Praterie cloud

Pubblicato il 24 Ott 2016

“Le aziende prestano troppa attenzione a quanto costa fare certe cose. Dovrebbero preoccuparsi di più di quanto costa non farle”

Philip Kotler distinguished professor, acclamato come “il maggior esperto al mondo nelle strategie di marketing” dal Management Centre Europe

Potremmo immaginare un grande recinto con un’immensa quantità di cavalli pronta a scattare non appena le prime barriere cadranno. Ecco una possibile metafora che vogliamo usare per pensare al cloud oggi. È vero che il 95% del mercato delle aziende è ancora costretto (e pericolosamente si illude) nei propri costosi e complicati recinti dell’on premise e che solo un 5% sta già correndo nella prateria. Ma dentro il recinto si comincia a scalpitare. Si vedono quelli che corrono, là fuori, verso nuovi orizzonti (market disruption&innovation) e la voglia di liberare nuove energie è tanta, come è ancora tanta la consapevolezza delle proprie strutture tecnologiche e organizzative legacy e la paura del cambiamento. Le tecnologie oggi ci affascinano e ci spaventano insieme. Abbiamo ormai “qui e oggi”, solo citando i primi che vengono in mente, sistemi cognitivi e Intelligenza artificiale, mobile ovunque, 3d printing che sta scompigliando le filiere, l’IoT, grazie al quale praticamente ogni oggetto che esce dalla fabbrica racchiude intelligenza e trasmette dati, Big data da analizzare con l’aiuto del machine learning per scoprire nuovo valore dai dati da applicare in ogni cosa, non solo nel business; e ancora realtà virtuale, social collaboration, robotica, droni, un’economia degli algoritmi sempre più evidente e reale, e tantissimo altro. Insomma una batteria di tecnologie digitali pronta per essere applicata all’innovazione che ogni azienda oggi ha disperato bisogno di realizzare, per non perdere quote di mercato a fronte di concorrenti più rapidi e meglio riconoscibili dal mercato, per prepararsi a quella competizione “disruptive” che potrebbe distruggerla se non si facesse trovare pronta. E allora…liberiamo i cavalli.

Figura 1 – Come si utilizzano i servizi IaaS
Fonte: Osservatorio Cloud&ICT-as-a-Service della School of Management del Politecnico di Milano

Che si andrà verso ambienti ibridi, on premise-cloud, è quasi scontato. Ma che questo disegno debba essere guidato dalla priorità di innovare velocemente e con la possibilità di farlo a costi molto più contenuti di quanto avremmo mai immaginato, lo è di meno. Eppure la rivoluzione cloud, oggi, sta ridefinendo ogni cosa: velocità di innovazione; ripensamento di competenze It consolidate in decenni; possibilità di portare al centro delle strategie di impresa quell’esperienza utente che forse, diciamocela tutta, gli stessi sistemi informativi non avevano mai considerato come parte importante del loro incedere tecnologico e del loro bagaglio professionale. Eppure oggi tutto questo sta diventando possibile. Gli ultimi dati dell’Osservatorio Cloud e Ict as a service della School of Management del Politecnico di Milano, danno, anche in Italia, accelerazioni su tutti i livelli del cloud (Iaas, Paas, Saas). Nel 2016 il cloud in Italia si attesta a 1,77 miliardi di euro, con un incremento del 18% sul precedente anno. Cresce in particolare il Public Cloud, con una dinamica del 27% e soprattutto quella che il Politecnico definisce la “Cloud Enabling Infrastructure”, cioè gli investimenti indirizzati a creare le condizioni infrastrutturali necessarie per l’utilizzo del cloud in azienda, con un incremento del 14%. I cavalli cominciano a correre nella prateria… Quello che sta accadendo, e che con tutta probabilità ci travolgerà nel prossimo decennio, è un’accelerazione e una profonda trasformazione nei modelli di fruizione digitale che connoteranno la nostra società e il business delle imprese; una rivoluzione sociale che dovrà essere interpretata e guidata da quelle aziende che vorranno essere tra i leader.

