Il cloud sembrava essere indenne a tutte le criticità economiche, geopolitiche e operative di cui altre tecnologie hanno invece risentito in termini di investimenti. Nell’arco di circa un decennio la spesa per i data center, per esempio, è aumentata in media solo del 2% all’anno, mentre quella per il cloud del 42%, raggiungendo i 120,3 miliardi di dollari nel 2022.
Tutto sembra procedere a gonfie vele ma, a guardar bene i dati, si avvertono segnali di rallentamento da parte di alcune organizzazioni. Cresce il numero di quelle che hanno iniziato a mettere in discussione il cloud, iniziando a riportare i carichi di lavoro al proprio interno.
Cloud cost management e la tentazione del rimpatrio
Gli indizi di un nuovo trend come quello del “rimpatrio” compaiono se ci si focalizza in particolare sugli ultimi anni. Synergy Research lo ha fatto, notando un rallentamento del tasso di crescita della spesa per il cloud, passato dal 20% nel quarto trimestre del 2022 al 19% nel primo trimestre di quest’anno e poi al 18% nel secondo trimestre 2023.
Le preoccupazioni sulla sicurezza e sulla perdita di controllo dell’infrastruttura, che agli albori di questa tecnologia avevano creato perplessità, non c’entrano con questi recenti numeri. L’attrattiva del cloud si sarebbe infatti attenuata per motivi meramente più legati al budget.
Molte aziende si sono accorte che affidare applicazioni e servizi alle nuvole può risultare altrettanto costoso del possedere e gestire una propria infrastruttura, e talvolta anche di più. Quando quasi tutti, anche causa Covid, si sono gettati nelle braccia del cloud, il comune sentire era che si trattasse di una soluzione tecnologica facilmente fruibile e adatta a tutti. Questo è vero solo in parte: l’uso efficace del cloud richiede una non scontata capacità di gestirlo che non tutte le organizzazioni possiedono o hanno maturato. Ecco perché si ritorna all’on-premises.
L’AI generativa mescola le carte
Esistono ormai numerosi esempi di malagestione del cloud, come il server sprawl. In questo caso gli utenti creano un nuovo server virtuale per ogni nuovo progetto, dimenticandosi poi di spegnerlo quando non è più necessario. Una classica spesa inutile, una di quelle che il 94% dei decision maker è consapevole di dover limitare. Molte altre derivano dall’over-provisioning delle risorse e dalle risorse inattive o sottoutilizzate, oppure dalla carenza di competenze adeguate al cloud cost management.
Nel recente report realizzato da CAST AI vi si trova la conferma: le aziende forniscono in media un terzo di risorse cloud in più rispetto a quelle che poi utilizzano. Secondo gli analisti, la causa principale sarebbe la mancanza di visibilità sull’utilizzo del cloud. Un’ipotesi che lascia spazio ad alcune azioni correttive come la liberazione di risorse inutilizzate o lo spostamento dei carichi di lavoro su istanze spot, ovvero macchine virtuali che sfruttano la capacità in eccesso inutilizzata, con risparmi stimati fino al 60%.
Non mancano liste di best practices utili, almeno da tentare, per le aziende che faticano a trovare nel cloud i vantaggi che si aspettavano al momento della sua adozione. Azioni potenzialmente migliorative ma non risolutive, men che meno ora che a complicare la situazione è giunta l’intelligenza artificiale generativa. Questa tecnologia ha preso spazio nel budget delle aziende e nelle agende degli operatori di data center. E ha anche reso ancora più complessa l’osservabilità e la gestione dei costi del cloud, tanto da rendere sempre più allettante e rassicurante l’idea di rimpatriare. Per quanto riguarda i Large Language Model, la tentazione è quella di riportare indietro i dati dedicati al loro training ed eseguirli in ambienti “walled-garden”.