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Journey cloud: 4 aspetti da considerare  

La transizione al cloud è ormai un passaggio obbligato. Bisogna, però, essere consapevoli che il “journey” nasconde diverse insidie, che è meglio non affrontare da soli. Il rischio? Come spiega Andrea Benotti, support service manager di Quanture una volta effettuata la migrazione è difficile tornare indietro.

Pubblicato il 02 Set 2022

journey cloud

La cloud transformation è un cambiamento che ormai sta coinvolgendo aziende di tutte le tipologie, di tutti i settori e di tutte le dimensioni. Consiste nella trasformazione di sistemi e tecnologie che in passato erano on-premise, quindi “in casa” dell’azienda, in sistemi e tecnologie totalmente o parzialmente in cloud, secondo una modalità ibrida.

Questo passaggio consente di ottenere una serie di vantaggi, ma per poterne beneficiare davvero è necessario effettuare un journey cloud, valutando attentamente le modalità, i tempi e le tecnologie da adottare. Altrimenti si rischia di incorrere nel risultato opposto a quello atteso. “Una volta passati al cloud è difficile tornare indietro”, conferma Andrea Benotti, Support Service Manager di Quanture ed esperto di cloud transformation, cui abbiamo chiesto di illustrarci come dovrebbe essere condotta una migrazione efficace.

Un processo irreversibile

“La cloud transformation è un processo tecnologico irreversibile” afferma Benotti. “Spesso non ci si accorge che si stanno usando servizi cloud e, quando ci si fa caso, si scopre che magari li si sta utilizzando già da tanto tempo. Un esempio sotto gli occhi di tutti è la posta elettronica. Oggi, molte aziende che fino a poco tempo fa avevano server mail on-premise, stanno migrando la posta elettronica su Office 365, Outlook, Gmail o altri servizi in cui la parte di archiviazione è basata su cloud. Un discorso analogo vale per diverse altre applicazioni, a partire da software per la sicurezza come gli antivirus o gli antispam”.

La pandemia ha influito in modo consistente sull’accelerazione della cloud transformation, perché c’è stato un rapido ricorso alle tecnologie che hanno permesso di abilitare il lavoro a distanza, prime fra tutte quelle per la comunicazione e la collaborazione. D’altra parte, già ancor prima della diffusione del Covid-19, diverse aziende stavano trasferendo sulla “nuvola” alcuni sistemi, come il centralino telefonico. Questo, grazie alla possibilità per cui, oggi, per la gestione del traffico vocale si possono usare soluzioni cloud-based che consentono di evitare di installare dispositivi hardware: tutto è gestito via software. Questa, però, non è che la punta dell’iceberg: il cloud consente di fare molto di più.

Andrea Benotti, Support Service Manager di Quanture

Perché scegliere il cloud

“I motivi per cui un’azienda decide di intraprendere una cloud transformation sono molteplici” sostiene Benotti. “Essenzialmente, però, li possiamo riassumere nel desiderio di ottenere maggiore flessibilità, affidabilità e sicurezza. Un ulteriore aspetto che assume sempre più importanza è l’avere costi fissi annuali”.

Va sottolineato che il cloud non è gratuito, tutt’altro. Però, trasforma spese CapEx per l’hardware in costi OpEx per i servizi. Inoltre, non richiede la presenza in azienda di personale che si occupi né della manutenzione né dell’aggiornamento dell’infrastruttura IT. Lo stesso dicasi per la sicurezza. Sono tutte attività in carico al service provider. “Questo rappresenta un notevole vantaggio sia per le Pmi sia per le grandi aziende – precisa Benotti – in quanto alle piccole e medie imprese viene evitata la necessità di assumere personale dedicato che deve mantenersi costantemente aggiornato: è il service provider ad assicurare un servizio che può anche essere 24 ore al giorno, 7 giorni su sette”.

Un discorso analogo vale anche per le aziende di dimensioni più grandi, le quali invece possono dedicare le persone dell’IT ad attività più legate al business anziché alla manutenzione dei dell’infrastruttura. “In questa logica, non impatta solo la manutenzione. L’Infrastruttura, dopo 4 o 5 anni, dev’essere cambiata perché obsoleta, con quello che comporta in termini di gestione di ordini e logistica” rimarca Benotti.

“Per non parlare, poi, dei tempi per la fornitura dei prodotti. Nel cloud le risorse non si devono ordinare: sono immediatamente disponibili quando necessarie e prevedono l’uso di tecnologie recenti. Così, sempre più spesso notiamo che IT Manager di aziende di grandi dimensioni, scegliendo questo tipo di soluzione, hanno tempo di dedicarsi all’analisi dei dati e alla parte applicativa, quindi ad attività più specifiche per il business. Mentre sono sempre meno focalizzati sulla parte di infrastruttura e di networking” conclude.

