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Cloud migration: la voce di chi ha già avviato un percorso verso l’hybrid cloud

Dai servizi in ambito finanziario alla casa di moda, passando per la grande impresa produttiva: tre aziende di natura completamente differente, con esigenze ed obiettivi diversi, accomunate però da un percorso evolutivo che vede nell’hybrid cloud il “nuovo” modello dell’IT per rispondere dinamicamente alle esigenze del business. Abbiamo raccolto le loro testimonianze durante l’IBM Think Summit

Pubblicato il 30 Lug 2019

Nicoletta Boldrini

giornalista

Foto di IBM Think 2019

Il recente IBM Think Summit che si è tenuto a Milano, occasione tra l’altro per l’apertura ufficiale degli IBM Studios e il lancio dell’IBM Garage, ha fatto da palcoscenico di presentazione e condivisione dei percorsi di cloud migration, verso nuovi modelli di hybrid cloud, che alcune importanti realtà italiane, europee ed internazionali, stanno vivendo al proprio interno.

La doverosa premessa al perché il tema della cloud migration meriti oggi tanta attenzione è affidata ad Alessandro La Volpe, Vice President IBM Cloud & Cognitive Software Italy di IBM, il quale, citando i risultati di una recente survey condotta da IBM su diverse migliaia di CIO e IT Manager a livello globale, osserva: “L’84% delle aziende ha fallito o si trova in difficoltà nell’affrontare in modo adeguato un percorso di digital transformation a causa di una struttura rigida delle applicazioni e un approccio a silos delle infrastrutture e dei dati”.

foto di Alessandro La Volpe
Alessandro La Volpe, Vice President IBM Cloud & Cognitive Software Italy di IBM

Ciò che serve, per far fronte a queste criticità, “è un accesso al cloud basato su logiche di portabilità, con piattaforme open e ibride”, sottolinea La Volpe.

E siccome non esiste una ricetta unica, ma “ognuno deve modellare il proprio percorso e costruire il proprio cloud journey”, ricorda La Volpe, la condivisione delle esperienze di chi ha già intrapreso un progetto di cloud migration, con diversi approcci ed è oggi a differenti livelli di maturità, può risultare di particolare valore (e ispirazione) per chi ancora deve intraprendere il viaggio.

ESN – European Securities Network porta i sui asset più importanti, i database, in cloud

ESN ha un modello di business molto particolare, opera nell’ambito dell’intermediazione, dei servizi finanziari, ed ha avviato un percorso di migrazione al cloud quando ancora non era così scontato, soprattutto per una realtà che appartiene al mercato Finance. A raccontare questa trasformazione è Giorgio Maria Zancan, Ceo dell’European Securities Network che spiega: “ESN di fatto è una partnership, ormai solida e di lunga data, iniziata quasi vent’anni fa, tra grandi gruppi bancari europei e operatori indipendenti che hanno messo a fattor comune una grande risorsa, l’analisi finanziaria”.

Foto di Giorgio Maria Zancan
Giorgio Maria Zancan, Ceo dell’European Securities Network

L’analisi finanziaria richiede competenze ultra specialistiche ma anche tecnologia avanzata, soprattutto per quanto riguarda l’intermediazione e la negoziazione dei titoli sui mercati finanziari europei (servizi di analisi e consulenza che ESN eroga ai cosiddetti investitori istituzionali, cioè fondi comuni di investimento, fondi pensione, strutture di private banking, banche e assicurazioni che investono sui mercati azionari europei), motivo per cui oggi il modello di business di ESN non è ancora stato replicato, “anche perché richiede una governance non banale”, ammette Zancan. “I nostri servizi si basano quindi su dati e documenti. Abbiamo quindi come asset tecnologico importante i database”.

