Standard convergenti per il Cloud computing, sono fondamentali per migliorare la maturità dei servizi Cloud-based e assicurare maggiore flessibilità, sicurezza e interoperabilità. Il problema è che ci sono troppe specifiche concorrenti, che potrebbero causare gravi danni all’industria. La preoccupazione è stata espressa dal partner di certificazione indipendente del Cloud Industry Forum, APM Group.
Man mano che il Cloud si diffonde tra gli utenti, gli organismi del settore e i consumatori esprimono perplessità sulla mancanza di standard specifici e convergenti, in grado di assicurare l’interoperabilità, cosa questa che ne ostacola un’adozione pervasiva.
Standard e interoperabilità potrebbero permettere agli esperti IT di spostare applicazioni e carichi di lavoro tra Cloud pubblici e privati o da un Cloud pubblico a un altro. Consentirebbero alle imprese di selezionare una combinazione di tecnologie Cloud ed evitare il tanto famigerato “vendor lock-in”. Ma alcuni esperti sostengono che standard univoci e pertinenti in grado di garantire interoperabilità e portabilità al Cloud sono ad “anni luce di distanza” dall’essere una realtà.
“Il mercato ha chiaramente bisogno di regolamentazione e standardizzazione – sostiene Richard Pharro, Direttore Generale di APM Group -. È senza dubbio la mancanza di standard comuni in materia di sicurezza, affidabilità e governo dei dati che ha portato gran parte delle organizzazioni a ritardare il loro passaggio al Cloud”. Se è vero, infatti, che esistono specifiche per il cloud, non esiste, a oggi, un unico standard di settore sul quale gli utenti possano fare affidamento.
Gli organismi che propongono e sostengono proprie specifiche sono diversi: The Green Grid, Cloud Security Alliance, Institute of Electrical and Electronics Engineers (IEEE) Standards Association e altri ancora. L’industria del Cloud vanta, ora, circa 20 standard concorrenti. “La maggior parte di queste specifiche è utile e pertinente – sostiene Pharro – ma si occupa di presidiare solo uno o pochi aspetti del Cloud. Ecco perché il consolidamento sarebbe vantaggioso per l’industria. La standardizzazione del cloud rischia di diventare un termine nebuloso come la stessa industria cui fa riferimento, soprattutto considerando la proliferazione di diversi organismi di standardizzazione tra cui scegliere”.
“Gli standard in genere seguono di due o tre anni l’introduzione di un’innovazione. Quando sopraggiungono specifiche migliori, gli sviluppatori hanno il dovere di mandare in pensione i propri standard o almeno di cercare di trovare qualche convergenza con specifiche simili. In caso contrario, l’impatto complessivo della standardizzazione stessa viene diluito, se non addirittura vanificato, rendendo il mercato frazionato e complicato – è lapidario Pharro -. In mercato affollato, con diversi standard cloud concorrenti, come fa un utente finale o un provider di servizi a discriminare quali specifiche vale la pena di perseguire e quali no?”.
Secondo APM Group, fino a quando non esisteranno standard universalmente adottati, il CSP dovrebbe concentrarsi sulla trasparenza commerciale, su una miglior prassi operativa e sull’adozione di una terminologia comune per garantire la fiducia degli utenti. “Alla fine – conclude – gli utenti sono solo alla ricerca di fiducia e rassicurazione sul fatto che i loro dati saranno al sicuro nel cloud e che il fornitore scelto sia affidabile e in grado di supportare le loro esigenze di business”.