La vera sfida legata all’innovazione digitale oggi non è tanto trovare la tecnologia necessaria a produrla, quanto trovare formule e strumenti che consentano di integrare queste tecnologie e la loro potenziale portata innovativa nelle infrastrutture già esistenti e quindi impostare un “sistema IT” che possa funzionare secondo delle logiche di agilità irrinunciabili per tenere il passo con la velocità e la mutabilità del business.
La strada per riuscire in questa impresa, per Oracle si lega ai concetti di “Cloud Building Blocks” e di “IT self-driven” (a loro volta connessi ai temi Machine learning e AI). Ne ha parlato Luigi Scappin, Sales Consultant e Business Development Director, Oracle Italia durante il suo intervento ai recenti Digital360 Awards 2018.
“Cloud is not a place, cloud is a Way”
“Per iniziare un processo di reale trasformazione – spiega Scappin – la prima cosa da fare è ‘rompere il cemento’, ovvero superare quella situazione, in cui molti clienti enterprise si trovano, di aver ‘sposato’ nel passato una piattaforma applicativa e di averla customizzata, per poi trovarsi oggi bloccati, incapaci di evolversi: per molte realtà non è possibile nemmeno adottare la nuova versione di quella stessa piattaforma perché, a causa di quello strato di customizzazione, l’operazione risulterebbe troppo costosa”. Qual è allora la formula alternativa al “blocco unico” della piattaforma applicativa? Un mesh di app e servizi indipendenti, dei blocchi liberamente combinabili tra loro – i “building blocks” (Figura 1) – che le aziende possono implementare nell’infrastruttura aziendale esistente e nel tempo far diventare il proprio modello IT di riferimento; il lavoro di integrazione è impegnativo ma percorribile: “Una grossa parte dei progetti su cui sono impegnati le mie persone – dice Scappin – sono progetti di integrazione tra ciò che si sta facendo di nuovo e ciò che era pre-esistente”.
Questa è, secondo Scappin l’unica vera strada per sfruttare veramente il cloud: non semplicemente trasferire l’esistente sulla nuvola (“andare sul cloud”, un concetto diverso), ma cambiare le logiche di lavoro, seguendo il principio per cui “Cloud is not a place, cloud is a way” (Figura 2), e così sbloccare il potenziale innovativo dell’azienda. Con la logica dei “building blocks” l’azienda “non acquista più una suite applicativa – dice Scappin – ma adotta un servizio scegliendo tra tanti quello adatto alle proprie esigenze e lo usa; non c’è un processo di customizzazione, ma al massimo di configurazione”. L’agilità con cui è possibile accendere e spegnere questi servizi Saas, Paas e Iaas, consente alle imprese di superare quei processi tradizionali che prevedevano 6-9 mesi di definizione requisiti e 6-9 mesi di sviluppo prima del go-live; viceversa si procede con una logica di sperimentazione e progressivo perfezionamento: “Da subito si prova un certo servizio, si cerca di capire se questo si sposa con i processi già in essere in azienda, lo si configura”; un approccio “solution driven” (antitetico al “requirements driven”) che abbrevia i tempi per il go-live e consente l’ottimizzazione continua del servizio anche dopo il go-live stesso (nuovamente, si veda la Figura 2).
La possibilità di costruire il proprio mesh di soluzioni, combinandole e configurandole in modo libero a seconda dell’esigenza rappresenta un’evoluzione importante per l’IT aziendale: “I sistemi informativi finalmente non sono più costretti a scegliere tra il ‘make’ [ovvero la costruzione da zero di una soluzione in casa -ndr] e il ‘buy’ [l’acquisto di una soluzione o servizio standard senza margini di personalizzazione] (Figura 3), che erano opzioni entrambe non soddisfacenti: il ‘make’, anche quando ci sono i budget, impone tempi di sviluppo troppo alti; il ‘buy’ è comodo, ma non consente all’impresa di differenziarsi sul mercato”, spiega Scappin. Come risulta chiaro osservando la Figura 3, che riassume i “building blocks” offerti da Oracle, non c’è più un Crm, ma una serie di servizi Saas, Paas e Iaas – es. sales, commerce, marketing, social network – tra cui scegliere per impostare la propria strategia di relazione col cliente; non c’è più l’Erp, ma blocchi – es. procurement, revenue management ecc. – per impostare e gestire un proprio sistema di pianificazione delle risorse dell’impresa.
In certi casi questi blocchi, spiega Scappin “sono fatti anche di software community-driven open source [es. i blocchi AI, Block Chain, Iot, DevOps]; non ci si deve stupire che un vendor come Oracle parli di open source: oggi l’innovazione è community driven, non si fa dentro alla R&D di una grande azienda, ma fuori, è ‘autoconsistente’; il nostro compito è prendere la tecnologia innovativa e renderla utilizzabile dalle aziende, dar loro la possibilità di usarla senza dover avere per forza in casa le competenze che servono per gestirla [ovvero svilupparla, lavorare sulle tecnologie innovative su un piano tecnico-ndr]”.
L’it a guida autonoma
Se da un lato i sistemi IT aziendali devono diventare più agili, dall’altro la necessità è che sempre più si rendano autonomi in una serie di funzioni: le tecnologie devono riuscire ad autogestirsi maggiormente ed essere “intelligenti” per consentire alle persone di dedicare più tempo a compiti con alto valore aggiunto e per offrire un supporto concreto all’innovazione. “È il concetto che abbiamo battezzato ‘IT self-driven’. Se esistono macchine che consentono alle automobili una guida autonoma, possono esistere macchine che fanno le operation dell’It rendendolo più indipendente”, dice Scappin; il manager, entrando nel merito, spiega che un certo numero di servizi e di applicazioni proposte da Oracle sono innervati di AI e machine learning (ML), tecnologie che dunque le aziende ritrovano già applicate in una serie di processi e funzionalità (Oracle in riferimento a questi concetti parla di “Autonomous IT Platform” e di “Adaptive Intelligent Apps”, figura 4):“Spesso il problema dell’intelligenza artificiale è capire come utilizzarla: in questo caso non c’è nulla da costruire – dice Scappin – IT e business possono recepire i benefici dell’AI subito, nel momento in cui iniziano a utilizzare l’applicazione o il servizio”.
Si parla dunque di self-operation, self-provisioning, self-tuning, self-monitoring e via dicendo. Nel campo della customer interaction, racconta Scappin per chiarire ulteriormente, grazie alle Adaptive Intelligent Apps, con l’AI integrata è possibile ottenere suggerimenti su quale sia la prossima azione utile da fare nei confronti di un certo cliente per rispondere in modo proattivo e accurato; nel campo dell’Hcm AI e ML aiutano a creare processi che favoriscono l’individuazione dei talenti e il recruiting; nel campo dell’Erp si riducono gli errori umani e si ottimizzano i flussi di pagamento, approvvigionamento, inventario. In tutte queste azioni AI e ML sono alimentate anche da dati esterni all’azienda, forniti da Oracle: “In pochi sanno che siamo il terzo fornitore mondiale di dati di terze parti dopo Google e Facebook”, dice Scappin, che ricorda infine tra i vantaggi di una “Autonomous IT Platform” arricchita di ML e AI quelli legati alla sicurezza informatica: “Di fronte ad attacchi che sempre più spesso sono lanciati dalle macchine in modo automatico, avere componenti di AI e ML consente di poter rispondere alle minacce in modo altrettanto automatico, con un modello di difesa machine to machine indispensabile per una protezione efficace”.