Cloud computing in Italia, la situazione attuale e quali prospettive future

Ora che l’offerta comincia a ben delinearsi e i progetti della prima generazione sono partiti è il momento di fare un primo bilancio, a livello globale e in relazione al mercato cloud italiano. Il responso? Un’impresa su quattro è già utente di servizi cloud, il mercato Public Cloud cresce del 31% e si diffonde la convinzione di dover ripensare profondamente l’infrastruttura e la funzione It, in generale.

Pubblicato il 15 Mag 2012

Negli ultimi anni, il cloud computing ha suscitato un crescendo di interesse: nato come complicato concetto per tecnici It, oggi è pubblicizzato persino su radio e Tv.

Ora che l’offerta di servizi comincia a delinearsi e i progetti della prima generazione sono partiti, può essere il momento giusto per una ‘fotografia’, senza naturalmente pretese di completezza, sullo stato del cloud – soprattutto del mercato cloud in Italia – anche sulla base di quanto emerso da alcuni convegni delle ultime settimane.

Un punto di partenza è capire cosa sta avvenendo concretamente a livello globale: “Dopo il mainframe e il client/server, siamo alla ‘terza piattaforma’ della storia dell’It: la convergenza di cloud, social media, mobile e big data”, ha detto Matt Eastwood (nella foto), group vice president Enterprise Platforms & Datacenter Trends di Idc, al recente Idc Cloud Symposium di Milano. Una convergenza che pone complesse sfide a cui l’It deve rispondere riuscendo comunque a ridurre i costi, adeguarsi più velocemente al business e gestire al meglio l’area governance-risk-compliance. “Il cloud computing può aiutare in questa sfida, trasformando il data center e dando accesso a risorse e servizi che l’impresa da sola non può sviluppare e gestire”, ha proseguito Eastwood.

Dalle ricerche Idc emerge che nei prossimi 24 mesi la quota di budget It dedicata al cloud salirà dal 35% attuale al 47%, con una predominanza di investimenti nel private cloud, che le imprese medie e grandi considerano la base di partenza per l’approccio al mondo as-a-service. “Molte imprese stanno concludendo i loro progetti di consolidamento hardware: il focus è ora sul parco applicativo, ed è ormai assodato che ben poche virtualizzeranno più dell’80% delle loro applicazioni”.

Una parte dell’It aziendale, seppur relativamente bassa dal punto di vista quantitativo (ma importante in termini qualitativi trattandosi spesso delle applicazioni core, legacy o più legate al settore di business), quindi non finirà mai nel cloud: la necessità di far convivere ‘cloud’ e ‘non cloud’, come vedremo, sarà presto tra i compiti cruciali della funzione It.

Il percorso di maturazione del cloud, ecco a che punto siamo

Secondo Idc il percorso di ‘maturazione cloud’ comprende tre fasi: Converged Systems (avviene a livello IaaS, Infrastructure-as-a-service, consolidando l’hardware e integrandolo con software di gestione e virtualizzazione), Integrated Systems (avviene a livello PaaS, Platform-as-a-Service, integrando nei converged systems middleware, database e architectural design) e Cloud Systems, con orchestrazione di ‘integrated systems’ e servizi cloud pubblici.

A che punto siamo in questo percorso? I ‘pionieri’ più avanzati stanno completando la prima fase, “che già è un risultato di tutto rispetto, perché significa disporre di un pool di risorse di rete, elaborazione e storage, ed essere in grado di assegnarli automaticamente secondo le esigenze del business”.

Nella corsa ai servizi IaaS esterni, precisa Eastwood, il discriminante al momento è solo la disponibilità di fornitori con infrastrutture allo stato dell’arte. E qui purtroppo l’Italia, tra i Paesi maturi, fa storia a sé, come ha spiegato Stefano Pileri, amministratore delegato Italtel, al recente Cloud Computing Forum di The Innovation Group: “Le autorità italiane sono le prime in Europa ad aver normato l’interconnessione IP, e dall’asta delle frequenze per la banda larga mobile [tenutasi lo scorso settembre ndr] sono stati incassati 4 miliardi di euro, ma il problema enorme è che sulle infrastrutture cablate broadband l’Italia non sta facendo passi avanti: occorre una ‘cabina di regia’ per favorire lo sviluppo sia di servizi online pubblici e privati sia della rete di nuova generazione Ngn”.

