“Quando ho tutto sotto controllo, significa che sono lento”, diceva Mario Andretti, ex campione di Formula 1, a sottolineare che vittoria e rischio corrono su binari paralleli. In pista come sul mercato (globalizzato, competitivo, dai ritmi serrati), la velocità è fattore critico di successo: per servire un business dinamico, l’It deve predisporre infrastrutture flessibili e l’hybrid cloud può rappresentare una soluzione efficace, anche a costo di una governance difficile, che richiede un ridisegno organizzativo, di processi e di competenze dei Sistemi Informativi. L’Executive Dinner Hybrid cloud, capire i vantaggi e ridisegnare i sistemi: verso un approccio strategico, organizzato da ZeroUno con la partnership di Avanade, mette in luce questi temi, auspicando un coraggioso quanto ormai ineluttabile cambio di pelle all’interno delle architetture e dei dipartimenti It.
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“Oggi – afferma Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno – le aziende devono affrontare una serie di nuove sfide di mercato con business che, proprio grazie alla digitalizzazione spinta, cambiano struttura, logiche competitive, attori di riferimento”.
Come si risponde al mondo che cambia? Innanzitutto con un approccio organizzativo diverso e l’arricchimento delle competenze, ma anche con l’evoluzione dei sistemi informativi a supporto delle attività aziendali, in funzione delle variabili competitive: “Nella logica di flessibilizzazione, l’hybrid cloud si profila come una risposta importante agli scenari mutevoli dell’‘azienda liquida’, mentre all’It si chiede, secondo la metafora di Gartner, di essere bimodale: Sprinter, per saper innovare con rapidità, in continua sinergia con le Lob, attraverso soluzioni e progetti a forte base digitale (digital business); Maratoneta, per poter garantire una corretta evoluzione del legacy verso infrastrutture aperte, standard e flessibili (cloud e software defined), in grado di reggere le variabili del business, garantendo al contempo stabilità, operatività e security”, prosegue il direttore di ZeroUno.
Da soldato, che si limita a gestire il “caos quotidiano” (riprendendo una recente classificazione Forrester), l’It deve diventare change consultant, guidando la digitalizzazione, e orchestratore di servizi / partner nei nuovi ambienti sulla nuvola. Una trasformazione necessaria, tanto che, come dice Uberti Foppa, “il cloud journey non è più un’ipotesi, ma una scelta obbligata: la questione ora è come fare”.
La nuvola come necessità: numeri e ambiti
L’intervento di Stefano Mainetti, Codirettore Scientifico dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service School of Management del Politecnico di Milano, insiste sull’urgenza del cambiamento: “Il cloud o terza piattaforma fatta di mattoncini elementari, si inserisce in risposta a un mondo sempre più consumerizzato e in fase di accelerazione”. Ad agire sulla trasformazione, una serie di fattori: 45 milioni di smartphone e 12 di tablet (“anche l’Italia è mobile first”), e-commerce in crescita, Internet of Thing (6 milioni di oggetti connessi e un mercato da 0,9 mld di dollari), mobile payment (sono 8 milioni i device dotati di Nfc).
“Il cloud – dice Mainetti citando i numeri dell’Osservatorio Cloud del Politecnico – è cresciuto complessivamente del 31% nel 2014 rispetto al 2013, per un giro d’affari di 1.180 milioni di euro (da notare che la spesa It complessiva, pari a 17 miliardi, è in contrazione); la componente del cloud pubblico ha registrato un incremento del 40%, raggiungendo i 320 milioni di euro, mentre la cloud enabling infrastructure del 28% (860 milioni). Da questi dati si evidenzia proprio l’approccio bimodale prima descritto: da un lato, c’è la rincorsa all’innovazione attraverso l’acquisto di applicazioni come servizio e, dall’altro, la volontà di costruire un’infrastruttura solida, che prevede degli investimenti”.
La spesa cloud è così ripartita: 43% SaaS (in particolare applicazioni di office automation e collaboration, con un’apertura alle soluzioni mission critical), 49% IaaS e 8% PaaS.
Sul fronte della cloud enabling infrastructure, il 45% delle 82 aziende intervistate dal Politecnico ha espresso l’intenzione di aumentare gli investimenti, mentre il 48% riconferma i budget dell’anno scorso. Le priorità di investimento sono dirette innanzitutto all’inserimento di soluzioni di Mobile Device management (46%) e centralizzazione / consolidamento del data center (33%). “Si va verso l’automazione – fa notare Mainetti – all’interno di un cloud journey che tipicamente prevede il passaggio dai server tradizionali alle fasi di virtualizzazione, razionalizzazione e consolidamento, provisioning automatizzato delle risorse cloud. L’hybrid cloud è lo step successivo, ma per le aziende italiane rimane ancora un traguardo a tendere”.
In questo contesto, è inevitabile un cambiamento della funzione Sistemi Informativi e un deciso avvicinamento al business: il 63% delle iniziative avviene di concerto con le Lob, mentre solo nel 35% dei casi l’It agisce da solo.
