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Migrazione (veloce) al cloud pubblico: i passi da fare

Per effettuare il passaggio al cloud pubblico dei sistemi informativi aziendali è necessario eseguire alcuni semplici passaggi. Andrea Gaspari, Delivery Director di WESTPOLE Italia, spiega come effettuare quelli giusti.

Pubblicato il 30 Mar 2022

cloud pubblico

Durante il 2020 e il 2021, il cloud pubblico ha fornito un grande supporto per consentire che il lavoro diventasse virtuale e che le aziende si adattassero alla pandemia globale, concentrandosi sulla fornitura di servizi digitali. E nel 2022 stiamo vedendo una continuazione nella rapida adozione e crescita di questa tecnologia. Secondo i dati forniti da Statista, infatti, il giro d’affari generato dalle applicazioni gestite sul cloud pubblico dovrebbe passare dai 120,7 miliardi di dollari del 2020 a 145,5 miliardi nel 2021 per raggiungere i 171,9 miliardi di dollari nell’anno in corso.

Questo dovrebbe dipendere dal fatto che vedremo spostarsi l’attenzione dalla distribuzione di strumenti e piattaforme cloud al fine di migliorare una funzione specifica (come il passaggio alle riunioni a Teams o a Zoom) verso strategie più olistiche, incentrate sulla migrazione cloud a livello aziendale. L’adozione da parte delle aziende del lavoro ibrido (insieme di lavoro remoto e in presenza) rimarrà una tendenza chiave, ma ci sarà anche una continua innovazione nel cloud e nell’infrastruttura del data center.

Per sapere cosa deve fare oggi un’azienda che vuole effettuare una migrazione al cloud pubblico e quali passi deve compiere abbiamo chiesto supporto ad Andrea Gaspari, Delivery Director di WESTPOLE Italia ed esperto di multicloud.

Una scelta informata e consapevole

La migrazione al cloud pubblico è un obiettivo che si stanno ponendo molte aziende, ma prima di procedere alla transizione è necessario che abbiano ben chiaro cosa vuol dire approcciare il cloud e cosa si può ottenere in termini di benefici. “Purtroppo, nella realtà dei fatti, spesso le aspettative vengono disattese perché un’organizzazione si approccia al cloud senza avere una precisa idea di cosa stia affrontando e di cosa si possa aspettare – ha affermato Andrea Gaspari –. Decidere di puntare sul cloud deve essere invece una scelta informata, mirata ad avere un valido supporto non solo per l’infrastruttura IT ma per l’IT aziendale nel suo complesso”.

Prepararsi al cloud pubblico

Solitamente un’azienda punta al cloud pubblico perché intende migrare le proprie applicazioni pensando di poter sfruttare senza problemi le opportunità offerte dal cloud in termini di flessibilità, scalabilità ed economicità. Però, secondo Andrea Gaspari “prima di parlare dei risultati è bene verificare il punto di partenza, ovvero capire come è strutturato il sistema informativo aziendale e, a fronte di questo assessment, stabilire quali sono le opportunità che si possono cogliere sul cloud pubblico”.

Per fare un esempio, consideriamo un’azienda con un sistema informativo stratificato, con applicativi legacy (magari client/server o da mainframe) che risalgono a parecchi anni fa e sviluppati per necessità specifiche, ma che poi sono stati manutenuti. È impensabile avere le stesse applicazioni in un ambiente containerizzato e usando kubernetes per sfruttare al massimo la portabilità e la flessibilità che questa tecnologia mette a disposizione. E se comunque ci fosse la possibilità di portare tali applicazioni in cloud, significherebbe sicuramente dover affrontare costi molto importanti perché avrebbero bisogno di una reingegnerizzazione completa. In situazioni di questo tipo è meglio mantenere le applicazioni legacy on premise, o eventualmente in un cloud privato, e affiancare un cloud pubblico dove avviare applicazioni nuove per sfruttare le risorse e i servizi che il cloud pubblico rende disponibili.

