Le policy It devono essere funzionali ai comportamenti degli utenti per un uso degli strumenti informatici che dia valore con un rischio sufficientemente mitigato: è questo il messaggio non edulcorato della seconda parte dell’indagine Cisco condotta con 100 utenti e 100 decisori It intervistati in 13 paesi (a livello mondiale), e dunque 2600 interviste realizzate (per la prima parte della ricerca leggi l’articolo “Il posto di lavoro in mobilità e con tecnologie Cloud”). Indagine che, lo ricordiamo, aveva come obiettivo identificare le sfide per le aziende che devono bilanciare la domanda dei dipendenti e i relativi business need in termini di maggior mobilità e di fruizione dei social media, con l’opportunità delle nuove tecnologie che le abilitano (mitigandone i rischi).
E in questa seconda parte, analizziamo, partendo dai dati dell’indagine, la via alla borderless experience che, lo sottolineiamo a premessa, è lunga e deve passare da un riallineamento fra policy e comportamenti, non solo per le tecnologie da usare, ma per la rivisitazione della stessa relazione fra It e utenza business e la formazione relativa.
Che Cisco “tiri l’acqua al mulino” del Borderless network è un sospetto connaturato alle sue motivazioni di aprire un mercato, ma il “reality check” è troppo eloquente: la “consumerizzazione dell’It” e il crescente numero di dispositivi che il posto di lavoro ingloba impongono sempre più alle policy It il dilemma “bend or break” (adattarle alla realtà o rassegnarsi a vederle sempre più violate). Anche le geografie, non sembra proprio un caso, sono più omogenee del solito, attorno ad un 64% medio che dice come le policy It abbiano bisogno di miglioramenti ovunque. E drastici, dicono più di altri Francia, Messico e Cina (figura 1).
Figura 1 – Employee attitude toward corporate It policy
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Stridente il fatto che gli accessi ai siti primari di social networkimg abbiano lo stesso livello di restrizioni dei game online, in modo alquanto uniforme ovunque (e l’Italia è l’unica con la Russia in cui il social networking è addirittura più proibito del gaming; figura 2).
Figura 2 – Restricted access to online applications
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È in crescita, invece, l’uso del video per le comunicazioni d’impresa: lo dicono sette decisori It su dieci ed è una media sufficientemente omogenea per geografie. E ciò malgrado una penetrazione già sostanziale: già il 60% degli utenti vi ha accesso aziendale, con l’Italia piazzata, con il 67%, addirittura al quarto posto dopo i colossi asiatici e prima delle europee (figura 3).
Figura 3 – Video use at work
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Il data center ricorre ai servizi cloud ibridi
Andando ad analizzare gli aspetti infrastrutturali coinvolti in questo trend evolutivo che vede la mobilità degli utenti business in forte crescita, sembra abbastanza scontato che per il data center le tre principali preoccupazioni degli It manager siano nell’ordine: sicurezza insieme a governance, performance e affidabilità/disponibilità. Il maggior interrogativo è sempre legato alla protezione del dato, soprattutto oggi che si parla di cloud computing, oltre alle difficoltà per le richieste di accesso da dispositivi esterni all’azienda (difficoltà tecniche – di integrazione dei sistemi – e di controllo).
Il trend più promettente per dare una risposta al principale problema da risolvere per indirizzare la sfuggente “esperienza borderless dell’ufficio” a livello di data center, riconosciuto dai professional It, è proprio l’accesso mobile all’informazione per i dipendenti (33%) (vedi figura 4).
Figura 4 – Data center trends
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E allora i decisori It vedono innanzi tutto avanzare la necessità di una crescente collaborazione ed integrazione tra i team dei data center della propria azienda, con l’obbiettivo di una rete di applicazioni capaci di “comporre le risposte e i servizi tra loro”. Questo per effetto sia di una maggior efficienza nel configurare servizi (27%), o indotta dalle nuove tecnologie (25%) o dalla stessa virtualizzazione (17%), sia perché lo impone la composizione di servizi ibridi di Cloud (15%) (figura 5).
Figura 5 – Collaboration among data center team
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Di qui l’esigenza di nuovi ruoli specializzati in team collaborativi e ibridi: il trend verso una infrastruttura unificata di data center di per sé impone una maggior collaborazione fra team tradizionalmente operanti a silos, creando la necessità di nuovi programmi di specializzazione e di nuove certificazioni. E questa percezione ha ormai pervaso i dipartimenti It, anche se con un certo riaffiorare di diversificazioni da geografie diverse: il 48% dei professional It si aspetta lo sviluppo di nuove opportunità di carriera (il 53% in Spagna e in Messico). Si scorgono nuovi percorsi verso una certificazione (43%) e nuove job description e opportunità di lavoro (41%, che diventa addirittura il 64% in Cina e 52% in Usa).
Sono pochi, ormai, ad escludere il cloud. La via è tracciata!
C’è nell’indagine Cisco una focalizzazione finale sui trend del cloud computing, con due domande secche ma, non dimentichiamolo, estese a 13 nazioni in quattro continenti. Prima domanda (figura 6): state pianificando di adottare il cloud computing? È sì per il 34% dei rispondenti, cui si somma un 18% con applicazioni dispiegate che in qualche modo già vi si appoggiano. Da citare come primi della classe fra i già operativi: India (28%), Brasile e Germania (27%), Usa (23%) e Messico (22%).
Figura 6 – New It roles and career opportunities
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Seconda domanda: E nei prossimi tre anni? C’è solo un 8% che esclude il cloud computing (figura 7).Il resto prevede che “affiderà una qualche percentuale dei dati e delle applicazioni aziendali alla nuvola”.
Figura 7 – Private or public cloud: next 3 years
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Sotto-domanda implicita: nuvola privata o pubblica? Come da copione la risposta è un continuum e in fondo non importa saperlo con maggior precisione oggi. Vediamo per ora solo che un 27% non andrà oltre un quarto di dati e applicazioni. All’altro estremo un 12% punta a mettere nella nuvola oltre i tre quarti dei suoi asset. È intuibile che i secondi saranno orientati verso il public cloud, mentre la maggioranza dei primi ha una tendenza al private. Quello che emerge con chiarezza è un 53% che va oltre il quarto ma non oltre i tre quarti di asset destinati ad essere trasferiti nelle cloud: è chiaro dunque che la tendenza porterà al cloud ibrido. Ed è lì che sta andando il mercato.
A questo scenario, il dipartimento It intuisce che serve rispondere con “servizi a catalogo” per gli utenti, eventualmente concatenati e composti con un provisioning dinamico e altrettanto “spot” quanto la domanda, in modo da rispondere finalmente “ad armi pari” ed abbandonare la strategia perdente di un impari inseguimento.
Certo, occorrerà investire in un’evoluzione di ruoli e quindi di policy It, per così allinearla al contesto di forze lavoro in campo, sempre più mobili, remotizzate, collaborative e distribuite. Ibrido il cloud, ibridi gli skill del team che gestisce il data center con nuovi percorsi di formazione. Ma come si organizzano e si cross fertilizzano i nuovi skill? Come si rifonda così il lato offerta sulla via di un allineamento reale alle aspettative degli utenti? Come si riorganizzano le policy It intorno al cloud ibrido? Beh, non aspettiamoci di avere tutte le risposte da un’indagine, seppure esaustiva e, nei limiti del possibile, stato dell’arte.
Cloud ibrido, lavori in corso, ma la strada porta lì.
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