Eppure, tornando a Eastwood, “l’Italia con il suo tessuto di medie imprese con forti vincoli di budget It e senza le risorse e competenze necessarie per gestire internamente tutte le soluzioni di cui le aziende hanno bisogno, è uno scenario ideale per il cloud”. Parole confermate da Carlo Alberto Carnevale Maffè (nella foto), docente di Strategia d’Impresa ed Economia Aziendale di Sda Bocconi, al Cloud Computing Forum: “Il cloud è un nuovo modello economico, non solo tecnologico, e può essere lo strumento giusto per ‘deframmentare’ il tessuto economico italiano, perché è un ‘hub’ di processi economici immediatamente fruibili e interoperabili: il cloud è una Internet di seconda generazione, seria e fatta dalle imprese per le imprese”.

Un mercato cloud che in Italia vale 380 milioni (per ora)

Ma a fronte di questi auspici, cosa sta succedendo in concreto nel nostro Paese? “Nel 2012 in Italia il mercato It calerà ancora, ma il comparto dei servizi Public Cloud crescerà del 31%, arrivando a circa 380 milioni in valore assoluto – ha detto Fabio Rizzotto (nella foto), research director It di Idc Italia, al Cloud Symposium -. E continuerà a salire decisamente anche dopo: in soli due anni raddoppierà la sua incidenza sul mercato It italiano dal 7% del 2012 al 14% del 2014”. Più in dettaglio, Idc ha approfondito la domanda di servizi IaaS, PaaS e AaaS (Application-as-a-Service) in Italia con una recente indagine su 1.118 imprese con oltre 50 addetti, appurando prima di tutto che un’azienda su quattro (25,3%) utilizza almeno un servizio cloud pubblico o privato. Delle altre, il 60,3% si dichiara “non utente” di cloud e il 14,4% non conosce il concetto.

Delle imprese già attive sul cloud (vedi figura 1), il 17,2% usa almeno un servizio AaaS, il 16% almeno un servizio IaaS, e il 9% almeno un servizio PaaS: solo l’1,6% usa almeno un servizio di tutte e tre le categorie. In ambito AaaS le soluzioni più adottate sono Crm (6%), collaboration (5,9%) e gestionali (5,9%). Quanto allo IaaS, prevale il cloud privato (53%) rispetto al pubblico (47%), trainato dalle realtà medio-grandi che vedono nel cloud l’evoluzione naturale dell’infrastruttura It dopo virtualizzazioni e consolidamenti, e si usano servizi cloud soprattutto per il software di sistema (14%), lo storage e la sicurezza di rete, entrambi al 13,2%. In ambito PaaS le soluzioni più richieste sono database, middleware e analytics, e c’è una leggerissima prevalenza (51%) delle soluzioni cloud pubbliche, preferite soprattutto dalle imprese tra 50 e 99 addetti come modalità poco costosa per razionalizzare processi e migliorare la qualità dei servizi It. Dal punto di vista dimensionale (vedi figura 2), la fascia 250-499 addetti, dove più della metà delle imprese (52,8%) è già utente cloud, batte addirittura le grandi aziende (34%), mentre analizzando i settori, il più propenso al cloud è il Finance (un’impresa su due) e il meno avanzato è l’Industria (15,2%).

L’It deve essere reinventata

Nel complesso, da tutti questi dati sembra che il mondo aziendale italiano, pur con approcci prudenti e graduali, creda decisamente nel cloud computing, anche se questo richiede profondi cambiamenti sia ai fornitori di tecnologie sia agli utenti aziendali di It, come ha riassunto Valerio Romano (nella foto), Cloud Lead di Accenture Italia, all’evento di The Innovation Group: “Sul lato offerta, le telco sarebbero le realtà perfette per proporsi come fornitori di servizi cloud, ma sono stati più veloci gli ‘over-the-top’, come Amazon e Google, che si sono impadroniti del cloud consumer; per il mercato enterprise cloud, però, la proposizione di valore è molto più complessa e ciò spiega la lentezza nella maturazione dell’offerta”.

Sul lato domanda, continua Romano, l’organizzazione It aziendale va reinventata. “Gli utenti finali ora sono più esperti di tecnologie e non vogliono aspettare: le business line tendono a comprare servizi cloud con la carta di credito, salvo poi andare dall’It dicendo ‘e ora cosa faccio?’. L’It quindi deve muoversi in anticipo, riorganizzarsi avvicinandosi al business, rinunciare in parte al controllo in cambio di agilità e allestire un catalogo di servizi esterni e interni, gestendo le integrazioni di processi e dati in modo trasparente all’utente”.

Il cloud computing secondo i suoi sostenitori non è l’ennesima innovazione incrementale nell’It, assimilabile senza danni per le organizzazioni It esistenti. La sua logica di automazione nell’allocazione delle risorse crea una discontinuità che costringe a rivedere radicalmente processi, skill e lo stesso ruolo dell’It aziendale. Ma dai dati di mercato e dalle esperienze già vissute, sembra che questa convinzione si stia ormai facendo strada anche in Italia.

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