SAN FRANCISCO – C’è un motivo per cui tra gli speaker più brillanti e felici dell’evento c’era lui, il prestante e abbronzato sindaco di San Francisco, Gavin Newsom. L’annuale kermesse di Oracle, l’OpenWorld, che ormai da 12 anni si tiene nella struttura del Moscone Center di San Francisco, invade infatti la città della Baia. Un indotto enorme per un evento che rappresenta per Oracle il momento in cui clienti, partner, analisti e buona parte della struttura mondiale della società si ritrovano per fare il punto della situazione e guardare al futuro dell’azienda e del mercato. Oltre 100 milioni di dollari sono stati immessi nell’economia della Bay Area dalle 43.000 persone presenti nei quattro giorni della manifestazione di fine settembre, con 1.800 differenti sessioni e 450 partner che espongono e discutono in diverse location della città.
E’ sempre difficile, in una manifestazione così articolata, trovare il “fil rouge” che focalizza il momento e la prospettiva. Ma tra i numerosi interventi ed analisi effettuati dai manager Oracle, prima del grande annuncio del “capo”, Larry Ellison (il quale, come al solito, pieno padrone del palcoscenico ha voluto stupire tutti annunciando l’ingresso di Oracle nell’hardware, a braccetto di Hp – vedi box in basso), ci pare utile alla comprensione della strategia di questa azienda riportare in sintesi un’analisi di Sergio Giacoletto (nella foto a sinistra), executive vice president di Oracle Emea e membro dell’Executive Management Committee della società: “Gli utenti stanno chiedendo oggi ai vendor It un consolidamento nel mondo dell’offerta. Da oltre 50 software vendor stanno ricercando quei 4-5 partner strategici globali con i quali sviluppare il loro business, nei quali cercare quel valore che la tecnologia, se applicata coerentemente, può offrire. Per ridurre l’eccessiva dipendenza da uno sviluppo e gestione interno della tecnologia – continua l’executive Oracle – assistiamo al costante passaggio dal build al buy, cioè dallo sviluppo in house all’utilizzo di software standard. E in questo passaggio Oracle ha una serie di forti key point da giocarsi”. Come dargli torto? Da anni la società di Ellison fa della pre-integrazione dei propri prodotti e dell’open standard le armi con cui realizzare attraverso i tre primari filoni di offerta, data base, middleware e application, percorsi per la semplificazione della complessità dei sistemi informativi. I Business process diventano, nello schema Oracle, più facili da gestire grazie ad un’architettura applicativa che rappresenta uno degli snodi cruciali nell’offerta dell’azienda (l’AIA, l’Application Integration Architecture), integrando nelle applicazioni tutta una serie di funzioni sviluppate ad hoc e/o mutuate da un’organica strategia di acquisizioni, attraverso quel middleware industry standard, Fusion Middleware, che è ormai una vasta serie di famiglie integrate di prodotti che supportano lo sviluppo e la gestione di architetture SOA (sono ormai ben nove le linee di prodotto in area middleware e per ben cinque di queste proprio di recente, a seguito dell’acquisizione Bea, si è provveduto ad una ridefinizione di priorità tra prodotti “strategici” e prodotti “continue and convergence”, cioè che verranno mantenuti in attesa di farli confluire nel prodotto di riferimento). Un middleware che ha il compito di guidare verso le nuove e attesissime Fusion Application (Ellison ha promesso che una suite di Fusion Applications arriverà verso la fine di quest’anno) l’integrazione funzionale (la “fusione”) delle diverse famiglie di applicativi rilevate dalle acquisizioni degli anni precedenti (JDEdwards, Peoplesoft, Siebel oltre, naturalmente, alle Oracle E-Business Suite).
