Ormai è evidente il ruolo centrale del cloud come infrastruttura abilitante per la digital transformation. L’Osservatorio Cloud Transformation 2019 del Politecnico di Milano ha mostrato anche su quale tipo di cloud si stanno orientando oggi le aziende italiane. Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio, sono soprattutto public e hybrid cloud a registrare i tassi di crescita più elevati (25%), con un valore stimato di 1,56 miliardi di euro e un’accelerazione superiore alla media internazionale (21%, pari a 153 miliardi di dollari). La prevalenza del cloud ibrido quale opzione di servizi in cloud integrati con le applicazioni aziendali on-premises sta fungendo da apripista per un’ulteriore evoluzione verso un paradigma multi cloud. L’abbandono del single cloud, infatti, è una realtà per il 68% delle organizzazioni censite dall’Osservatorio, che affermano di ricorrere a più di un cloud provider. Di queste, però, soltanto il 24% sostiene di gestire logiche e tool di orchestrazione multi cloud, cioè di utilizzare strumenti evoluti di multi cloud management. Vediamo cosa sono e come funzionano.
La complessità degli ambienti hybrid cloud e l’opzione multi cloud
A fronte dei numerosi vantaggi che ambienti hybrid e multi cloud offrono (in primis maggiore scalabilità e minore esposizione al lock-in di vendor unici), le aziende devono affrontare un’estrema complessità di gestione. Questo perché il multi cloud aumenta la superficie di rischio, l’elenco delle competenze richieste, i costi di networking e la latenza, oltre ad accrescere l’eventualità che si verifichino ridondanze non necessarie. Un sondaggio dell’anno scorso condotto da Forrester su commissione di Dell Technologies ha intervistato 405 decision-maker globali sul tema della riduzione della complessità degli ambienti multi cloud. La survey ha messo in rilievo che quasi tutte le organizzazioni che adottano il multi cloud usano almeno uno dei principali hyperscaler provider. Stiamo parlando in pratica di Amazon AWS, Google Cloud Platform e Microsoft Azure, a cui è possibile aggiungere Alibaba in relazione al mercato cinese. Il paradosso è che in questo modo alcuni benefici del multi cloud management vengono attenuati da un sostanziale monopolio, o comunque oligopolio, dettato specialmente quando si opta per piattaforme SaaS e modelli di sviluppo low code. Per questa ragione le medesime realtà sentite da Forrester integrano, nel 67% dei casi, i servizi cloud degli hyperscaler con quelli offerti dai non hyperscaler provider, così da ottenere una migliore sicurezza, ottimizzare le prestazioni di alcune applicazioni e avere maggiore supporto da parte dei managed services.
Per una strategia hybrid e multi cloud consistente, performante e gestibile
Non esiste un’unica strategia di multi cloud management. Sempre secondo l’indagine di Forrester, l’approccio più comune si concentra nell’utilizzo di più vendor per ospitare diverse parti di una singola applicazione o ecosistema applicativo, in particolare nel caso di applicazioni ibride. Quest’ultimo scenario è più ricorrente per i siti web e le applicazioni mobili, soprattutto per rispondere a requisiti di compliance o di set di dati legacy. Solitamente, tra le metriche considerate più importanti al primo posto ci sono le prestazioni, seguite da risparmio dei costi TCO, velocità di delivery e rapidità nel risolvere i problemi di sicurezza. Da qui derivano le tre aree chiave di miglioramento nella selezione dei non hyperscaler provider:
- trasparenza delle performance;
- prevenzione proattiva delle minacce;
- qualità superiore nel technical account management.
Uno degli aspetti di grande complessità nella gestione del multi cloud riguarda la visione integrale dei vari ambienti di public o private cloud che, in quello ibrido, vede per esempio un’agevolazione tramite infrastrutture in cui API o container facilitano la portabilità del carico di lavoro. Oggi le piattaforme di cloud management consentono di governare il provisioning riuscendo a gestire i servizi in cloud sulla base della domanda. Per farlo, però, devono essere abbinate alla capacità di monitorare le prestazioni delle applicazioni e dei network layer, insieme a quella di orchestrare (su cui torneremo più avanti) il multi cloud per soddisfare le varie esigenze applicative. In definitiva, una strategia hybrid e multi cloud performante deve contemplare anzitutto una mappatura dell’architettura; in secondo luogo, la standardizzazione dei consumi fra le varie business unit aziendali che attingono a diversi servizi e provider; infine, l’integrazione affinché l’ecosistema sia gestibile come fosse un unico ambiente e un unico network.
