In questo articolo vengono approfonditi alcuni aspetti relativi ai dati 2012 dell’Osservatorio Cloud & Ict as a Service della School of Management del Politecnico di Milano. Nel corso dell’ultima edizione di Smau, Alessandro Piva, responsabile della ricerca, ha dichiarato che, per come siamo messi in Italia in termini di propensione all’innovazione digitale, sarebbe necessario puntare sul cloud per una “mossa del cavallo”.
La mossa scacchistica simboleggia il salto a un nuovo paradigma per riposizionarsi rispetto all’avversario. Al di là delle metafore, Piva mostra quanto la nostra “propensione” sconti una serie di ritardi accumulati (figura 1): per spesa Ict confrontata al Pil siamo (poco) sotto la media Ue, ma con una Ue indietro rispetto a Paesi emergenti. I nostri utenti connessi non sono in percentuale nemmeno tra i top 50, in un’area dove il primato va ai nordici. E per velocità di connessione non reggiamo il confronto non si dice con la Corea, ma con la media Ue. Nel nostro piccolo poi ci associamo al disagio espresso da Piva nel constatare che allo Smau, la manifestazione per eccellenza dell’Ict italiano, dove si svolgeva la presentazione, gli smartphone non funzionavano (la presentazione, interattiva con domande dai partecipanti raccolte via Twitter, è stata possibile solo con un Wi-fi portato dal Politecnico).
Il beneficio potenziale cumulabile con il cloud nel 2015
Il cloud rende disponibili applicazioni e servizi con un modello rivoluzionario rispetto al tradizionale in house. Seguiamo l’ipotesi di una “mossa del cavallo” con il cloud, per riposizionarci, avvicinare i competitor, beneficiare della digitalizzazione.
Primo, il mercato dei Servizi Cloud in Italia vale oggi già 443 milioni di euro. Una nota lieta è il tasso di crescita: un bel 25% del 2012 su 2011, anche se una crescita vigorosa è più facile in un mercato nascente.
La stima, basata sui dati relativi alle 791 aziende coinvolte nell’indagine dell’Osservatorio, è emersa avendo scomposto il mercato nelle sue varie accezioni: servizi infrastrutturali (Iaas), di applicazione (Saas) e di piattaforma (Paas). Rilevando due grandi categorie, cloud pubblico (200 milioni di euro) e privato (240 milioni di euro), in ciascuna categoria l’Osservatorio ha distinto tra grandi imprese (sopra i 250 dipendenti, un 17% del campione e da sole il 95% dell’attuale mercato cloud) e piccole/medie (con le medie – dai 100 ai 250 dipendenti – che rappresentano il 24% del campione; e le piccole – dai 10 ai 100 dipendenti – pari al 59% del campione). Sul pubblico, forte è il traino dei servizi infrastrutturali; sul privato, ogni azienda si fa in proprio i servizi che le servono, così è difficile distinguere e classificare le tipologie di servizi cloud maggiormente utilizzate. Con 443 milioni di euro il nostro mercato cloud penetra del 2,5% una spesa It di 17,67 miliardi (stima Assintel di primavera); a sua volta la spesa It è l’1,8% del nostro Pil, percentuale assai bassa rispetto ad altre economie Ue e in forte contrazione sul 2011 (-4,1%).
Dal cloud pubblico “viene un messaggio forte”, corroborato dalla cinquantina di aziende che da più tempo lo sperimentano: una riduzione del Tco misurabile tra il 10 e il 20%. Su questa base Alessandro Piva propone una proiezione a tre anni in cui si mantengano l’attuale tasso di crescita al 25% e una spesa Ict piatta a 17,67 milioni di euro (figura 2): la penetrazione cloud degli investimenti Ict raggiungerebbe il 5%.