I cardini della strategia
Questa, in sintesi, l’azione dell’azienda sul mercato. Un’azienda che ha chiuso l’anno fiscale 2008 con 22,4 miliardi di dollari, che opera sul mercato attraverso un ecosistema di 20.000 partner e che conta circa 300 mila clienti worldwide. “Il 2008 è stato un anno di innovazione – ha detto il Presidente Oracle, Charles Phillips (nella foto), nel quale abbiamo speso circa 3 miliardi di dollari in Ricerca e Sviluppo, continuando la nostra espansione attraverso una politica di acquisizioni mirate sia in area Tecnologia, sia nelle Application, non perdendo però di vista i tre punti che caratterizzeranno sempre la nostra offerta: completa, open e integrata”. Ed è proprio grazie a questo concetto forte di integrazione funzionale, resa possibile dal middleware Fusion, che le numerosissime acquisizioni effettuate dall’azienda diventano un’offerta integrata e aperta. Decine di prodotti sono state annunciate all’Oracle OpenWorld (e dei principali vi daremo, più avanti, alcuni dettagli), ma il cardine della strategia Oracle è proprio questo: una marcata integrazione tecnologica, funzionale e applicativa che rappresenta “il faro” dell’azione della società di Ellison. Accanto infatti alle grandi acquisizioni Peoplesoft (2005), Siebel (2006), Hyperion (2007) e alla neo arrivata Bea (gennaio 2008), almeno una quarantina di altre società sono state acquisite negli ultimi anni, andando a formare quell’offerta che solo una forte strategia middleware e un’architettura di riferimento possono rendere organica, evitando il rischio di disorientare gli utenti.
L’Aia (Application Integration Architecture) consente dunque, attraverso servizi Soa preinstallati e grazie a Fusion middleware, l’integrazione di differenti applicazioni Oracle, di terze parti e sviluppate in house. L’elemento che permette agli utenti una maggiore efficacia nell’utilizzo delle applicazioni all’interno di Aia è rappresentato dai Foundation Packs, che garantiscono un approccio strutturato allo sviluppo della composizione dei processi. In pratica forniscono una libreria di servizi condivisi, oggetti comuni e supportano modelli di programmazione Soa oriented con best practice di metodologie di implementazione. Consentono anche di creare più facilmente processi di business attorno alle applicazioni, nonché rappresentano un oggettivo elemento di facilitazione per l’integrazione tra processi, riducendo gli sforzi e i costi normalmente associati ai progetti di integrazione tra applicazioni, che ricadono molto spesso sulle spalle degli utenti. Ancora più importante, rappresentano il framework di base per lo sviluppo dei cosiddetti PIP, i Process Integration Packs, di fatto processi di business preintegrati, specializzati nei diversi segmenti merceologici e funzioni. Ecco allora che all’OpenWorld sono stati annunciati nuovi Foundation Packs (Insurance e Utilities) mentre grazie anche alla specializzazione di terze parti nei diversi segmenti di mercato vengono “costruiti” nuovi business process pre-integrati nella Logistica, nel Consumer Goods, nelle Comunicazioni. Lo scorso anno Oracle aveva annunciato 13 Pip; in un anno sono diventati una trentina.
L’integrazione di Bea, il nuovo application grid, il cloud computing e…decine di altri annunci
Il percorso di integrazione funzionale e organizzativa tra Oracle e Bea è uno degli elementi di accelerazione nell’offerta Oracle in ambito middleware e soprattutto Soa (Oracle ha annunciato l’arrivo, negli ultimi mesi, di 5.000 nuovi clienti e di 1.200 nuovi partner di area Bea). Proprio per questo Oracle ha annunciato un’accelerazione nella disponibilità di soluzioni Soa derivanti dalla combinazione delle due società in Fusion Middleware. Nello specifico è stata annunciata l’integrazione di Oracle WebLogic Server, Oracle WebLogic Application Grid, Oracle Business Process Management e Oracle WebCenter Suite. E a testimonianza del “passo veloce” che la società intende dare all’integrazione tra le differenti famiglie di prodotti, giunge l’annuncio di nuove release dell’Oracle WebLogic Application Grid, una piattaforma grid per la gestione di applicazioni business critical basata su concetti di forte scalabilità e alte prestazioni. Il prodotto, oggi parte sempre della famiglia Fusion Middleware, ha subìto miglioramenti nel sistema di in-memory data grid, ora con una gestione semplificata e prestazioni superiori, e nel sistema di gestione. E’ un prodotto, come ha sottolineato Thomas Kurian, Senior Vice President Fusion Middleware di Oracle, “frutto della rapida integrazione di tecnologie Bea, soprattutto WebLogic e Tuxedo, in grado di supportare l’esigenza di sviluppo e gestione di applicazioni business critical da parte delle diverse componenti interessate: utenti finali, terze parti e sviluppatori”.