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Le 4 fasi del journey cloud

Il cloud ha evidentemente la possibilità di offrire importanti vantaggi per un’azienda, ma, come detto, per sfruttarli bisogna affrontare un journey cloud nel modo corretto. Andrea Benotti suggerisce di prestare particolare attenzione a quattro fasi specifiche:

  1. valutazione degli obiettivi;
  2. definizione delle prestazioni attese dal service provider;
  3. migrazione al cloud;
  4. gestione della dismissione delle tecnologie on-premises.

“La prima fase, la principale, è l’assessment che definisce la strategia” evidenzia Benotti. “Consiste nell’esporre al service provider le esigenze e le aspettative per decidere cosa ha senso passare in cloud e su quale tipo di cloud migrare: pubblico, privato, ibrido oppure con tecnologie on-premise, ma in modalità as a service. È una fase molto delicata, dove la competenza del consulente con cui si rapporta l’azienda gioca un ruolo essenziale nel definire la strategia futura, perché, come detto, una volta passati sul cloud, è difficile tornare indietro. Soprattutto se si è scelto un cloud pubblico”.

È molto importante valutare quali applicazioni possono essere portare sul cloud e quali invece è meglio rimangano on-premise. Non tutte, infatti, possono “migrare” e, anche qualora ci si riuscisse, non è detto che sia economicamente vantaggioso. Un esempio in questo senso sono le applicazioni che gestiscono alcune tipologie di macchine industriali. “Ci capita di trovarne ancora alcune che girano su sistemi operativi obsoleti come Windows XP o 7. Queste non solo non ha senso portarle sul cloud, ma è anche impossibile” dice Benotti.

La seconda fase del journey cloud che merita attenzione è la definizione dei livelli di servizio del provider. “Bisognerebbe accertarsi che si potrà disporre di un valido supporto e di non correre il rischio di essere abbandonati” aggiunge Benotti. “Il cloud ha molti vantaggi, ma implica anche di dover imparare a gestire applicazioni e dati secondo alcune nuove modalità per le quali si può aver bisogno di aiuto. Inoltre, il provider dovrebbe fornire dei report periodici che mostrino quale sia la sua attività e quale valore aggiunge”.

La fase di migrazione di applicazioni e dati al cloud dovrebbe essere più indolore possibile. “Spesso svolgiamo questa migrazione al di fuori dell’orario lavorativo, proprio per minimizzarne l’impatto sulle attività quotidiane” precisa Benotti.

“L’esempio più frequente – aggiunge – è il passaggio del server di posta elettronica da on-premises al cloud, molto spesso è da Exchange a Office 365. Anzitutto prepariamo tutto quanto possibile sul nuovo server Office 365, poi, nella data definita con il cliente in fase di assessment, spegniamo il vecchio server e accendiamo quello nuovo. Solitamente lo si fa di sabato, di domenica o di sera. Completata la migrazione svolgiamo tutti i test necessari e risolviamo eventuali problematiche. I giorni seguenti alla migrazione che, di solito sono quelli più delicati, siamo sempre presenti e a fianco degli utenti finali per risolvere eventuali piccole criticità non emerse dai test”.

L’ultimo dei suggerimenti di Andrea Benotti riguarda la dismissione delle tecnologie on-premise. “Accade che un’azienda passi al cloud una determinata tecnologia e mantenga comunque parte dell’infrastruttura on-premise per migrarla in un secondo momento” conclude Benotti. “Meglio evitare situazioni di questo tipo. Fare una seconda transizione al cloud sarà più impegnativo e costoso. Inoltre, magari la si dovrà fare di corsa perché verrà interrotto il supporto da parte del vendor. In questo caso, se comunque si vuole avere l’hardware in casa, meglio puntare su un’infrastruttura as a service on-premise”.

Il ruolo del partner va oltre il supporto tecnico

Il cloud journey è fondamentale nella transizione verso la “nuvola”. Meglio, però, non muoversi in autonomia perché le quattro fasi esposte da Andrea Benotti sottendono molteplici elementi da valutare. Il supporto del partener e consulente tecnologico è fondamentale per non partire con il piede sbagliato e, quindi, fare errori che potrebbero portare serie conseguenze. Dato, poi, che al partner si affida l’infrastruttura IT – il cuore delle attività dell’azienda – sarebbe bene creare un rapporto di fiducia che non si limiti solo a un valido supporto tecnico, ma che possa anche aggiungere del valore nella gestione e nell’ottimizzazione dei processi, in modo da poter far crescere il business.

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