Il cloud secondo Aruba: trasparente e a declinazione locale

Dal 2011, il web provider aretino ha lanciato una serie di servizi di Infrastructure as a service, che saranno presto arricchiti con soluzioni PaaS e SaaS. Il campo di azione è rappresentato dai principali mercati europei, con un differenziale competitivo basato sull’assenza di costi nascosti e capacità di rimodulare l’offerta a seconda delle peculiarità nazionali.

Pubblicato il 06 Mar 2015

AREZZO – Oltre 2 milioni di domini gestiti, 6 milioni di mailbox, 3,8 milioni di caselle Pec, 20mila server: sono questi i numeri che tratteggiano il corporate profile di Aruba, società di servizi web aretina e caso di successo nel panorama dell’imprenditoria italiana.

Stefano Cecconi, Ceo di Aruba

Partita con la vendita di dial-up nel 1994, l’azienda ha successivamente diversificato la propria offerta (web hosting, server dedicati, housing e colocation, managed services, firma digitale, conservazione sostitutiva e produzione di smart-card), uscendo dai confini nazionali. Nel 2011 viene lanciata l’offerta cloud, che Stefano Cecconi, Ceo di Aruba, racconta e commenta nel corso di un’intervista esclusiva a ZeroUno.
“Siamo partiti dallo strato più basso – dichiara l’amministratore delegato -, con l’Infrastructure as a service, in modalità public e poi private. Oggi abbiamo raggiunto un buon livello di consolidamento e il nostro obiettivo entro la fine del 2015 è completare il portfolio con le offerte di Platform e Software as a service. Il cloud ci ha rimesso tutti ai blocchi di partenza, costringendoci a ripensare strategie di go-to-market e business model per individuare la soluzione vincente. La vera competizione sta iniziando adesso”.
Con il business della nuvola, Aruba ha consolidato ulteriormente il piano di espansione all’estero (oggi è presente in Francia, Inghilterra, Germania, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Polonia e Ungheria). Tutti i servizi del gruppo sono erogati da tre data center proprietari (due ad Arezzo e il terzo a Ktiš in Repubblica Ceca) e dalle strutture partner di Praga, Francoforte, Parigi e Londra (il network europeo è in grado di ospitare circa 60mila server).
“La divisione Cloud (la quarta in aggiunta alle unit Hosting e Domini, e-Security e servizi Data Center) – puntualizza Cecconi – genera una quota importante e crescente del nostro fatturato, che attualmente ha raggiunto i 110 milioni di euro [il numero di clienti supera i 2 milioni, ndr]. Per andare all’estero, abbiamo attivato strutture locali in grado di seguire il cliente secondo le normative, la lingua e la moneta nazionali, fornendo assistenza con lo stesso fuso orario. Non ci siamo limitati a esportare la stessa offerta costruita su misura per le imprese italiane, ma l’abbiamo calata sul mercato di riferimento”.
Ma cosa significa per una società italiana muoversi su un nuovo modello di servizio, andando a competere in una dimensione internazionale? Su quali plus e strategie occorre puntare? Cecconi non ha dubbi: “Abbiamo fatto tesoro delle esperienze precedenti, che ci hanno permesso di individuare gli approcci più apprezzati dal mercato; da qui siamo andati a costruire la nostra offerta e interpretazione del cloud, puntando su alcuni aspetti specifici. Oltre alla capacità di declinare il servizio localmente, un altro punto fermo di differenziazione è rappresentato dalla totale assenza di costi variabili o nascosti in bolletta. Inoltre, manteniamo gli stessi prezzi in qualsiasi paese, nonostante ci siano alla base delle differenze di costo (anche solo per l’approvvigionamento della corrente elettrica, per esempio); il cliente è così libero di scegliere il server che preferisce, indifferentemente dalla localizzazione. Altri vantaggi competitivi ci derivano dalla partnership consolidata con Microsoft: stiamo lavorando a un’offerta di IaaS su Azure e, per quanto riguarda i servizi di hosting, non applichiamo differenze di prezzo per server Windows o Linux”.
Il target di riferimento per i mercati europei è rappresentato, come precisa con soddisfazione Cecconi, sia dalle aziende locali sia dalle imprese italiane con filiali all’estero. “Notiamo un approccio al cloud differente a seconda della nazionalità – puntualizza -, con alcuni paesi che mostrano un attaccamento alle soluzioni fisiche più forte. In Italia, la propensione al cambiamento è maggiore del previsto, perché la crisi ha costretto le organizzazioni a rimettere in discussione le scelte passate. I paesi dell’Europa Centrale sono più aperti al cloud, poiché, avendo saltato alcune fasi di maturità tecnologica (come è successo con Internet), hanno abbracciato direttamente i nuovi modelli”.
La proposizione di Aruba non resterà comunque ancorata al Vecchio Continente: nelle intenzioni del Ceo si intravedono America e Asia come prossime destinazioni, mentre è partita un’importante operazione di brand awarness, per cui la società aretina sarà partner attivo e sponsor del Ducati Superbike Team (vedi articolo).

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