Analisi

I consigli per passare dalla virtualizzazione al Cloud Computing

Spesso usata per consolidare server e ridurre i costi di gestione, la virtualizzazione è un utile trampolino di lancio verso l’adozione del paradigma Cloud. Alcuni suggerimenti per una roadmap efficace

Pubblicato il 21 Mag 2013

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La virtualizzazione, pur consentendo già dalla sua applicazione una ottimizzazione delle risorse IT, non va vista come fine a se stessa, ma come trampolino di lancio da cui spiccare il salto per ottenere un ulteriore miglioramento: quello che porta a raggiungere uno stadio di automazione e riduzione dei costi ancora più evoluto, ad esempio tramite l’adozione on-premise di Cloud private, il ricorso alle Cloud pubbliche o, ancora, attraverso l’implementazione di soluzioni miste, basate su entrambe le tipologie di infrastrutture e definibili come “nuvole” ibride (hybrid Cloud).

In genere, nella maggioranza delle organizzazioni risulta abbastanza difficile attuare una rapida transizione verso la nuvola rivoluzionando in maniera drastica i sistemi informativi, spesso fondati su differenti tecnologie proprietarie, tramite una migrazione diretta delle infrastrutture verso un Cloud computing puro (public Cloud).

Scegliendo la via della “rivoluzione” possono infatti presentarsi ardue sfide da risolvere sotto vari profili: dalle garanzie di sicurezza e privacy di dati e applicazioni, ai problemi di conformità con le normative di tutela della corporate governance e della trasparenza dei bilanci societari; al rispetto di linee guida come quelle ITIL (Information Technology Infrastructure Library), al soddisfacimento dei più o meno rigidi requisiti in termini di SLA (Service Level Agreement) e di compliance.


Il piano di migrazione
Ecco perché la strada più plausibile per affrontare il percorso dalla virtualizzazione e Cloud è quella di redigere un piano di migrazione strategico, in grado di focalizzarsi su tre punti principali:

  • Gestione e trasformazione dei processi
  • Amministrazione delle risorse virtuali
  • Capacità di controllare la maggior “velocità operativa” resa possibile dalla virtualizzazione

Ciononostante, uno studio della società di analisi Gartner indica come molte imprese tendano ad attuare le politiche di virtualizzazione dell’IT con l’obiettivo primario di consolidamento delle risorse e risparmio dei costi, senza considerarla come punto d’ingresso per una successiva estensione dell’infrastruttura verso il modello Cloud, che passa attraverso un cambiamento delle architetture tecnologiche, dei tool di gestione, dei processi e quant’altro.

Un piano strategico, sottolinea Gartner, è da preferire rispetto alla risoluzione tattica dei problemi che via via si presentano, perché comprendere in anticipo la strada che si ha di fronte è un fattore critico per massimizzare il ritorno dell’investimento.
D’altra parte, usare la virtualizzazione come solo strumento di consolidamento delle risorse IT porta presto a scoprire che i processi aziendali non riescono a tener il passo con la velocità e la flessibilità operativa da essa introdotta. E ciò finisce per tradursi in una lievitazione dei costi anziché in un loro abbassamento, oltre che in una crescita disordinata delle macchine virtuali.

Allo stesso modo, sviluppare le Cloud private senza tener conto dei futuri requisiti che dovranno avere le Cloud ibride, e dell’interoperabilità con i vari service provider, rischia di condurre, in prospettiva, a una limitata flessibilità dell’infrastruttura.


Un percorso di avvicinamento al Cloud in più fasi
Come è facile immaginare, ogni organizzazione dispone di peculiarità tali per cui è difficile stabilire regole uguali per tutti. Esistono tuttavia alcuni passaggi assodati, sui quali soffermarsi con una certa attenzione:


1. Virtualizzazione dei server
Il primo passo, è la virtualizzazione dei server. Un’azione mirata a consolidare le risorse esistenti, con una prima riduzione dei costi legati ad hardware ed energia. L’importante è individuare le tecnologie conformi con la propria infrastruttura in grado di garantire questi risultati e la relativa flessibilità in fase di gestione. Il passaggio è importante anche a sciogliere il vincolo molto diffuso che lega hardware e software, azione fondamentale nei passaggi successivi.