“Ci deve essere un percorso di studio e un progetto costruito a quattro mani tra il provider e l’azienda, che può prevedere tempi più o meno lunghi – ha precisato Andrea Gaspari –. Solitamente i progetti si trasformano in una portabilità parziale di una quota parte dei sistemi sul cloud pubblico. L’altra parte rimane on premise o può essere gestita tramite un cloud privato”.

La flessibilità del cloud pubblico

Tra i punti di forza del cloud pubblico, uno dei più apprezzati è sicuramente la flessibilità, la possibilità di scalare, di non doversi più preoccupare di manutenere o di mantenere una struttura più o meno sovradimensionata rispetto alle esigenze cicliche. Questo perché nel momento in cui si ha bisogno di un incremento di potenza (computazionale, di memoria, di spazio disco o di tutti e tre assieme) per affrontare i periodi più impegnativi dell’anno, si può tranquillamente scalare l’infrastruttura per il tempo necessario, pagando quello che effettivamente si consuma. E poi dopo, per gli altri mesi, si torna invece a usare l’infrastruttura che è dimensionata per le normali esigenze aziendali.

“Riguardo la scalabilità dell’infrastruttura – ha puntualizzato Andrea Gaspari –prima del cloud si viveva un po’ di compromessi. Si valutava quali erano i valori medi durante l’anno e quali i picchi e poi si cercava di mediare. Sia dal punto di vista del provider sia da quello del cliente, si cercava di ipotizzare un’infrastruttura che consentisse una gestione efficace per l’ordinario ma che permettesse anche di gestire i picchi di potenza nel momento in cui si fossero verificati. Questo avveniva con un’infrastruttura tradizionale che non si pagava a consumo e che quindi non era resa disponibile dal provider sulla base delle specifiche esigenze contingenti. Esattamente l’opposto di quanto accade con il cloud oggi.”.

Le applicazioni da portare (velocemente) sul cloud

Il primo passo per una veloce migrazione verso il cloud pubblico nella maggioranza dei casi riguarda le applicazioni di office automation che si utilizzano quotidianamente, come quelle della suite Microsoft 365, tra cui Outlook, Word, Excel e PowerPoint. “Queste possono essere facilmente e velocemente migrate al cloud – ha sottolineato Andrea Gaspari –. Ciò può dare immediatamente all’azienda la percezione di approcciare il cloud pubblico portando una parte del suo ambiente IT in un contesto dove la gestione passa nelle mani del service provider, che da quel momento in poi si fa carico della manutenzione e di gestire gli aggiornamenti e la sicurezza”.

Cosa migrare sul cloud in tempi successivi dipende dai risultati dell’assessment eseguito: sarà questo a mostrare quali delle applicazioni che l’azienda usa sono portabili. Magari alcune possono addirittura essere migrate in un ambiente evoluto, come quelli a container che consentono elevata scalabilità e flessibilità anche in termini di performance.

“Comunque, se dobbiamo differenziare fra cosa portare sul cloud pubblico in prima istanza e che cosa tenere in casa – ha sintetizzato Andrea Gaspari – è sicuramente il core business ciò che è meglio tenere vicino, sotto un diretto controllo. Tutto quello che è di contorno al core business aziendale può di solito essere portato tranquillamente in un ambiente pubblico”.

L’opportunità di usare cloud diversi

Le aziende che hanno effettivamente la possibilità di traslare una parte o l’intera infrastruttura sul cloud pubblico possono puntare su un’ulteriore opportunità offerta da cloud stesso: il multicloud.

Siccome il cloud pubblico per definizione è flessibile e portabile, ci si può dotare di un orchestratore, di una consolle di comando tramite cui gestire il multicloud, ovvero l’accesso o la migrazione dell’infrastruttura da un cloud pubblico a un altro in funzione delle necessità.

“I cloud non sono uguali – ha concluso Andrea Gaspari – alcuni hanno prestazioni migliori sul versante computazionale altri su quello storage, altri ancora eccellono per impieghi molto verticali. Così, si può decidere di usare un cloud o l’altro a seconda delle esigenze trasferendo i container. I trasferimenti si possono gestire in prima persona o si può decidere di lasciare l’attività al provider e condividere con lui le situazioni da governare”.

Contributo editoriale sviluppato in collaborazione con Westpole

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