Caso Utente

Engineering: Tecnologia innovativa in pay-per-use

Quanto la virtualizzazione sia vantaggiosa per chi offre servizi gestiti lo dimostra in modo molto chiaro l’esperienza di Engineering che ha scelto già nel 2006 la tecnologia server Bladeframe di Fujitsu. Grazie a questa tecnologia e al modello di pricing pay-per-use, il data center di Pont Saint Martin (nella foto) garantisce elevati risparmi sia sotto il profilo energetico sia sotto quello dell’occupazione di spazi fisici, azzerando inoltre i tempi di provisioning dei servizi ai propri clienti da parte di Engineering.

Pubblicato il 08 Feb 2010

Engineering è una società che dispone di un data center molto grande a Pont Saint Martin, in Valle d’Aosta, e un altro a Padova e ha potuto apprezzare i benefici del nuovo paradigma della virtualizzazione, trasferendoli ai propri clienti, da quando, nel 2006, ha deciso di adottare la tecnologia server Bladeframe (Bf) di Fujitsu. Engineering è stata la prima realtà italiana a provare un server a lame Bf del vendor nipponico, o meglio di quella che, fino allo scorso anno, era la Fujitsu Siemens Computers, adesso semplicemente Fujitsu (anche se, in realtà, le attività relative ai server Intel Architecture e allo storage sono affidate alla business unit Fujitsu Technology Solutions, che mantiene il suo radicamento europeo ad Augsburg, in Germania).
A detta di entrambi i partner, il rapporto attuale tra Fujitsu Technology Solutions ed Engineering non è solo collaudato ma di vera e propria sinergia. “Alla base c’è la forte complementarietà tra le due aziende”, afferma Andrea Sappia, responsabile area prevendita per le soluzioni Data Center nel Nord Italia di Fujitsu Technology Solutions (nella foto a destra)

. Per capire meglio come si è evoluta e su quali aspetti si sviluppa questa partnership, vale la pena ripercorrerne la storia dall’inizio.
Innanzitutto, giacché è il principale protagonista dell’implementazione della più avanzata tecnologia server per la virtualizzazione di Fujitsu, partiamo del data center di Pont Saint Martin. E sentiamo quello che da allora è uno dei responsabili della struttura: Manfredi Caizzi

