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Migrare le applicazioni sul cloud: criticità e soluzioni

L’evoluzione verso le piattaforme cloud è inarrestabile. Ma come gestire la migrazione delle applicazioni su cloud in modo “indolore”? Ecco come interpretano il passaggio gli esperti di Oracle.

Pubblicato il 08 Lug 2020

migrazione applicazioni cloud

È ancora possibile avere timidezze nella migrazione delle applicazioni sul cloud? La risposta è no. Nel mondo della tecnologia, spesso, la spinta propulsiva per l’innovazione arriva direttamente dal mercato e, per le aziende, è impossibile offrire resistenza. Per quanto riguarda il passaggio verso il cloud, le caratteristiche di flessibilità e la possibilità di ridurre i costi operativi delle infrastrutture IT rappresentano fattori abilitanti ormai considerati indispensabili per mantenere la competitività dell’azienda. “Il cambio di marcia è inevitabile” conferma Matteo Sassi, Principal Sales Consultant Oracle. “Il passaggio al cloud permette di implementare servizi in grado di fornire flessibilità e rapidità nell’adattamento alle nuove esigenze. Chi non lo fa è perduto”.

foto Matteo Sassi
Matteo Sassi, Principal Sales Consultant Oracle

Il tema della continuità operativa

Il tema sollevato da Matteo Sassi definisce alla perfezione le motivazioni che stanno portando tutte le imprese ad abbracciare il cloud. Qualsiasi applicazione aziendale a livello IT deve infatti garantire continuità, sicurezza e affidabilità. Obiettivi che, se perseguiti attraverso le tradizionali strategie legate all’uso di infrastrutture on premise, comportano costi fuori quota. Il mantenimento di sistemi in grado di reggere i picchi di attività è infatti terribilmente oneroso. Con la logica dei servizi erogati attraverso piattaforme cloud, è possibile farvi fronte in maniera dinamica. Insomma: sotto questo profilo il cloud permette di ottenere il massimo risultato con la minima spesa. “Si tratta di una scelta obbligata” conferma Sassi. “Ma per spostare i servizi su cloud è fondamentale avere una strategia che consenta di gestire la migrazione in maniera corretta”. Nella declinazione pratica, infatti, le cose non sono affatto semplici.

Le applicazioni critiche

All’interno dell’ecosistema aziendale convivono diversi servizi e strumenti con caratteristiche diverse, che pongono differenti livelli di complessità quando si tratta di affrontare la migrazione. “Per quanto riguarda i servizi implementati più di recente, già pensati per una compatibilità con le piattaforme cloud, non si pongono grossi problemi” spiega Sassi. “E anche nel caso di applicazioni proprietarie, nella nostra esperienza abbiamo verificato come sia sufficiente modulare le soluzioni per garantirne il corretto funzionamento, eventualmente a livello di piattaforma (PaaS) o di infrastruttura (IaaS)”. Le cose, secondo l’esperto Oracle, diventano più difficili quando si ha a che fare con le applicazioni critiche sviluppate in tempi meno recenti. Con un problema ulteriore: questo tipo di applicativi (che in gergo vengono chiamati “big elephant”) rappresenta di solito la “spina dorsale” dell’azienda e molte imprese scelgono di mantenerle all’interno proprio per il timore di metterne a repentaglio l’affidabilità. Una strategia estremamente conservativa, che porta con sé una serie di problemi e costi legati alla loro gestione on premise: dalla protezione a livello di cyber security e aggiornamento, alle difficoltà legate a una limitata scalabilità.

Un cloud tagliato su misura

Per garantire i vantaggi del cloud e dissipare le resistenze in questo scenario, dalle parti di Oracle hanno predisposto un ambiente con caratteristiche adeguate per consentire le migliori prestazioni (e livelli di sicurezza adeguati) anche agli applicativi più “ingombranti”. Le soluzioni, nel dettaglio, prevedono l’uso di piattaforme Oracle Exadata all’interno di una piattaforma in cui la trasmissione dei dati sfrutta una rete che offre prestazioni superiori a quelle di infrastrutture on premise. “In molti applicativi la latenza nel dialogo con il database è un fattore critico” specifica Matteo Sassi. “Nella definizione della nostra seconda generazione cloud abbiamo introdotto tecnologie che consentono di avere prestazioni elevate in qualsiasi momento e condizione”. La logica, in pratica, è quella di garantire che i vari server all’interno del cloud hanno dei collegamenti dedicati che permettono di avere a disposizione una banda dedicata che non sconta alcun degrado nelle prestazioni provocato dal traffico complessivo della piattaforma. In altre parole: questa declinazione consente di avere le prestazioni di un datacenter dedicato offrendo comunque tutti i vantaggi del cloud.

Ampliare gli orizzonti

Accanto al tema delle prestazioni “pure”, esiste quello connesso al passaggio in cloud di applicativi che, spesso a causa di una “età anagrafica” piuttosto elevate, pongono due ordini di problemi: il primo è quello della compatibilità all’interno della piattaforma (e in particolare dell’hypervisor utilizzato), il secondo riguarda il tema della sicurezza. Un puzzle che Matteo Sassi conferma di aver intercettato più di una volta nella sua esperienza. “La soluzione a livello di compatibilità, nel nostro caso, viene affrontata riservando un server dedicato sul quale viene implementato l’ambiente di virtualizzazione più adatto” spiega l’esperto Oracle. Per quanto riguarda la sicurezza, invece, l’approccio è quello di offrire un livello di isolamento assoluto al software con strumenti di controllo in grado di rilevare qualsiasi anomalia o attività sospetta. Una strategia che consente anche di avviare un percorso “morbido” di aggiornamento dell’applicazione stessa. “Una volta inserito nel cloud, è possibile sostituire gradualmente i componenti” precisa Sassi. “In questo modo si avvia un percorso al cui termine le problematiche di compatibilità e di sicurezza diventano un ricordo”.

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