“Il viaggio verso la nuvola richiede una visione infrastrutturale – ammonisce Mainetti – e al team It servono nuove competenze in materia di: service management (a garanzia degli Sla), supply management (per la gestione dei fornitori), change management, demand management (per interpretare correttamente le esigenze delle linee di business, che altrimenti tendono a muoversi in autonomia). Anche i partner stanno cambiando pelle, perché il cloud abilita nuovi modelli di business: vendere servizi significa anticipare gli investimenti. Il sistema dell’offerta si va riconfigurando: alcuni fornitori si specializzano nella “vendita dei mattoncini”, altri nell’erogazione dei servizi o fungono da canale. Secondo le nostre ricerche, i channel partner che hanno dimostrato maggiore proattività al cambiamento in direzione cloud hanno ottenuto Ebitda più alti nel 2014”.
Cloud: bisogna crederci e pensare globale
Insomma, investire nella nuvola oggi è un imperativo. “Dopo anni di contrazione della spesa It e di consolidamento – afferma Raffaele Sgherri, Director, Cloud & Managed Services di Avanade -, oggi le aziende investono nel digital business per la metrica del ritorno [se prima i progetti It venivano perlopiù avviati per un beneficio immediato di efficienza e taglio sui costi, ora i decision maker ragionano in una logica più lungimirante e d’insieme, in termini di aumento dei profitti grazie all’attivazione di nuovi servizi di business, ndr]; il bisogno di valore come driver è molto importante, soprattutto nel determinare la scelta del partner [le scelte di approvvigionamento non sono più guidate dal criterio del miglior prezzo, quanto dalla capacità del fornitore di generare plus competitivi per l’azienda, ndr]: la flessibilità architetturale portata del cloud permette di cambiare fornitore, optando sempre per l’offerta ottimale in quel determinato momento”. Secondo Sgherri, anche l’Italia è pronta per passare al nuovo modello e, anzi, una ricerca Avanade dell’ottobre 2014 dimostra che le nostre aziende sono meno resistenti alle barriere più comuni del cloud (sicurezza in primis) rispetto ad altri Paesi.
Ma quali sono i pillar del cloud journey? Il manager di Avanade li riassume così: “Innanzitutto bisogna crederci e bisogna fidarsi, facendo della nuvola quasi una ‘religione’. Il secondo punto è pensare e progettare cloud first. Bisogna investire solo per risultati di business, partendo da progetti pilota che permettano di valutare il grado di adozione e quindi il successo di un nuovo servizio (cicli di “Try & Learn”), e, infine, assicurarsi i migliori talenti, sviluppando skill non solo tecnologici ma anche di visione. “Qui – puntualizza Sgherri – entra in campo la figura del digital strategist a progettare piattaforme digitali che coprono l’intera azienda e non solo i singoli reparti. Il disegno complessivo è fondamentale per non perdere il controllo sui sistemi, integrando e orchestrando le migliori tecnologie. L’approccio di Avanade all’hybrid cloud parte proprio da un assessment degli obiettivi e dalla definizione di una strategia ai fini di garantire la governance, cogliendo appieno i vantaggi del cloud”. Tra i benefici della nuvola, Sgherri menziona innanzitutto la possibilità di scoprire nuove opportunità di business, testando i servizi, la scalabilità rapida e massiva, l’eventualità di passare da un servizio all’altro, dismettendo i vecchi servizi (“il cloud non deve essere fatto di soli cicli additivi”).
Governance unica e agility vs compliance
A questo punto la parola passa alle aziende. Ad aprire il dibattito, riportando la propria esperienza aziendale è Daniele Benedetti, Leading Enterprise Architect & Innovation di Pirelli Sistemi Informativi: “Siamo partiti dotandoci di un’infrastruttura interna per il private cloud, poi abbiamo sperimentato il cloud pubblico con Azure e Amazon. Stiamo lavorando alla definizione di policy chiare e una strategia univoca, così come a una piattaforma che permetta un continuum tra risorse interne ed esterne all’azienda”.
“Le metodologie di gestione tra tecnologie cloud e on-premise sono diverse – si inserisce Sgherri a proposito di controllo e vista olistica -. Le logiche vanno conosciute entrambe. Il problema è avere una struttura unificata di governance per gestire cloud e on-premise. Gli skill sono diversi, ma la gestione deve essere unica”.
Andrea Salvatore Dazio, Business Intelligence di Ubi Banca, invece, rileva una diversità di approccio a seconda dei processi aziendali: “La parte corporate lavora su server in-house, mentre la parte retail, nell’ottica della multicanalità, si sta spostando verso il cloud”. La difficoltà, nel contesto bancario, è unificare le piattaforme dovendo fare i conti con un’organizzazione e processi molto compliance-oriented. “L’aspetto transazionale – prosegue Dazio – ha molta probabilià di migrare sul cloud, ma sussistono sempre i vincoli normativi”.
