La roadmap verso il cloud ibrido non è immediata e richiede una solida strategia di evoluzione infrastrutturale e applicativa alla base. L’offerta Vdc (Virtual Data Center) di Interoute si propone di semplificare il cloud journey, mettendo a disposizione dei clienti la propria piattaforma di Infrastructure-as-a-Service: “Crediamo – spiega Matthew Finnie, Cto di Interoute – che ci sia un modo più semplice e graduale di pensare alla nuvola ibrida: le aziende dovrebbero innanzitutto superare il modello It tradizionale che separa il computing dal networking e muoversi in direzione di una piattaforma digitale integrata, in grado di combinare la flessibilità, l’immediatezza e il dinamismo del public cloud con le caratteristiche di performance, compliance e controllo degli ambienti privati”.
La piattaforma Interoute è globale e contemporaneamente locale, grazie alla presenza di datacenter proprietari distribuiti in Europa, Stati Uniti e Asia. Un vantaggio rilevante, secondo Finnie: molte applicazioni progettate per girare sui server locali non potrebbero tollerare l’eventuale ritardo nella trasmissione dati dovuto alla distanza geografica dei data center cloud; una nuvola più vicina significa quindi possibilità di spostare un numero maggiore di applicazioni in cloud, comprese le componenti legacy.
Ma quali sono gli step corretti e le difficoltà maggiori quando si affronta il cloud journey? “Il consiglio – suggerisce Finnie – è coniugare diversi cloud pubblici e privati, trovando la giusta mediazione tra un’adozione della nuvola troppo prudente e circoscritta che rallenta la costruzione di una piattaforma fruibile e una migrazione troppo spinta che rischia di scatenare un ‘inferno’. L’integrazione rappresenta la criticità principale: il pericolo è creare un silos cloud agile e flessibile, ma isolato dal resto dell’infrastruttura”. La scelta tra SaaS e IaaS costituisce un altro dilemma, con il primo modello che restituisce maggiore flessibilità (ma dipendenza dal provider) e il secondo che garantisce il controllo sulle risorse, assicurando le economie di scala tipiche della nuvola (Finnie a tal proposito parla di “metamorfosi” infrastrutturale, non di “migrazione”): “Si dovrebbe iniziare dal basso – prosegue il Cto – e procedere dallo IaaS al SaaS: la velocità del processo dipende dal caso aziendale specifico, con una prima fase di definizione strategica e i passaggi successivi che sono di aggiustamento. Il tutto facendo i conti con un mercato ancora transitorio, per cui standard e tecnologie dominanti si delineeranno nei prossimi cinque anni”.
In questo scenario complesso, come si stanno muovendo le aziende italiane? “Secondo recenti statistiche – illustra Cristina Crucini, Marketing Manager di Interoute Spa – l’Italia è molto avanti rispetto alla media europea sull’adozione del cloud: da un documento Eurostat 2014 risulta che il 40% delle aziende in Italia usa il cloud, mentre la media Eu a 28 paesi si attesta al 19%. L’interesse verso il cloud è motivato dalla volontà di ottimizzare le risorse interne e soprattutto di aumentare la flessibilità. Le nostre aziende competono in mercati internazionali, quindi devono avere una presenza globale e gestire volumi crescenti di dati. La nuvola offre loro una risposta, ma i dubbi sui modelli di cloud, sulla sicurezza e sulla virtualizzazione delle applicazioni core rappresentano un freno. Manca allineamento tra le business unit, quindi, spesso lo step fondamentale non è convincere il Cio ma aiutarlo a ‘vendere’ internamente il progetto”.