L’adozione dell’IoT comporta un bel salto qualitativo e quantitativo per chi si occupa di It nelle aziende. “VMware – spiega Greg Bolella, CTO Internet-of-Things di VMware – ha inserito un nuovo paradigma nella sua strategia per l’edge computing. La nostra visione dell’IoT è di tipo bottom-up basata su due layer. Il primo è quello dei sensori, oggetti disseminati localmente, economici e che richiedono poca energia. Questi oggetti devono essere collegati a gateway di aggregazione che hanno due lati: una rivolta verso i sensori, con i quali comunicano attraverso standard quali Scada, CAN-bus, Modbus o, nelle abitazioni, Bluetooth; l’altra è destinata a interagire tramite reti LAN (Local Area Network) o SD-WAN (Software-Defined Wide Area Network), dotate di opportune soluzioni di sicurezza, con server e data center edge o core. Esistono sensori dotati di stack TCP-IT (Transmission Control Protocol/Internet Protocol), che possono connettersi direttamente a internet: ma noi preferiamo che le comunicazioni passino sempre attraverso gateway e quindi edge computer. La maggior parte dei software dei sensori sono Linux-like e i disponitivi non hanno le risorse computazionali e di memoria sufficienti a far girare una soluzione di security. Inoltre è sempre più importante che la sicurezza degli oggetti IoT si evolva in modo coerente con le scelte effettuate per la security WAN. Anche quando utilizzassero il protocollo di sicurezza Open SSL, considerato che di questo escono quattro o cinque nuove release all’anno, effettuare il patching di un numero in crescita esponenziale di sensori sarebbe una missione improba se non impossibile”.
I flussi di dati che si invertono
Il secondo layer sul quale VMware sta investendo molto è quello dell’edge computing. “Parliamo – spiega Bolella – di server che hanno fra gli otto e i 64 core CPU. Possono operare come micro-datacenter locali in grado di eseguire molti tipi di elaborazioni sui dati provenienti dai sensori e dai gateway presenti in una determinata area geografica, in modo da inviare al core datacenter aziendale (on-premises o in cloud ndr) solo i dati effettivamente necessari per attività di analytics sui Big Data e di Artificial Intelligence (AI). Per gestire l’ambiente dell’edge computing, VMware ha introdotto (per il momento in beta) la soluzione Project Dimension. Fra le principali novità di questa tecnologia, abbinata a servizi offerti in collaborazione con partner, è che per le aziende diventa possibile implementare localmente dei sistemi di edge computing fisici, senza dover andare su posto a installarli, configurarli e manutenerli”. In altre parole, Project Dimension permette di fruire, su piccoli datacenter on-premise costituiti principalmente da sistemi iperconvergenti (HCI, Hyperconverger infrastructure), delle stesse funzionalità SDDC (Software Defined Datacenter) e IaaS (Infrastructure as a Service) che è possibile implementare sulla VMware Cloud.
“L’IT tradizionale – conclude Bolella – è nata per gestire soprattutto un traffico outbound fra i datacenter centralizzati e l’edge. Per favorire questo modello sono nati i CDN (Content delivery network), alla base delle tv via cavo e del web. Con l’IoT i flussi della maggior parte dei dati si invertono: dagli edge ai core datacenter. Gli edge computer con Project Dimension agiscono, quindi, quasi come dei server CDN al contrario”.
Pensando ai modelli di business tipici delle cable tv o degli Internet service provider, che inviano set top box e router ai clienti, i quali poi non devono fare altro che collegarli alla rete, troviamo comunque una similitudine fra quello di Project Dimension e il loro. La soluzione di VMware permette infatti alle aziende di delegare a tecnici del vendor, dei suoi hardware partner (al momento Dell e Lenovo) o al canale di questi ultimi, il compito di portare in loco gli edge computer, installarli e lasciare che si autoconfigurino in modalità plug and play. Anche la loro gestione da remoto (troubleshooting, patching etc.) e le eventuali manutenzioni on-site possono essere fruite come servizi gestiti.