2. Cloud privato
Estesa progressivamente la virtualizzazione all’intera infrastruttura IT, è il momento di cimentarsi con il Cloud Computing in forma privata. In pratica, si tratta di spingere all’estremo il concetto di virtualizzazione.

Una volta che i processi sono stati rimodellati e l’adozione di standard permette di contare su un sistema affidabile, il Cloud privato parte generalmente da ambiti circoscritti, tipicamente gli ambienti di sviluppo e test e i server Web, in modo da valutarne il comportamento al variare dei carichi di lavoro.

Con l’uso pratico diventa anche più facile riuscire a inquadrare le esigenze e le abitudini degli utenti, in modo da estendere progressivamente il raggio d’azione. Un aspetto delicato riguarda il cambiamento nelle abitudini richiesto agli utenti e i costi per l’avvio, non in grado di inquadrare subito i ritorni e almeno in parte ancora sovrapposti a quelli dell’architettura preesistente.

3. Cloud ibrido
Anche se il Cloud privato è già un buon risultato in ottica di organizzazione interna, è solo un passaggio intermedio verso il possibile traguardo finale di un appoggio totalmente esterno.

Prima di questo però è importante considerare un’altra tappa, il Cloud ibrido. Una volta preso confidenza con l’interfaccia che permette di erogare servizi ai propri utenti in modo più indipendente, è possibile iniziare a fare la stessa cosa con moduli esterni. Le medesime modalità d’uso, contrapposte a una riduzione dei costi renderanno il passaggio potenzialmente indolore.

Il momento ideale per questo passaggio si presenta nel momento di dover acquistare nuove risorse. Invece degli usuali aggiornamenti hardware, software ed eventualmente di personale, attivare o potenziare un servizio è una soluzione più vantaggiosa, sia in termini di costi sia in termini di complessità da gestire.

Inoltre, una scelta ibrida consente un maggiore controllo dei picchi di lavoro, mantenendo in parte il controllo delle risorse per affidarsi a terzi esigenze temporanee. Oppure, continuare a sfruttare le risorse interne nel limite delle possibilità e scegliere il Cloud per la parte eccedente.

Da non trascurare tuttavia anche altri aspetti. Nel momento in cui si sceglie un contratto di servizio, diventa cruciale poter contare su adeguate garanzie in termini di disponibilità, SLA e, nel caso sia previsto un trasferimento anche parziale dei dati, la certezza di non vederli memorizzati in server remoti in Paesi poco affidabili dal punto di vista della privacy.

Sul fronte tecnico, le priorità per la scelta del provider sono i formati dei file in modalità virtual machine e le API, oltre naturalmente alle garanzie sui livelli di servizio. Per non ricadere nei limiti di un’architettura proprietaria o del lock-in, meglio evitare di affidarsi a un unico interlocutore.


4. Cloud pubblico
Lo sbocco naturale di tutto non può essere che un’infrastruttura Cloud totalmente pubblica. La definizione di per sé è puramente teorica, ma una tale propensione aiuta a individuare con maggiore precisione i componenti convenienti da trasferire all’esterno e quelli invece sui quali conservare il controllo.

Invertendo il ragionamento, sperimentare un Cloud pubblico può anche aiutare a comprendere meglio come organizzare e rendere disponibile servizi interni.

La tendenza tuttavia è quella di sorvegliare attentamente quanto avviene al di fuori del proprio perimetro, per individuare il momento giusto in cui un Cloud pubblico raggiunge la piena maturità ed è in grado di assicurare tutti i vantaggi promessi in termini di riduzione dei costi e flessibilità. A questo punto, entra in gioco anche l’abilità del CIO di districarsi tra le varie offerte e intavolare con i diversi provider trattative nell’interesse dell’azienda.

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