Servizi Cloud: la percezione del business e la percezione dell’It

Livello di maturità in europa e in Italia, opportunità e rischi: sono i temi analizzati dall’indagine  “Il Cloud Computing e la percezione da parte del business” realizzata da Vanson Bourne per conto di Ca Technologies su 550 aziende europee

Pubblicato il 16 Feb 2011

Qual è il livello di maturità dei servizi cloud nelle aziende europee? Quali sono le motivazioni che spingono verso il cloud e quali gli inibitori all’adozione di questi servizi? Qual è la percezione che il business e l’It hanno delle opportunità che può offrire un’infrastruttura cloud?
Sono le domande alle quali la società di analisi Vanson Bourne ha cercato di dare risposta con un’inchiesta, commissionata da Ca Technologies, che ha coinvolto 550 aziende medio grandi (65% sopra i 3.000 dipendenti, 35% sotto): 50 a testa per Uk, Francia, Germania e Italia, e 35 a testa per altre otto nazioni, dalla Norvegia al Portogallo.

Livello di maturità e pianificazione
Per comprendere il livello di maturità dei servizi cloud, l’indagine prende in considerazione le diverse tecnologie “costitutive” di questa modalità di fruizione dell’It definite dall’ Istituto Nazionale degli Standard Usa (Nist): Virtualizzazione di Infrastruttura e Desktop (prerequisito al cloud, che riduce le risorse costose e ne aumenta l’utilizzo); Automazione (capacità di sostenere l’on demand del Cloud, senza sapere dov’è la risorsa usufruita); Self-Service (accesso a risorse in modo autonomo dal provider). “Risorse” sono infrastruttura, piattaforma, portale, software fruito come servizio.
In figura 1 si vede il livello di adozione (pianificata o effettivamente implementata) delle differenti tecnologie. Il grafico delle aziende italiane è in ritardo rispetto alla media europea, su tutta la linea.

Figura 1 – Livello di adozione delle tecnologie "costitutive" il cloud computing e di servizi cloud
(cliccare sull'immagine per visualizzarla correttamente)

– Virtualizzazione
È la tecnologia con il tasso di adozione più alto. Per quanto riguarda i server, l’adozione complessiva, a vari livelli, è al 70% in Ue (47% in Italia); l’indagine rileva poi che il 43% di aziende europee (tra un 20% in produzione e un 23% che ne già ha verificato il Roi) è ai livelli più alti di adozione, mentre l’Italia ha una distribuzione “distonica” e arretrata con una pianificazione al 37% contro il 15% Ue (figura 2).

Figura 2 – Livello di adozione delle tecnologie di server virtualization
(cliccare sull'immagine per visualizzarla correttamente)

Sul versante desktop, l’adozione è in ritardo nell’intera Ue: la sta realizzando il 33%, la usa il 24%, solo il 10% ha ritorni provati. In Italia si vedono solo pianificazione e progetti pilota, con solo il 5% di installazioni: in compenso siamo contemporaneamente più ottimisti sulla maggior affidabilità dei desktop virtuali (attesa dall’80% delle nostre aziende contro un 60% Ue) e più pessimisti sui risparmi attesi (20% contro il 50%).
Quanto agli acceleratori per la virtualizzazione di server o desktop, l’Italia è tutto sommato in media Ue: il primo acceleratore è potenziare l’affidabilità dei livelli di servizio, seguito a ruota dai risparmi di spesa e, con distacco, dal “prepararsi alla ripresa”. Per gli inibitori, la Ue mette in fila mancanza di priorità, di budget e di esperienza, con l’Italia che in più denuncia maggior carenza di skill inhouse (30% contro il 20% della media Ue).
I rischi inerenti la virtualizzazione del server (e del desktop) si annidano nella “mobilità” disgiunta da un rigoroso Life Cycle Management delle virtual machine: clonare una Vm porta a non conformità nel governo delle licenze o all’esposizione a problematiche di sicurezza. La regola d’oro è quindi pensare prima alla gestione del ciclo di vita di una Vm, in quanto istanza di sistema, e solo in tale quadro, alla sua virtualizzazione.

Self Service
“Avere la pulsantiera di comando e controllo per accendere e spegnere risorse senza chiedere al provider” è dichiarato importante dal 46%, ma il grafico della maturità del SelfService indica per l’Ue solo un 23% in produzione e un 8% che ha riscontrato Roi; questa volta l’Italia è ben posizionata: 19% in produzione, 13% ha già un’evidenza del Roi.

