Il Platform-as-a-service (Paas) è il tipo di cloud computing meno conosciuto ma è anche quello che, secondo Ibm, promette di aiutare di più le aziende a ottenere i maggiori benefici di questo paradigma It. Come l’Infrastructure-as-a-service (Iaas), il Paas libera gli utenti dalle incombenze legate all’acquisizione, integrazione e gestione delle infrastrutture (sistemi operativi, server, storage, sistemi di networking e di sicurezza). In più il Platform-as-a-service risparmia agli sviluppatori anche tutti gli sforzi e i mal di testa legati all’implementazione e integrazione del middleware e alla gestione del runtime delle applicazioni, permettendo agli utenti di focalizzarsi sul disegno, lo sviluppo e la gestione del ciclo di vita delle applicazioni. Lasciare agli utilizzatori del paradigma cloud la gestione di applicazioni e dati è ciò che distingue maggiormente il Paas dal terzo tipo di cloud: il Software-as-a-service (Saas). In quest’ultimo l’utente It chiede tutto al provider esterno: dalla piattaforma operativa alle applicazioni. A ben vedere, il modello Paas è sempre più spesso utilizzato dai fornitori di Saas per sviluppare ed erogare le loro applicazioni ai clienti.
Il confronto tra i modelli It on-premise (quello tradizionale), Iaas, Paas e Saas, introduce lo studio “Exploring the frontiers of cloud computing: insights from Platform-as-a-service pioneers” realizzato dal Center for Applied Insight di Ibm. Una ricerca interessante sia per le aziende che dispongono di team interni di sviluppo applicativo sia per i fornitori esterni. Dall’indagine emerge come il Paas consenta di snellire e di ridurre i costi dello sviluppo applicativo in un contesto caratterizzato sia da un aumento della complessità e del ritmo dell’innovazione, sia da un’esplosione continua di dati. E a quest’ultimo proposito, sembra che proprio il fenomeno dei big data sia uno dei driver principali del crescente interesse delle organizzazioni It verso il Paas.
I principali risultati della ricerca
Lo studio pubblicato verso la fine del 2012, si basa su 1.500 interviste effettuate a persone coinvolte nelle decisioni It all’interno di aziende sparse in 18 paesi del mondo. Sulla base di una prima analisi delle risposte circa l’uso attuale e futuro del Paas, i ricercatori hanno potuto classificare gli intervistati in quattro categorie: Experimenters (33% del totale), Pioneers (16%), Preparers (12%) e Observers (39%). Se si sommano gli sperimentatori e i pionieri (le aziende che hanno già iniziato a utilizzare il Paas in modo costante), risulta che la metà del campione ha già adottato il Platform-as-a-service nella propria attività. I Pionieri, in particolare, sono quelli che hanno già potuto saggiare la maggior parte dei benefici promessi dal Paas e la cui esperienza, quindi, può servire da punto di riferimento per chi fosse interessato a capire le potenzialità di questa tecnologia. Secondo gli analisti del Center for Applied Insight di Ibm, inoltre, i benefici segnalati maggiormente dai Pioneers, sono quelli riconducibili a una caratteristica peculiare del modello Paas: quello di consentire e incoraggiare la realizzazione di “pattern”, schemi o modelli di sviluppo che permettono di velocizzare la creazione di applicazioni innovative già ottimizzate rispetto agli stack tecnologici sottostanti.
Dalla ricerca emerge una notevole differenza tra la percezione dei Pioneers e quella degli appartenenti alle altre tre categorie circa i principali benefici del Paas. In particolare i valori si discostano maggiormente nel valutare: il supporto all’integrazione delle applicazioni e alla migliore gestione dei dati (importante per il 52% dei Pioneers mentre lo è per solo il 27% degli altri rispondenti); la capacità di integrazione fra il presente e il futuro applicativo (47% per i Pioneers e il 26% degli altri); la capacità di standardizzazione (41% per i primi e 24% per gli altri); l’abilità di capitalizzare sulle esperienze umane (45% per Pioneers e il 29% degli altri); il supporto alla portabilità delle applicazioni (43% dei Pioneers e 27% degli altri).
Diminuisce il delta nei giudizi dei Pioneers rispetto alle altre tre categorie sui vantaggi del Paas con riferimento a problematiche come disponibilità, resilienza, efficienza e automazione. A ben vedere temi che il Platform-as-a-service condivide maggiormente con altri tipi di cloud.
I pattern amici dell’innovazione
Standardizzazione, riusabilità, portabilità di carichi di lavoro e applicazioni, capitalizzazione delle expertise e preintegrazione ottimizzata degli stack di middleware sono aspetti favoriti dall’utilizzo del Paas e che trovano la loro più alta espressione nei “pattern” creati dagli sviluppatori o dai loro partner. I “pattern” permettono a chi sviluppa applicazioni di non dover ogni volta ripartire da zero, ma di concentrarsi sulle nuove esigenze del business. Il Center for Applied Insight di Ibm, in conclusione dello studio, inserisce fra i consigli alle aziende quello di cercare esperienze e best practice (sia nella propria organizzazione sia presso partner esterni), da trasformare in “pattern” da sfruttare attraverso l’intera piattaforma cloud. E per chi deve ancora iniziare a utilizzare il Paas? Anche se può sembrare banale, ammettono gli esperti di Ibm, un primo passo per cominciare ad apprezzare i vantaggi di questo tipo di cloud, e creare competenze, è intraprendere un progetto pilota. Può trattarsi di un’applicazione già esistente o di una nuova, purché adatta allo sviluppo e alla messa in produzione in ambiente cloud. Contemporaneamente si può analizzare l’ambiente applicativo aziendale e iniziare a progettare una roadmap strategica di migrazione verso il Platform-as-a-service con un’ottica che tenga conto sia delle prospettive di scalabilità sia delle innovazioni di business future. Per chi volesse intraprendere questa strada, Ibm ha lanciato Smart Cloud Application Services, una piattaforma Paas che offre l’accesso istantaneo e self service a un insieme di strumenti, middleware e database per lo sviluppo applicativo con una tecnologia “pattern-based”.