Figura 2 – Come si utilizzano i servizi PaaS
Fonte: Osservatorio Cloud&ICT-as-a-Service della School of Management del Politecnico di Milano

E’ impensabile seguire questa dinamica con il legacy tecnologico (e culturale) che abbiamo, senza riprogettare, non solo riammodernare, le infrastrutture It che ci hanno portato fin qui. Anche se sarà doloroso, anche se mancano le competenze. Il ricorso in cloud a immense risorse di calcolo, di rete, di storage (Iaas); di middleware e di rapido sviluppo (Paas); di applicazioni con nuove funzionalità di intelligence sempre più basate su tecniche di apprendimento cognitivo usate laddove servono e per quanto tempo servono (Saas), rappresenta un fattore di moltiplicatore e di supporto imprescindibile all’innovazione in chiave digitale. E, in questi anni di trasformazione, sempre più di differenziale competitivo tra imprese. Ma come impostare, strategicamente, una trasformazione infrastrutturale che diventa un obbligo inevitabile per l’IT, come diventa un obbligo, sempre per l’IT, porsi organizzativamente nella posizione di comprendere, supportare e talvolta guidare la ricerca di innovazione, il presidio di nuovi territori? Serve “aprire il recinto”, che a questo punto non è più soltanto verso una scelta cloud ma è soprattutto un cambio di prospettiva e di change management.

Come fare, allora? Ognuno ha una propria strada, ma se il business richiede oggi e in futuro sempre maggiore agilità e velocità di cambiamento, ha senso pensare all’IT, in ogni sua componente hardware e software, come a “building blocks” da assemblare, ricomporre, riconfigurare in maniera rapida e semplice in rapporto alle diverse variabili organizzative e di business. Integrazione, Api, software defined everything, open source…insomma, tutto ciò che consente la riconfigurazione dinamica, automatica, flessibile delle componenti IT diventa l’unica strada percorribile. Ognuno deve ripensare la propria capacità di ingegnerizzare le infrastrutture secondo il “supremo obiettivo finale”: la qualità del servizio erogato all’utente finale, la sua “best experience”, il valore che deve trovare il cliente nel nostro prodotto e servizio. Per raggiungere questo obiettivo, e soltanto questo, va ridisegnato l’intero processo a monte: sia nella filiera dell’organizzazione aziendale, nelle competenze presenti e naturalmente nel disegno tecnologico sottostante.

Figura 3 – Come si utilizzano i servizi SaaS
Fonte: Osservatorio Cloud&ICT-as-a-Service della School of Management del Politecnico di Milano

L’ecosistema di tecnologie oggi disponibili dovrà essere integrato in azienda, segmentato per essere ricomponibile in funzione dell’obiettivo di service quality finale. E in questo ridisegno dei diversi livelli tecnologici (applicativo, di integrazione/sviluppo e infrastrutturale) sarà compito del dipartimento IT scegliere quali elementi progettare, sviluppare internamente e quali invece avrà molto più senso acquistare come servizio da fonti esterne. Anche il mondo dell’offerta, ricordiamocelo, sta profondamente cambiando e gli attori cloud vanno a comporre filiere sempre più lunghe e complicate da gestire. Anche da questo nuovo fronte di cloud provider management passerà una nuova capacità di costruzione di servizi di qualità per l’utente finale. Anzi, di più: il concorrere a questo obiettivo di business da parte dei partner dell’azienda, potrà rappresentare la discriminante di valore nella scelta dei “compagni di viaggio”, con quali vendor avviare una trasformazione del dipartimento IT che segua a sua volta la trasformazione digitale in corso. Orchestrare i servizi, gestire la supply chain del servizio coerentemente con tutti i player, individuare quelle realtà che potranno supportare l’azienda in questa visione end to end customer centric, sarà una delle grandi sfide che attendono i Cio e i sistemi informativi nei prossimi anni. Ma la strada è tracciata, è inevitabile ed è costellata di innovazioni continue in tempi molto più rapidi che in passato. Tutto parte però dalla consapevolezza e volontà di saper abbracciare il cambiamento oppure di non vedere che il cambiamento potrebbe soffocarvi in un abbraccio mortale. Mentre i cavalli corrono nella prateria…

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