Cloud first. Per Alexander Wallner, senior vice president e general manager Emea di NetApp, molte aziende e molti It vendor (compresa NetApp) utilizzano questa espressione per precisare le loro nuove strategie: “Il significato di cloud first – sostiene però il manager – è molto spesso fonte di malintesi. Molti pensano che cloud first significhi migrare tutta l’It aziendale sul cloud. Per noi, invece, vuol di che, ogni qualvolta si pensa di installare on-premise una nuova applicazione, ci si chieda se non è più conveniente farlo sul cloud. A volte potrebbe non essere auspicabile, perché c’è una legislazione nazionale, una data privacy policy o una valutazione costi-benefici che non lo consente. Altre volte potrebbe invece essere opportuno…”.
Ma allora cosa significa cloud first per NetApp? “Sicuramente – spiega Wallner – oggi il 50% dei nostri investimenti in ricerca e sviluppo è orientato a temi che sono in qualche modo relativi al cloud. Siamo convinti che i clienti stiano andando verso il cloud. Questo modello, per esempio, ha alzato l’asticella delle aspettative in termini di customer experience. Ma quello a cui miriamo noi è soprattutto dare la libertà agli utenti di scegliere il modello infrastrutturale che preferiscono. È una strategia che abbiamo inaugurato diversi anni fa, quando NetApp ha deciso di disaccoppiare il software dall’hardware (ed è il sistema operativo e software di data managent proprietario ONTAP, che è portabile su qualsiasi sistema storage, ndr). L’azienda ha deciso quindi di investire in diverse direzioni. Un primo pillar della nostra strategia è aiutare le imprese a trasformare i loro grandi ambienti legacy. Un altro è permettere ai clienti di replicare nei loro data center le caratteristiche di agilità ed elasticità che troverebbero sui public cloud (possiamo inserire in questa proposition l’offerta di applicance iperconvergenti NetApp HCI, ndr). Negli ultimi due anni abbiamo investito molto nello sviluppo di algoritmi che consentono di ridurre i tempi di latenza nelle comunicazioni fra data center e cloud multipli. Sempre più spesso, infatti, le aziende hanno l’esigenza di utilizzare componenti infrastrutturali on-premise e off-premise. Per esempio, molte delle nuove applicazioni sono avide di risorse computazionali, e una delle risorse per cui si ricorre ai cloud pubblici – per esempio per supportare i team DevOps – è poter sfruttare quantità di CPU che sarebbe molto più costoso implementare nel data center on-premise”.
“Noi vogliamo – conclude Wallner – dare la massima libertà di scelta di utilizzare architetture on-premise di tipo legacy, archietture on-premise elastiche e archietture off-premise elastiche per gestire gli stessi dati e le stesse applicazioni (incluse quelle containerizzate e gestite con la piattaforma di orchestrazione Kubernetes), in maniera flessibile ed evitando vendor lock-in”.
In riferimento al multi-cloud, Wallner fa notare che “ogni public cloud ha i suoi formati di dati. Con diverse nostre soluzioni (fra le quali spiccano i Cloud Volumes ONTAP per AWS, Microsoft Azure e Google Cloud Platform, ndr) permettiamo di unificare i dati affinché possano essere condivisi da applicazioni quali quelle di AI-ML, deep learning e IoT”.