– Automazione e Gestione dinamica delle risorse
Su provisioning, carichi di lavoro e deprovisioning (processo di eliminazione dai sottosistemi delle definizioni propagate nel momento in cui una data identità cessa di esistere), vedi ancora figura 1, l’Italia risulta invece ancora indietro rispetto all’Ue: nessuno dei tre servizi in Italia è in produzione, contro valori attorno al 15% in Ue. Il deprovisioning per l’Italia risulta essere solo a livello di pianificazione ed è preoccupante il fatto che “interessi” meno del provisioning (11% contro 19%). Perché una risorsa resti flessibile serve infatti venga rimessa in circolo tempestivamente. Una buona “metafora” può essere quella di backup e restore: inutile che il backup sia intelligente se il secondo non lo è a pari livello.
All’Automazione serve il Dynamic Resource Handling, per condividere risorse e costi relativi. Ogni risorsa legata a una istanza Vm fa parte di un gruppo “coeso”, che alla disattivazione va ridistribuito al pool; il rischio da mitigare è la “inflazione” delle risorse in uso. Qui emerge una “drammatica” contraddizione tra un alto interesse dichiarato (31%) e una messa in produzione che raggiunge appena il 15% in Ue (niente in Italia).

Abilitatori e inibitori all’adozione del cloud
La flessibilità è il movente che spinge le aziende a mettere l’infrastruttura nel cloud. Il successo di un’infrastruttura resa disponibile come servizio (Iaas) dipende, secondo gli intervistati da: virtualizzazione (al 70%), Self-Service (46%), Automazione sia del provisioning (19%), sia del carico di elaborazione (35%), sia del deprovisioning (11%), Allocazione dinamica delle risorse (31%). Salvo la virtualizzazione, che è un prerequisito, sono tutte proprietà cloud che indirizzano la flessibilità.
Un’alta percentuale di rispondenti (figura 3) non ha ancora una chiara visione di quelli che possono essere gli ostacoli all’adozione di un’infrastruttura cloud (per il 30% in Italia e il 22% nella Ue, il cloud è un “concetto non provato”).

Figura 3 – Ostacoli all'adozione di una infrastruttura cloud
(cliccare sull'immagine per visualizzarla correttamente)

Ciò detto, la sicurezza dei dati sensibili emerge come il primo chiaro deterrente (22% in Italia e 27% Ue): la preoccupazione è perdere il controllo dei dati nella “nuvola”, con conseguenti implicazioni legali (normative sulla privacy) e di business (utilizzo fraudolento dei dati da terzi). Sia in Italia sia in Ue, la sicurezza è seguita solo dalla gestione (circa 16%) e dalla compliance (circa 7%), che peraltro rientra tra le problematiche di sicurezza.

Deficit di percezione a livello business e It
Che il cloud implichi una evoluzione dell’It, del ruolo dei vendor e delle competenze in house, lo pensa il 65% delle aziende (Italia e Ue), ma quasi nessuno è andato oltre il pensare: tutti pianificano. La domanda vera, e per ora senza risposta, rimane: in che misura business e It comprenderanno che ci si può affrancare dalla tecnologia per arrivare a riorganizzarsi sulla base di servizi erogabili? Si affermerà “durevolmente” un modello “disruptive” di delivery di puri servizi? Solo il 17% ci crede (ben l’11% lo ritiene effimero), mentre il residuo 72% “non è convinto”. Siamo sotto la “soglia di attenzione”, decisamente.
Queste risposte celano una bassa percezione da parte del business di come i servizi cloud possano trasformarsi in servizi al business: manca, in questa percezione, la “collegabilità” tra vantaggio tecnico e beneficio di business soprattutto “in termini di elementi per prendere decisioni informate”.
Ma il problema non riguarda solo il business; dall’indagine emerge anche che l’It sembra essere poco consapevole (o quanto meno non avere un atteggiamento proattivo in questa direzione) della propria importanza strategica nel supportare l’azienda in questo momento di particolare complessità. Il 57% di aziende “si prepara” alla ripresa economica, ma solo il 38% dei reparti It è coinvolto: una divergenza evidente fra It e strategia aziendale.

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