Rispettando previsioni che analisti e osservatori di mercato hanno da tempo avanzato, pare proprio che il modello IT destinato a prevalere sia quello ibrido, che ricorre alla modalità privata, in-house o in outsourcing (Robust IT), per certi aspetti (come la conservazione dei dati e alcune applicazioni giudicate vitali per il business) e a quella cloud (Fast IT) pubblica per altri. Questa tendenza è confermata da un’indagine che Fujitsu ha di recente svolto a livello mondiale presso oltre un migliaio (1.050 per l’esattezza) di figure aziendali riconosciute come “decisori in ambito IT”. Di queste mille persone, il 40% ha già implementato un ambiente IT ibrido, mentre il 51% valuta di farlo, con investimenti che assorbono almeno un terzo (e a volte la metà) dei budget IT. Leggendo il rapporto di sintesi della ricerca ci ha colpito positivamente il fatto che oltre alla “scontata” riduzione dei costi (che nel 57% dei casi resta il driver principale verso il l’Hybrid-IT) sia riconosciuta l’importanza della flessibilità operativa data dal modello ibrido, alla quale il 37% dei rispondenti attribuisce la riduzione del time-to-market. Per contro, se non ci ha sorpreso che la sicurezza sia al primo posto (49%) tra i dubbi espressi, ci ha meravigliato il fatto che sebbene il 72% degli intervistati affermi che il deploying del loro Hybrid-IT “stia andando bene”, il 37% ammetta di non sapere quale sia il modello migliore da seguire.
Abbiamo quindi chiesto a Federico Riboldi, Business Program Manager di Fujitsu Italia, un parere su questa apparente anomalia.
“Molte realtà, che hanno rapidamente individuato nel cloud la possibilità di fornire in SaaS certi servizi richiesti dal business, si sono trovate di fatto ad avere un IT ibrido: hanno mantenuto ciò che avevano on premise, o in outsourcing per le attività in essere, mentre hanno portato in cloud le attività più innovative; questo processo naturalmente deve essere gestito. Chi ha avuto l’acume, e anche il tempo, di pianificare questa trasformazione l’ha fatto, magari con l’aiuto di una consulenza come quella che forniamo noi di Fujitsu. Altri invece, pur sapendo che l’ibrido è la strada da percorrere, non hanno un piano definito che porti il cloud ad essere e ad evolvere come componente stabile dell’IT”.
Non possiamo quindi che chiedere a Riboldi quali sono le linee-guida che Fujitsu può proporre per supportare le aziende in questa trasformazione. “Abbiamo un approccio di tipo consulenziale – risponde il manager – che per prima cosa punta a definire le aree sulle quali gravitano le richieste provenienti dal business. Che si traducono nelle soluzioni II di cui c’è bisogno come pure, a volte, nella necessità di un rapido abbattimento dei costi. Poi vanno identificati gli aspetti da considerare nel breve e nel lungo periodo. Per i primi guardiamo a ciò che può dare un rapido ritorno d’investimento, sia economico sia come immagine [leggi: risultati concreti e visibili – ndr] all’interno dell’azienda. Ma non perdiamo di vista i target a lungo termine. Basato, oltre che su servizi professionali, su componenti tecnologiche come il Cloud Service K5 e, per la sicurezza, la soluzione MetaArc, il nostro ‘jouney to cloud’ permette d’integrare le varie ‘anime’ dell’It garantendo il risparmio di risorse umane ed economiche, ma anche il guadagno di capacità tali da dare alla funzione IT un ruolo di ‘broker’ per lo sviluppo dell’azienda”.