 (nella foto sotto), Production Director Managed Operations Server & Storage Management di Engineering. “Il centro di Pont Saint Martin – racconta Caizzi – è stato creato a metà degli anni Novanta da Sintax Processing, una società del gruppo Olivetti, poi acquisita da Sema Group. Il centro di Pont Saint Martin è nato fin dall’inizio con l’obiettivo di essere una sorta di “hotel” per i server”. Per ospitarlo non è stato ristrutturato un edificio preesistente, ma ne è stato costruito uno nuovo interamente cablato in fibra ottica, progettato in modo da resistere a eventi catastrofici (tanto che è rimasto indenne all’alluvione dell’ottobre 2000, autosufficiente per lungo tempo per quanto riguarda l’alimentazione elettrica (da Engineering dichiarano di non aver risentito del black-out del settembre 2003), e progettato con criteri di sostenibilità ambientale: l’aria calda prodotta dai server, per esempio, è riutilizzata per riscaldare gli ambienti, mentre buona parte del raffreddamento dei locali tecnologici è effettuata con aria prelevata all’esterno, da un ambiente fresco per diversi mesi l’anno come lo è quello della Valle d’Aosta.
Caizzi è responsabile delle operazioni del data center fin dal 1998, anno in cui è stato assunto da Sema Group. “Fin da allora – ricorda – ci siamo impegnati a essere una punta di eccellenza per quanto riguardava l’utilizzo di piattaforme come il Risc a 64 bit e le migliori tecnologie per il sistema operativo di Microsoft. Date queste esigenze, è stato naturale iniziare il rapporto con Fujitsu Siemens Computers, che disponeva di un ampio portafoglio di sistemi sia per lo Unix sia per Windows. E che, soprattutto, non aveva, come nel caso di altri vendor, i suoi centri d’eccellenza oltreoceano, bensì in Europa”.
Risale al 2002, continua il manager di Engineering, l’inizio delle esperienze con la virtualizzazione. “Quell’anno avevo personalmente avviato un laboratorio di sperimentazione delle tecnologie VmWare e di Microsoft, mirando a utilizzarle in produzione soprattutto per grandi ambienti di posta, file sharing e printing. Poi, nel 2003, un nostro cliente bancario ci ha chiesto di studiare un’architettura per supportare servizi applicativi che dovevano essere modulari e di rapida attivazione, utilizzando application server Websphere e altri middleware. Di qui la decisione di allocare questi servizi su macchine virtualizzate”.
A quei tempi, però, la virtualizzazione era ancora una metodologia immatura. “C’erano sì i software di virtualizzazione – ricorda Caizzi – ma mancavano di un ecosistema intorno. In particolare non c’erano tool di gestione in grado di automatizzare i processi di installazione e configurazione. Ogni volta che si doveva creare un sistema virtualizzato, occorreva prendere il software, una macchina e installare e configurare tutto in modo manuale”.
La presentazione della tecnologia Bladeframe da parte di Fujitsu, nel 2006, ha subito riscosso l’entusiasmo di Caizzi e del suo team. “I server Bf – spiega il manager di Engineering – integravano tutto quello che era necessario, garantivano un’elevata affidabilità, erano molto veloci e potevano essere gestiti da un’unica console centralizzata. Noi siamo stati i primi in Italia a sperimentare questa tecnologia”. A convincere ancora di più Engineering a optare per quest’offerta è stato anche il modello di pricing. “In pratica – chiarisce Caizzi – noi dovevano acquistare solo lo shelf e le “lame” di cui avevamo bisogno. Fujitsu ci avrebbe lasciato dei blade in più che avremmo pagato solo nel momento in cui avremmo deciso di utilizzarli”.
Questa politica rappresenta tuttora uno dei vantaggi competitivi dell’offerta Bf. “Grazie a questa formula pay-per-use – spiega Sappia – Engineering dispone sempre di risorse pronte che inizia a pagare solo dal momento in cui incomincia a utilizzarle”. Aggiunge Caizzi: “Con questa formula, che rappresenta anche una forma di condivisione dei rischi tra noi e Fujitsu, i nostri tempi di provisioning ai clienti si sono praticamente azzerati”. Ai fini della riduzione dei tempi di provisioning, va aggiunto, contribuisce in modo significativo anche il software di gestione integrato nei Bf, che permette di creare e gestire nuovi sistemi virtuali in modo semplice e veloce. “Grazie a questa tecnologia – dichiara Sappia – operazioni che prima potevano richiedere giorni possono essere effettuare nel giro di alcune ore o alcuni minuti”.
Attualmente Engineering utilizza quattro sistemi Bf. Uno, un Bf 400 di grandi dimensioni acquistato nel 2007, ora non più di ultima generazione, è già stato riempito in tutti i suoi slot già nel corso del 2008. Sempre nello stesso periodo è stato acquistato anche un Bf 200, che però è stato dedicato a un unico cliente. “Sul primo Bf 400 – spiega Caizzi – girano tra 80 e 100 istanze di sistema operativo, per tre quarti circa Windows e per la parte restante Linux. A livello applicativo, c’è installato un po’ di tutto: da vari servizi Web e Oracle a qualche piccolo Sap. Ma va detto che grazie alla facilità con cui si possono montare e smontare sistemi virtuali, i Bf si prestano soprattutto a ospitare ambienti di test”.
Nel corso del 2009 Engineering ha acquisito un altro Bf 400 (nella foto a sinistra) e un altro Bf 200. Il primo si trova a Pont Saint Martin e ha ancora slot liberi. Il secondo è stato installato nel data center di Padova ed è usato come soluzione di disaster recovery per alcuni clienti del data center valdostano. Fino a qualche mese fa, per il disaster recovery Engineering faceva affidamento ancora su server tradizionali. L’estensione dell’uso dei Bladeframe anche a questo tipo di applicazioni ha permesso alla società di managed service di sperimentare appieno quella che è una delle caratteristiche più peculiari dei Bf di Fujitsu: l’integrazione stretta con i sistemi storage Fas (Fibre attached storage) di Netapp. “Questa integrazione – spiega Sappia – ci consente di non dover avere, per obiettivi di failover, immagini dei sistemi operativi memorizzate sui server remoti. Queste immagini, infatti, risiedono sullo storage. Mentre per realizzare soluzioni di disaster recovery con sistemi tradizionali si deve avere lo stesso numero di server sia nel sito primario sia in quello secondario, con i Bf possono essere previsti solo uno o due server “spare” nel sito secondario. Questi server possono anche essere utilizzati per attività diverse da quelle per cui si deve garantire l’eventuale failover: per esempio lo sviluppo e il testing. Nel momento in cui occorresse ripristinare un servizio mission-critical sul sito secondario, il software del Bf è in grado di mettere in stand-by le applicazioni non cruciali e di caricare dallo storage collegato tutto quello che occorre per ripristinare i processi mission-critical in remoto”.
Un altro aspetto per cui a Engineering affermano di apprezzare le tecnologie Fujitsu, infine, è il supporto al green computing. “Come dimostrano le nostre scelte iniziali nella costruzione del centro di Pont Saint Martin – spiega Caizzi – noi siamo sempre stati attenti a questo tema. I sistemi Fujitsu sono ingegnerizzati per contenere molto i consumi. La virtualizzazione spinta che consentono è un ulteriore modo di consentire risparmi sia sotto il profilo energetico sia sotto quello dell’occupazione di spazi fisici”.

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