Eppure l’It deve correre per soddisfare il business, altrimenti si rischia di perdere il controllo. “Se l’It non offre quanto richiesto – dichiara Gianluca Ambrogi, Application Manager di Deutsche Bank -, le Lob si muovono ormai in autonomia. Le persone di business sono molto portate ad acquistare servizi, ma meno a valutare i rischi, guardando soprattutto al time-to-market e al taglio sui costi. In banca, i Sistemi Informativi devono essere il custode dei rischi che il business corre”.
“Il trade-off compliancy vs agilità richiede coraggio – commenta Mainetti -: le normative ingessano, ma il business ha richieste da soddisfare in tempi stretti. A volte l’It finge di non vedere che le Lob stanno agendo in autonomia per guadagnare in velocità, ma bisogna correre i rischi insieme, senza bisogno di cani da guardia”.
Marco Gallibariggio, Direttore Sistemi Informativi di CheBanca – Gruppo Bancario Mediobanca, invece, riporta un’esperienza positiva, di stretta sinergia con il Marketing e di coinvolgimento della Compliance sui progetti cloud: “Forse perché siamo un’azienda piccola”, dice, oppure, come suggerisce Mainetti, per l’orientamento digital innato, visto che si tratta di una banca online. In CheBanca, il cloud è visto anche come opportunità per liberare risorse e riallocare il personale It impegnato sull’operatività: un beneficio, però, perseguibile a patto che It e business siano entrambi disposti a sviluppare nuove competenze.
L’It che cambia e i driver del cloud
A proposito di skill, Paolo Ballabene, It Director di Tnt Global Express, sottolinea l’esigenza della figura dell’Enterprise Solution Architecture per la progettazione di ambienti It costruiti a mattoni, che possono essere facilmente sostituiti in caso di malfunzionamenti, senza che l’intera infrastruttura venga intaccata.
“Per la direzione It cambiare mindset è una grande sfida e genera terrore – sostiene Mainetti -, soprattutto per chi è sempre stato abituato a ragionare per silos. Tutte le funzionalità operative su cui prima agiva l’It oggi vengono regolate da script all’interno del public cloud. Cito un professore della Carnegie Mellon University, secondo cui i Sistemi Informativi dovrebbero lavorare per il 15% su competenze tecniche, mentre spendere l’85% del tempo con le Lob”.
Ma nonostante le difficoltà, c’è chi, nel panorama eterogeneo delle cloud agenda intraprese dalle aziende nazionali, propende per un as-a-service totale. “Nel giro di tre anni vogliamo avere tutto in cloud – proclama Giandomenico Oldano, Responsabile Ict Operation, Architetture e Security di Rcs Mediagroup -. Il mondo dell’editoria è cambiato radicalmente, con la carta che ormai è diventata quasi un male necessario. Già cinque anni fa abbiamo iniziato a costruire un’azienda cloud oriented. Il nostro Crm è su SalesForce e abbiamo costruito molti servizi direttamente su Amazon”. L’on-premise, insomma, sarà ridotto ai minimi termini, utilizzato, probabilmente, solo per il disaster recovery.
Sono state quindi le esigenze di business a guidare il ridisegno infrastrutturale, così come avviene per il 60% dei casi, secondo quanto riportato da Sgherri (solo il 40% degli upgrade nasce sulla spinta di necessità tecnologiche, ad esempio per questioni di obsolescenza).
A questo riguardo, l’esperienza cloud in Poste Italiane rappresenta la risposta alla complessità aziendale e a un business estremamente differenziato, come spiega l’It Manager Alessandro Saralli: “Gestiamo 35 milioni di transazioni al giorno e 800 applicazioni su canali e per mercati diversi (servizi postali, prodotti bancari e assicurativi, carte Sim ecc.), ma che si intersecano. Stiamo centralizzando tutti i CRM e i datawarehouse, in un percorso di trasformazione che coinvolge 145.000 persone (1.000 dell’It) e un mainframe da diversi migliaia di mips”. In questo contesto (ogni anno vengono portate avanti un centinaio di iniziative It complesse “con impatti trasversali rispetto ai sistemi applicativi” e 1.200 medio/piccole), pianificare diventa difficile, ma indispensabile: bisogna conoscere i processi, le persone, l’organizzazione e andare verso un modello SaaS, prima di tutto in azienda secondo il pagadigma della SOA (secondo l’It Manager è l’integrazione e l’intercambiabilità delle applicazioni come servizio – e non delle macchine virtuali – ad abilitare il vero valore del cloud). “L’It – conclude Saralli – deve andare a braccetto con il business: la governance diventa addirittura aziendale e non solo relegata ai sistemi informativi”.
Avanade verso Azure e la nuvola ibrida Fondata a Seattle nell’aprile del 2000 come joint venture tra Accenture e Microsoft, Avanade è un fornitore di servizi It aziendali che coniuga competenze consulenziali e tecnologiche, con oltre 70 delivery center in 20 Paesi nel mondo, 22mila professionisti worldwide e un fatturato 2014 di 2 miliardi di dollari. In Italia, dove è presente da quasi 15 anni, opera attraverso sei uffici (Milano, Roma, Firenze, Siena, Torino, Cagliari) e conta oltre 650 consulenti, per un fatturato totale di circa 80 milioni di euro nel 2014. |