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In UK prima azione formale per garantire concorrenza nel cloud

L’autorità di regolamentazione britannica vuole un settore cloud senza tasse di uscita o disparità di licenze software. Così avvia una indagine, indicando già alcuni possibili rimedi per eventuali estirpare pratiche anticoncorrenziali che danneggerebbero sia i singoli utenti che l’intero mondo dell’innovazione

Pubblicato il 06 Nov 2023

Immagine di Monster Ztudio su Shutterstock

Il cloud, in tutte le sue “versioni” e adottato con il paradigma che si preferisce, resta una tecnologia vitale per qualsiasi impresa. Ormai tutte producono dati e li usano per essere più competitive, non solo quelle dall’indole innovativa. Anche per il mondo consumer e per la società civile, questa tecnologia è ormai indispensabile, perché impatta su attività quotidiane e diffuse, da quelle bancarie e assicurative alle telecomunicazioni. Lapalissiana è quindi l’importanza di una concorrenza efficace in questo mercato dove non deve comparire nemmeno il sospetto di comportamenti che limitano la libertà di scelta di provider o modalità di utilizzo di cloud e multi cloud.

Quando compare, serve studiare con urgenza misure correttive avviando una indagine. Così ha fatto a metà ottobre la Competition and Markets Authority (CMA) inglese, spronata dall’organo di controllo delle comunicazioni Ofcom a fare un check-up del settore delle infrastrutture cloud del Paese.

Focus sulle licenze software, l’Europa osserva

Nella vasta casistica di potenziali correzioni da apportare a questo mercato, la CMA ha scelto tre ambiti su cui concentrare i propri sforzi: licenze software, interoperabilità e tariffe di uscita. Alta l’attenzione anche su due leader di mercato come Microsoft e AWS. Niente di “personale”: la scelta deriva dalla consapevolezza che insieme, in UK, le due big oggi rappresentano il 70-80% di un settore da 9 miliardi di dollari.

Per quanto riguarda le licenze, è la prima quella nella posizione più discussa ma, in generale, ciò che si vuole evitare è che un provider offra prezzi troppo vantaggiosi per chi esegue un software sulla propria infrastruttura cloud o proibisca di farlo su quelli altrui.

Dovrebbero essere garantiti il trasferimento delle licenze esistenti a qualsiasi altro fornitore, senza costi o commissioni aggiuntive, e l’equivalenza di versione per il software ospitato sull’infrastruttura cloud, a prescindere da chi la fornisce. La CMA suggerirebbe anche di imporre una maggiore trasparenza dei prezzi dei servizi cloud venduti come parte di un pacchetto più ampio o, addirittura, il divieto di vendere pacchetti più ampi.

Tra i primi ad apprezzare la sua ipotesi di strategia c’è un’associazione di stampo europeo supportata da AWS, la CISPE (Cloud Infrastructure Service Providers in Europe). Condividendo il timore che licenze software non eque possano distorcere la concorrenza, ammette che la CMA è la prima ad agire con un’indagine formale e ne sta osservando con interesse gli sviluppi. L’idea è quella di comprendere come poter intervenire per evitare che prezzi discriminatori e vincoli tecnologici specifici possano limitare la scelta e far aumentare i costi per gli utenti finali, che siano aziende o cittadini.

Una paura già alla base della denuncia antitrust proprio del CISPE contro Microsoft e che aleggia anche oltreoceano, preoccupando la Coalition for Fair Software Licensing (CFSL). Questa associazione con sede negli Stati Uniti sta anche osservando come alcuni fornitori di software legacy stiano riducendo la scelta nel cloud e rendendo più difficile l’accesso a determinati software da parte di fornitori di servizi cloud concorrenti. Un altro fenomeno ai danni della libera concorrenza e dell’innovazione che si ripercuoterebbe su tanti settori, oltre che su tutta la filiera del cloud.

Interoperabilità e tasse di uscita: best practices UK

Tornando alla CMA, uno degli altri due punti dolenti del mercato su cui sta indagando è l’interoperabilità, “sia a ‘livello di servizio’, sia i processi di migrazione dei dati, sia il processo più olistico di migrazione di applicazioni o carichi di lavoro da un cloud a un altro”, come indicato nel Issues Statement ufficiale.

Ai provider si intende richiedere servizi più facili da utilizzare con i cloud di terzi, una maggiore standardizzazione e la massima trasparenza, mai scontata. Sempre i provider dovrebbero migliorare la connettività verso i data center dei rivali ma anche gli utenti possono fare la loro parte, iniziando per esempio a formare meglio e in modo più strutturato il proprio personale tecnico

Il terzo ramo dell’indagine avviata dalle autorità britanniche riguarda le tariffe di uscita, quelle che colpiscono chi desidera compiere un passaggio di dati verso un altro fornitore IT. In tale ambito, la CMA ipotizza potrebbe essere utile istituire un tetto massimo alle tariffe in relazione ai costi sostenuti dai fornitori cloud, impedendo loro di addebitarle all’utente. Prima ancora, però, serve una maggiore visibilità delle cifre in gioco, anche per aiutare gli utenti a migliorare la prevedibilità e il controllo della spesa per il cloud. Un aspetto che tuttora rappresenta una sfida per questo mercato, al di là delle ipotetiche pratiche illecite dei singoli provider.

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