Database che oggi sono tutti in cloud. “Non posso nascondere che all’inizio decidere di migrare i database in un ambiente cloud è stato molto difficile – racconta Zancan -, veniamo da una storia dove all’inizio la nostra architettura IT era addirittura suddivisa tra i partner. Nel 2015 abbiamo però deciso che la cloud migration potesse essere una scelta strategica importante, nonostante molte banche centrali avessero valutato il passaggio al cloud come un’operazione da ‘non suggerire’. Abbiamo dapprima suddiviso l’architettura in ‘core’ e ‘non core’ per affrontare in modo graduale il percorso, anche se mi preme sottolineare che oggi la nostra è un’architettura completamente cloud”.

Parlando dei vantaggi ottenuti, Zancan sottolinea come primo aspetto quello dei costi, “abbiamo pressoché dimezzato i costi dell’IT”, dice, ma vira poi anche sul tema performance soprattutto in ottica di dinamicità ed agilità di business: “prima impiegavamo circa due mesi per creare e impostare un server, oggi è questione di poche ore… sia per renderlo disponibile, sia per spegnerlo”.

“Nel 2015 abbiamo quindi compiuto il passo, portando tutto in cloud. Non è stato tutto roseo, convincere i partner è stato certamente il primo scoglio da superare; ci siamo poi dovuti dotare di competenze differenti, più focalizzate su aspetti organizzativi, di processo e di gestione. Abbiamo imparato che gli SLA del cloud dipendono dalle capacità di governance e su questo noi abbiamo dovuto strutturarci con competenze ad alta professionalità. Negli anni successivi ci siamo concentrati sulla modernizzazione… ora guardiamo al futuro, in particolare alle tecnologie legate all’intelligenza artificiale”, dice concludendo Zancan.

Dal legacy all’hybrid cloud: la Business Technology di Fincantieri

Non ha certo bisogno di lunghe presentazioni l’azienda che ha 230 di storia ed è un vanto del “made in Italy” nel mondo, ma alcuni dati possono dare l’idea del valore di una realtà come Fincantieri: oltre 7mila le navi costruite fino ad oggi; ricavi record di quasi euro 5,5 miliardi di Euro nel 2018 con una crescita del 9% rispetto al 2017; profittabilità in netta crescita con Ebitda di 414 milioni di Euro (+21% rispetto al 2017) ed un margine sui ricavi di 7,6% (rispetto al 6,8% nel 2017); nuovi ordini acquisiti all’inizio dell’anno per euro 8,6 miliardi di Euro: commesse per 27 navi, di cui 14 cruise da 8 armatori diversi.

“Stiamo vivendo un momento di grande fermento in termini di business – racconta dal palco dell’IBM Think Summit, Pierantonio Azzalini, Responsabile Progetti Innovativi e Strategici di Fincantieri -, abbiamo ordini già confermati che terranno a pieno regime il lavoro dei cantieri per i prossimi dieci anni circa”.

Foto di Pierantonio Azzalini
Pierantonio Azzalini, Responsabile Progetti Innovativi e Strategici di Fincantieri

Una situazione rosea dal punto di vista del business, un po’ più “stressante” se si guarda all’impatto che si genera sui sistemi IT: “la tecnologia rappresenta una caratteristica costante del nostro business – spiega Azzalini -, dal momento in cui la nave viene ideata (la prima cosa che facciamo è per esempio una stampa in 3D della nave stessa) fino al momento in cui viene consegnata, esiste un fìl rouge di tecnologia che ha bisogno di una ‘ossatura’, ossia l’infrastruttura. Il nostro è un business molto complesso e diversificato e, con 230 anni di storia, la parola legacy per noi aveva un significato profondo. Qualche anno fa abbiamo deciso di sostituire questi strati di legacy con una nuova piattaforma di hybrid cloud, un ‘trapianto’ di nuova tecnologia cominciato con la standardizzazione di tutti i processi di infrastruttura (migrando in cloud circa 1200 server e 1100 apparati di rete), proseguito poi con la costituzione di un SOC – Security Operation Center, il rinnovamento di tutte le componenti dedicate alla Collaboration, la revisione dei sistemi di printing e plotting (per Fincantieri estremamente importante) e il ridisegno di tutte le architetture che rientrano nel servizio al cliente”.