L’effetto diminuzione Tco tra il 10 e il 20% produrrebbe un “beneficio potenziale cumulato” al 2015 di 450 milioni di euro: un contributo di efficientamento e di liberazione di risorse di tutto interesse. Se poi si tenesse il passo dei migliori (se le nostre imprese “decidessero un salto del cavallo” per cui si raddoppi il ritmo della penetrazione cloud triennale dal nostro 2,5% a un 5% “americano”) il beneficio potenziale cumulato a tre anni raddoppierebbe, avvicinando il miliardo di euro. E se si incentivassero gli investimenti cloud, Ministro Passera?
Diffusione del Cloud e popolarità dei servizi
Davanti alle piccole imprese ci sono praterie per investire in cloud: usano servizi cloud “almeno in uno specifico ambito” solo il 22% delle piccole imprese contro un 56% delle grandi (o un 67% considerando anche quante lo hanno a piano). Assenza totale in 3 piccole su 4, anche se in un anno chi non sa rispondere “che cos’è il cloud” è almeno sceso da un 50% a un 10% (ma resta del 50% la percentuale che “non intravvede benefici”).
Il versante cloud privato è più maturo: sia nelle grandi con un’adozione e una sperimentazione al 77% (al 90% includendo la messa a piano), contro un 41% del cloud pubblico; sia nelle piccole e medie, arrivate al 17% per cloud privato e al 6% per cloud pubblico.
La diffusione dei servizi cloud è osservabile sul cloud pubblico, misurando l’utilizzo dei vari “as a service”.
Per un dato servizio applicativo, dalle combinazioni (Alta o Bassa) della sua Presenza e della sua Prevista introduzione, si formano quattro quadranti. Le locomotive di crescita stanno nel quadrante in alto a destra: sono Posta elettronica, Portali aziendali, Sistemi di Collaborazione comunicazione unificate; ma anche Crm, Gestione documentale, Servizi per Risorse Umane e Analisi del traffico web. Con Presenza bassa ma alta Prevista introduzione ci sono applicazioni core come Sales force Automation, servizi e-Commerce, Finanza e Controllo. In questo quadrante figurano anche Erp e sistemi di Bi, un segnale di interesse a capire se e quando sarà matura l’offerta per “cloudizzarli”.
Nei servizi infrastrutturali e di piattaforma, la fanno da padrone i servizi Iaas di messa a disposizione o di rilascio di Capacità di storage e di Capacità elaborativa (con preconfigurazione delle risorse virtuali). Restano più “di nicchia” i servizi di piattaforma, per ora.
I nuovi paradigmi del cloud per l’offerta e l’evoluzione della Filiera
Nell’ultimo anno l’Osservatorio registra in generale un mercato sempre più capace di rispondere alle esigenze dell’utente e di stimolare le aziende a scelte consapevoli sul cloud e sugli ambiti di utilizzo. Piva sottolinea come siano cambiati ormai due paradigmi per l’offerta: con l’avvento del cloud si passa da progetti complessi a servizi semplificati (il complex made simple di Google); in secondo luogo, si passa dalla vendita di progetti di integrazione di sistema alla vendita di servizi di cui si fa il Provider, ovvero da uno scenario di costi contro ricavi immediatamente monetizzabili a uno di investimenti iniziali certi a fronte di ricavi differiti e sperati.
E con il cloud la filiera del valore si popola di nuovi attori. Su tutto l’arco della soluzione, il cliente non si relaziona più solo con un system integrator e un consultant (figura 4). Adesso ha di fronte anche una catena del valore che dal component developer (gli sviluppatori dei mattoncini che si vanno a comporre in un servizio in cloud) va al service provider (gli sviluppatori di un servizio specifico in cloud visto dall’utenza finale, che come caso particolare può coincidere con la figura del component developer) ai cloud service broker (assemblatori dei servizi dei primi due livelli, che creano un’offerta completa di valore percepito dal cliente), fino alle Telco, che da sempre hanno spinto e spingono una propria capacità d’offerta Ict alternativa a quella dei system integrator. E che, essendo da sempre presenti presso il cliente, sono posizionati per un upselling di servizi cloud.