemi multi-Cpu, ridondati e così via”. Ciò implica che i meccanismi di automazione di cui si è detto devono poter funzionare anche in un ambiente eterogeneo, garantendo, ed è l’ultima ‘parola chiave’ citata da Facchetti, la massima affidabilità.
Si può aspettare, ma non troppo
Tutti questi meccanismi di gestione automatizzata delle risorse realizzano quella che Lorenzo Gonzales (in foto), Practice Principal di HP Italiana, chiama una ‘adaptive infrastructure’, un’infrastruttura ubiqua flessibile nei confronti delle applicazioni e quindi dei processi business che queste governano, sottolineando come questa debba a tal fine essere disaccoppiata dal servizio che viene fornito. Gonzales aggiunge però come sia possibile, in funzione anche degli standard tecnologici adottati, che il provider del ‘cloud’ si specializzi, per così dire, in certi tipi di servizi (paghe e stipendi, bancari, e così via), nella fornitura dei quali la sua infrastruttura risulti ottimizzata. Passando dal piano tecnologico a quello della proponibilità del cloud computing come modello di erogazione dei servizi It alle imprese, Gonzales osserva come questa “…sia al momento in una fase preliminare, trattandosi di qualcosa che cambia radicalmente il modo in cui l’azienda si approvvigiona dei servizi It. C’è però un interesse verso il suo utilizzo e si vedono esperienze sempre più diffuse che lasciano intravedere un interessante percorso di crescita”. Più che altro, il sourcing proposto dal cloud computing viene considerato applicabile alle applicazioni aziendali non mission-critical. Per Gonzales, “ciò è dovuto alla percezione di rischio che gli utenti hanno sull’esecuzione di certe applicazioni, che preferiscono quindi lasciare su sistemi dedicati ed isolati da fattori esterni, e per il livello di specializzazione che queste applicazioni hanno, che comporta da parte del provider un modello di fornitura vicina all’hosting dedicato”.
Questo atteggiamento di ‘wait and see’, ottimistico ma prudente, è condiviso anche dalle conclusioni cui giunge una recente indagine (marzo 2008) di Forrester Research, dal significativo titolo Is Cloud Computing ready for the Enterprise? Per cominciare, sebbene si tratti di un modello d’offerta sul quale sia i fornitori di tecnologia sia quelli di servizi stanno parecchio lavorando, non si tratta ancora, secondo gli analisti, di qualcosa pienamente supportato da entrambi. Anche per questo, sebbene risulti molto adatto alle esigenze del business delle piccole e medie imprese, soprattutto se nelle fasi di start-up (quando occorre dotarsi rapidamente di soluzioni e si è impegnati in investimenti), non si può dire che possa soddisfare i criteri di stabilità e maturità delle piattaforme e dei fornitori richiesti dalle grandi imprese. Con tutto questo, sarebbe un grave errore trascurarlo o sottovalutarlo, trattandosi di un qualcosa che promette di cambiare tutto il modo di concepire ed utilizzare l’It.
Avocent: gestione sicura di server e pc
Gestione centralizzata delle risorse It e controllo del rispetto delle policy di sicurezza: è quanto offre Avocent con il software di gestione It integrato sulla piattaforma Cisco Application Extension per l’integrated Services Router di Cisco. I software Avocent (www.avocent.com) integrati nei router Cisco sono in realtà due: MergePoint che consente agli amministratori It di accedere ai service processor all’interno dei server per controllare da remoto potenza, lettura dei sensori e altre funzionalità dei server; LandDesk Patch Manager che consente agli amministratori di rete di individuare e creare in automatico un inventario di tutti i server, desktop e laptop Pc e Macintosh collegati a una Wan. “Questa soluzione combinata, Cisco-Avocent, consente ai professionisti It di usare una sola console per gestire e rendere sicuri in remoto tutti i sistemi strategici, incluso i server, oltre ad avere una panoramica completa dei desktop di rete. In futuro continueremo e lavorare con Cisco per aggiungere ulteriore valore”, ha dichiarato Ed Harper, chairman di Avocent.(P.F.)
Netasq: sostituire Firewall di vecchia generazione
L’utilizzo di firewall dotati di semplifici funzionalità di base è molto diffuso, ma questo tipo di firewall è insufficiente per rispondere efficacemente alle nuove minacce. Idc segnala che il 75% delle imprese a livello globale devono urgentemente migrare a dispositivi di sicurezza di seconda generazione. Alla luce di queste consideraizoni, Netasq ha lanciato un programma di trade-in per il passaggio ad appliance che includono le funzionalità Ids-Ips-Fw-Vpn e il filtraggio dei contenuti attraverso strumenti anti-malware, anti-spyware, anti-spam, antivirus, di filtraggio Url e analisi dei rischi. Il programma consiste in un singolo forte sconto applicabile senza restrizioni su tutti i dispositivi Netasq in sostituzione di qualsiasi appliance di sicurezza della concorrenza. (P.F.)
Una nuvola chiamata Google
C’è una società, che conosciamo tutti, che il cloud computing lo attua da anni ed è Google. E da qualche anno, tramite questa tecnologia, Google Enterprise (www.google.com/enterprise/), presente in Italia dal 2005, offre alle aziende servizi per la ricerca documentale, applicazioni geospaziali e comunicazione e collaborazione unificata. I primi portano, tramite appliance dedicate, la potenza e le caratteristiche per le quali Google è diventato il motore di ricerca più usato sull’Internet, sugli archivi e sulle intranet aziendali, interfacciandosi con le più diffuse piattaforme di content management (Documentum, FileNet, Sharepoint…). I secondi integrano dati e mappe geografiche in soluzioni per il marketing e il Crm, la logistica, il field force management e così via; gli ultimi e più recenti, lanciati in Italia nel 2007, permettono di scambiare e gestire messaggi scritti e vocali nonché di lavorare insieme su documenti di ogni tipo. Questi servizi sono offerti secondo il modello SaaS, fruibili a richiesta e a basso costo. Per dire: i servizi Google Apps (mail, chat, calendar, gestione ed editing di documenti condivisi e creazione di ambienti virtuali di collaborazione) costano solo 40 euro all’anno per utente.
Ora, Google eroga questi servizi avendo appunto realizzato una infrastruttura basata su logiche di virtualizzazione e cloud computing, che adotta da tempo. “Sul cloud computing – ci dice Carlo Marchini, responsabile Google Enterprise per l’Italia –siamo partiti anni fa e oggi abbiamo un numero, che è segreto, di data center sparsi per il mondo in località altrettanto segrete e operanti ai massimi livelli di sicurezza fisica e logica. Un’infrastruttura che ci consente di ospitare milioni di caselle G-mail da 5 Gigabyte l’una e di gestire su YouTube un traffico di 10 ore di video caricate ogni secondo”. Ma se questo consente a Google di essere quello che è, qual è il senso del SaaS e del cloud computing per le imprese utenti? Per rispondere a questa domanda Marchini osserva che le aziende normalmente impiegano costose infrastrutture sicuramente sovradimensionate rispetto a servizi essenziali quanto banali come la mail, la comunicazione e così via. “Non ha senso dedicare risorse ed investimenti per quello che non è il core business”. Questo concetto si va affermando e per Marchini ne è un segno lo sviluppo di applicazioni in chiave SaaS da parte di società come Microsoft, Cisco o Sap. “Certamente – conclude Marchini – il cambiamento di mentalità nell’It aziendale verso il provisioning è fondamentale“. (G.C.B.)