In questo complesso percorso di trasformazione, il modello cloud ha giocato un ruolo determinante ed è stato il fulcro del ridisegno stesso del Data Center e della creazione di un centro di Disaster Recovery. “Oltre ai sistemi centralizzati, avevamo bisogno del ‘Data Center in a box’ perché non potevamo permetterci di avere la tecnologia troppo lontana dalla nave”, descrive Azzalini. “Abbiamo quindi sviluppato una piattaforma di hybrid cloud con una componente centralizzata (nel Cloud di IBM) ed una distribuita (i Data Center in a box allestiti nei cantieri)”.

I risultati condivisi di Azzalini testimoniano chiaramente quanto questo percorso di cloud migration, benché complesso, abbia ripercussioni positive sia sull’IT sia sul business: “i risultati più consistenti sono quelli raggiunti in termini di performance e affidabilità, abbiamo per esempio registrato un +30% nelle prestazioni dei sistemi Sap (che per noi sono l’ossatura della produzione), scalato la capacità elaborativa di due volte e mezzo, aumentato di tre volte la capacità storage. Risultati che ci permettono di essere efficaci nei confronti dell’attuale momento di grande crescita del business”.

La tecnologia per la moda. L’esperienza della Maison Valentino

La Maison Valentino è stata fondata nel 1960 da Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti. Grande protagonista del panorama della moda internazionale, oggi è una realtà da 1 miliardo e 200 milioni di fatturato annuo, con 4500 dipendenti. “E’ un’azienda italiana, prevalentemente incentrata in Italia con tre sedi importanti (Roma, dove c’è la sede creativa; Milano, dove risiede l’anima commerciale; Valdagno, in provincia di Vicenza, dove si concentrano le attività più operative ed i servizi), cui si aggiungono anche 10 società/sedi produttive”, ci tiene a sottolineare Danilo Cedro, CTO di Valentino. “Valentino è oggi una realtà globale con 8 sedi internazionali e 250 punti vendita, boutique di proprietà di Valentino, cui si aggiungono poi altri punti vendita non di proprietà e l’eCommerce”.

Danilo Cedro, CTO di Valentino

“La sfida principale che l’IT deve affrontare per supportare un business agile e veloce come quello della Maison Valentino risiede nella capacità di erogare soluzioni nuove o modifiche a quelle esistente in modo molto molto rapido”, racconta Cedro. “Nel mondo del Fashion i rapidi cambiamenti di mercato sono ormai una costante e per l’IT significa adottare un modello flessibile e molto reattivo. Questo deve necessariamente passare anche da un nuovo approccio alle infrastrutture”.

“Valentino è una realtà che ha visto arrivare l’insurrezione digitale e da azienda che vedeva l’IT in modo centralizzato (il cui core era ovviamente rappresentato dal Data Center) si è spostata verso un nuovo modello dell’IT che ha oggi nell’hybrid cloud il suo core”, spiega Cedro. “Siamo arrivati al cloud ibrido partendo dalla virtualizzazione dei sistemi passando poi al Software as a service: abbiamo cambiato il paradigma stesso dell’IT, siamo passati dal Data Center centric al ‘workload centric’. E’ il workload l’elemento da cui partire per decidere quale può essere la strada migliore per la sua ottimizzazione”.

Il cambio di paradigma dell’IT ha avuto come ‘effetto’ primario la revisione del modello di gestione delle risorse: “oggi l’IT è un ‘orchestratore’ – osserva in conclusione Cedro -. La ricerca della velocità e della flessibilità ha trovato nell’hybrid cloud una risposta efficace, ma questo ha richiesto un nuovo approccio alla governance con una focalizzazione forte sulla disponibilità e, al contempo, la protezione sia dei dati sia delle infrastrutture”.

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Nicoletta Boldrini
Nicoletta Boldrini
giornalista

Segue da molti anni le novità e gli impatti dell'Information Technology e, più recentemente, delle tecnologie esponenziali sulle aziende e sul loro modo di "fare business", nonché sulle persone e la società. Il suo motto: sempre in marcia a caccia di innovazione #Hunting4Innovation

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