Ma l’elenco degli annunci è davvero lungo. Tra i principali vanno però segnalati: miglioramenti alla SOA Suite (la Soa Suite 10g R3 comprende l’integrazione con l’Oracle Service bus e l’Oracle WebLogic Suite, basate rispettivamente su Bea Aqualogic Service Bus e Bea WebLogic Server). L’Enterprise Repository 10g R3, il componente principale della Oracle Soa Governance sarà certificato con la Oracle Soa Suite e la Bpm Suite mentre vengono estese funzionalità di management ad applicazioni Soa Oracle e di terzi. Altro annuncio, a nostro avviso molto interessante, riguarda la possibilità di utilizzare già oggi Oracle Data base 11g, Fusion Middleware ed Enterprise Manager in ambiente “cloud computing”. I prodotti potranno essere cioè fruiti in modalità provisioning all’interno dell’ambiente Amazon Web Service Elastic Compute Cloud – EC2 – basati su Amazon Machines Images, macchine virtuali che contengono, nel caso di Oracle, il data base, il middleware e l’enterprise Linux, “per poter essere usati dagli utenti – affermano entrambe le società – nel giro di pochi minuti”. Infine, altro annuncio, la disponibilità immediata di WebCenter Suite, per una gestione e distribuzione ottimale di portali extranet, intranet e di applicazioni content-based. WebCenter agevola una gestione e distribuzione di servizi in ambiente Web 2.0 come blog, wiki, forum, Rss attraverso i portali e le comunità. L’annuncio riguarda la disponibilità di WebLogic Portal 10g Rel.3 e la sua integrazione immediata nella WebCenter Suite. Insomma: potremmo davvero continuare per molte altre pagine ma vi rimandiamo al sito Oracle (www.oracle.com/openworld/2008). Torniamo invece, in chiusura, a Giacoletto. Al top manager Oracle abbiamo chiesto, anche un po’ provocatoriamente, un parere su un punto che ci sembra importante; e cioè se la forte focalizzazione tecnologica di Oracle non nasconda in parte anche un limite nelle capacità dell’azienda di supportare gli utenti nei loro percorsi di business agendo sul terreno dell’analisi organizzativa e di processo. Per un player che si vuole porre tra i 4-5 grandi vendor di riferimento questa è sicuramente un’area strategica… “Per un Isv come Oracle – ha risposto Giacoletto – i margini sul software sono alti, più alti di chi ha nella propria offerta tanto hardware. Per noi la consulenza non può essere così tanto attraente come, ad esempio, per Ibm e Hp. Abbiamo peraltro tantissimi consulenti sui diversi progetti e preferiamo operare ed investire sui partner. Anzi, dobbiamo stare attenti a gestire bene questo equilibrio tra servizi nostri e di terzi, proprio per non spiazzare i nostri partner”. Restiamo dell’idea che forse questo punto potrebbe essere oggi, per Oracle, il vero “nervo scoperto”: un linguaggio e una cultura molto tecnologici, di primissimo livello in un mondo, quello degli utenti finali, alle prese con processi, percorsi e culture sempre più business oriented e per i quali i Cio cercano interlocutori con linguaggi differenziati allo scopo di realizzare progetti di innovazione e di “business value”. Su questo punto, a nostro avviso, Ellison prima o poi uscirà, a modo suo, allo scoperto.
EXADATA, IL DATAWAREHOUSING FA UN SALTO AVANTI
Facendo chiaramente trasparire l’entusiasmo per la tecnologia che ha da sempre connotato l’impronta della sua azienda, Larry Ellison ha stupito tutti, l’ultimo giorno dell’Oracle OpenWorld di San Francisco, con il “grande annuncio”: l’ingresso di Oracle nel mondo dell’hardware con l’HP-Oracle data base machine, un sistema completo (Exadata) che comprende software, server e storage (l’Oracle Exadata Storage, una combinazione di software storage Oracle e hardware standard HP) finalizzato, nelle intenzioni di Ellison, a spostare in avanti la barriera prestazionale dei tradizionali datawarehouse, ideato per gestire sistemi di multi terabyte, 10 volte più velocemente di quanto non avvenga con l’attuale offerta, secondo almeno quando dichiarato da Oracle. “Uno dei principali problemi presenti oggi nei grandi datawarehouse è l’ampiezza di banda. La crescita di dati aumenta infatti a ritmi vertiginosi ma non si riescono muovere i dati adeguatamente. A1 Terabyte i datawarehouse cominciano a rallentare – ha detto Ellison – e volevamo risolvere il problema”. Elemento primario della data base machine (un grid di otto Oracle Data Base Server) è l’Oracle Exadata Storage Server (un grid di 14 storage server Exadata che comprende fino a 168 terabyte di raw memory e 14 GB/sec di ampiezza di banda ai data base server – 1 GB/sec per storage server acquistabili separatamente), che consente una capacità di “query data intensive” dagli Oracle data base 11g server e attraverso un’architettura Mpp (Massively Parallel Processing) aumenta decisamente l’ampiezza di banda tra i data base server e lo storage. L’Exadata Storage Server, che si basa sui server Hp ProLiant DL 180 G5 e consente una capacità di memorizzazione dati fino a 12 Terabye, con software Oracle Exadata preinstallato, elimina il collo di bottiglia prestazionale normalmente presente tra i data base server e lo storage, facendo transitare meno dati attraverso pipes più ampie. La data base machine è un sistema integrato completo in un singolo rack. Il sistema sarà venduto e installato da Oracle, che è anche il soggetto di riferimento per quanto riguarda il supporto, erogato da HP ma sotto il coordinamento della società di Ellison.