Le infrastrutture iperconvergenti (HCI) che abilitano hybrid e multi cloud
Per raggiungere l’obiettivo di un’integrazione automatizzata, in grado di abbattere i silos negli ambienti hybrid e multi cloud, una delle tecnologie più efficaci arriva dall’iperconvergenza. Infatti, l’hyperconverged infrastructure (HCI) offre la possibilità di avere un’unica soluzione software-defined per gestire calcolo, SAN e storage condiviso di ambienti aziendali distribuiti. Questo cambiamento di paradigma viene incontro a una delle principali esigenze di cui si è parlato finora, la semplificazione della complessità nel multi cloud management. Una semplificazione che passa, per esempio, dall’opportunità di consentire ai reparti IT di prendere decisioni basate sui carichi di lavoro invece che sull’infrastruttura stessa. Le infrastrutture HCI rispondono anche a una logica di allocazione degli investimenti in chiave OpEx piuttosto che CapEx, proprio perché orientata a garantire maggiore efficienza operativa limitando l’acquisto di hardware con gli alti costi derivanti dall’esecuzione delle applicazioni negli uffici e nelle filiali dell’azienda.
Le piattaforme di orchestrazione per ridurre la complessità del multi cloud
Nelle testimonianze raccolte da IDC, sono due i termini a cui le aziende fanno più spesso riferimento per indicare come l’hyperconverged infrastructure contribuisca a ridurre la complessità degli ambienti hybrid e multi cloud: automazione e orchestrazione. Da due anni Gartner dedica uno dei suoi periodici Magic Quadrant alle Cloud Management Platform (CMP) definendole come quelle piattaforme che consentono alle organizzazioni di gestire servizi e risorse multi cloud in sette aree funzionali che includono:
- provisioning e orchestrazione;
- service request management;
- inventario e classificazione;
- monitoraggio e analisi;
- gestione dei costi e ottimizzazione delle risorse;
- migrazione in cloud, backup e disaster recovery;
- identità, sicurezza e compliance.
Sebbene il panorama dei CMP vendor sia rimasto pressoché immutato, e addirittura si sia impoverito nel biennio di analisi finora proposto da Gartner, le previsioni sono che entro il 2025 oltre il 70% delle imprese dovrebbe implementare strumenti per la governance del multi cloud, stante la sua propagazione sempre più diffusa. Tant’è vero che la seconda edizione del Magic Quadrant, pubblicato nei primi mesi del 2020, si è concentrata su quelle realtà che forniscono un insieme di funzionalità più ampio rispetto al passato, elogiando quelle che, oltre a incentrare le proprie soluzioni su orchestrazione e controllo degli accessi, dimostrano di possedere una mentalità infrastructure-agnostic. In un mercato che vede il predominio di AWS e Azure, le implementazioni di private cloud e di quelle che Gartner chiama “implementazioni ispirate al cloud” come gli ambienti virtualizzati tramite VMware e Kubernetes, la disponibilità di tool indipendenti di terze parti fa da pendant con la scelta degli hyperscaler provider.
Il ruolo dei managed services come partner dell’offerta non hyperscaler
Le infrastrutture HCI e le piattaforme CMP sono strumenti essenziali per affrontare la complessità del multi cloud management, ma potrebbero non bastare. Il report di Forrester citato in precedenza, nell’illustrare il sentiment delle aziende su questo tema, si focalizza sulle ragioni a sostegno del coinvolgimento di managed services partner. Un coinvolgimento che non è contraddetto dal fatto che l’84% del campione afferma di avere un team interno dedicato a gestire il multi cloud, ma è sul ruolo di intermediazione dei non hyperscaler provider che i managed services fanno la differenza. I non hyperscaler, infatti, forniscono sia servizi dedicati di cloud privato on e off-premise sia servizi gestiti per tutti gli ambienti, compresi quelli dei concorrenti hyperscaler. Ciò significa che le loro competenze aiutano a temperare più velocemente la complessità nella gestione del multi cloud. Facendo un confronto tra le organizzazioni che si avvalgono dei managed services e tra quelle che ne fanno a meno, si scopre che in termini di performance le prime ottengono un miglioramento medio del 21% su base annua, invece del 17,9% delle seconde. Inoltre, grazie ai managed services, le imprese hanno anche maggiori probabilità di mantenere bassi i costi, riducendo le ore operative (36% contro 24%), e di riuscire a conquistare una maggiore fiducia dei propri clienti (46% invece del 38%) in virtù di standard di sicurezza più elevati.
Scarica il report completo IDC sull’approccio corretto al multicloud.