BEHIVE: COLLABORARE NELL’ALVEARE
In un affollato panorama delle soluzioni di collaboration (su tutte le piattaforme Microsoft e Ibm con Office SharePoint, Exchange e Lotus Notes) fa la sua comparsa Beehive (in inglese, alveare), la piattaforma Oracle per l’Enterprise Collaboration che offre una combinazione di servizi di collaborazione e coordinamento in un’unica piattaforma. Beehive racchiude in sé quelle caratteristiche indispensabili ad un prodotto che se da un lato deve garantire la collaboration tra persone e team di lavoro, dall’altro deve riuscire a dare garanzie di sicurezza, adeguamento alle compliance e integrazione con i processi e le applicazioni aziendali.
Beehive deve essere inteso non tanto come una proposta migliorativa della Oracle Collaboration Suite, con la quale l’azienda non è riuscita più di tanto a imporsi su un mercato con concorrenti agguerritissimi, ma come una vera e propria nuova piattaforma con caratteristiche interessanti soprattutto, a nostro avviso, per quanto riguarda l’area di integrazione con i processi aziendali. Ma andiamo con ordine.
I servizi di collaborazione di Beehive sono tra loro integrati; questo significa, ad esempio, che un servizio di presence può rilevare automaticamente l’attività “free/busy” di un utente direttamente dal servizio di Time management; tutti i servizi, inoltre, fanno riferimento ad un singolo set di policy di audit, event management e di sicurezza. Il prodotto si presenta come un singolo server: i diversi servizi risiedono infatti tutti sulla singola piattaforma che è quindi un unico punto di gestione di servizi, utenti e gruppi di lavoro coordinati dalla Beehive Administration Console. Il prodotto può essere usato a partire da uno o due servizi e via via rendere disponibili nuove funzionalità ed è pensato per la gestione di singoli utenti così come per team di lavoro (con numerosi tool di collaborazione che provvedono alla pianificazione dei task, alla gestione dei documenti condivisi e ai meccanismi di comunicazione, sia in real time sia in asincrono, in modo tale che ogni contenuto ed interazione sia memorizzata e riattivabile in tempi differenti).
Importanti le caratteristiche di sicurezza. A questo proposito Beehive supporta servizi standard di autenticazione, controllo accessi role based, nonché funzioni di privacy, protezione dell’integrità dei dati e auditing.
In sintesi, quindi, l’alveare Beehive propone una serie di funzioni di collaboration che comprendono: group scheduling e calendaring, gestione dei task dei diversi team, comunicazione garantita via e-mail, voice mail e instant messaging ma anche voice e web conferencing tra i diversi utenti, workflow e funzioni di notifica, team e organizational directory, per poter “esporre” la propria presenza e facilitare il contatto tra i membri dei diversi team. Ma, come si diceva, l’aspetto a nostro avviso molto importante della nuova piattaforma Oracle, che potrà consentire alle persone dell’It di consolidare alcuni processi attorno a Beehive, riguarda proprio l’integrazione con gli altri processi aziendali, resa possibile da Oracle Bpel (Business Process Execution Language), il process manager che consente l’orchestrazione dei Web Services e dei processi di business contribuendo non poco alla riduzione del tempo e dei costi dei progetti di integrazione. Uno degli aspetti principali di Beehive è quindi quello di poter consentire la collaborazione all’interno dei processi tramite una modellizzazione dei flussi di business realizzata attraverso template usando Bpel. E’ infatti proprio l’Oracle Bpel Process Manager il workflow engine pacchettizzato all’interno di Beehive ed è sempre grazie a Bpel che Beehive può svolgere quella funzione di integratore di tutti i processi collaborativi presenti all’interno dell’azienda.