Cloud Tour 2011 – Bologna – Cloud: l’occhio attento delle Pmi tra opportunità e primi approcci

I dubbi e le incertezze non mancano, ma le Pmi italiane sembrano pronte ad accelerare il passo verso l’adozione del cloud computing. Comprese le opportunità e i potenziali benefici, chiedono aiuto nell’identificazione del proprio percorso per trovare ognuna il proprio equilibrio ottimale tra industrializzazione It, come scelta di maggior efficacia ed efficienza, e personalizzazione di soluzioni e servizi, come elemento di differenziazione competitiva. È quanto emerso dalla tappa bolognese del Cloud Tour 2011 organizzato da ZeroUno in collaborazione con Ibm

Pubblicato il 31 Ott 2011

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“Se non di maturazione, possiamo però parlare di forte accelerazione al cloud”. Esordisce così Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno, chairman della tappa bolognese del “cloud tour 2011”, una serie di eventi organizzati da ZeroUno in collaborazione con Ibm con l’obiettivo di riunire intorno ad un tavolo Cio e rappresentati di aziende italiane alle prese con progetti di cloud computing o in avvicinamento con piani futuri (il tour è partito a maggio nella città di Brescia ed è poi proseguito su Torino, Roma e Bologna; in previsione a novembre la tappa a Padova).

Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno

“Accelerazione dovuta sicuramente alle criticità del contesto economico che impone alle aziende la costante ricerca di efficacia ed efficienza (che non può prescindere dal supporto It) – osserva Uberti Foppa – ma anche da fattori come il controllo dei costi e, non ultimo, la possibilità di dare risposte ad una domanda di mercato variabile: l’It dovrebbe riuscire ad aiutare le aziende a declinare una miglior offerta (prodotti o servizi che siano) proprio in funzione di una domanda in continua evoluzione, attraverso il supporto a nuovi modelli di business, nuovi modelli operativi/funzionali e nuove modalità di go-to-market, perché è su questo che si gioca il differenziale competitivo delle imprese. Ed è in questa direzione che l’adozione del cloud computing potrebbe dare le risposte più efficaci”.

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Il condizionale è comunque d’obbligo, dato che parliamo di un fenomeno di cambiamento molto impattante non solo sul piano tecnologico ma anche su quello culturale e sociale; “un fenomeno il quale, dopo la fortissima crescita di attenzione mondiale che ha registrato, sta attraversando ora una “curva di disillusione” – dice Stefano Mainetti, codirettore scientifico dell’Osservatorio Cloud & Ict as a Service, School of Management del Politecnico di Milano -.

Il Prof. Mainetti durante la sua presentazione

Dopo l’ottimismo inziale, però, non dobbiamo peccare di eccesso di pessimismo ma fare alcune attente riflessioni. La filiera dell’Ict è relativamente giovane, ha poco più di 50 anni. Si sta industrializzando ora. È dunque normale avere ancora dubbi e perplessità su un percorso di cambiamento e trasformazione che non è affatto maturo”.
Attenzione però alla forza commerciale del cloud. “Il cloud si vende bene e il business ne comprende immediatamente i vantaggi economici – osserva Mainetti -. Se l’It decide perciò di “restare a guardare” rischia non solo la disintermediazione da parte delle line of business o del top management, ma di dover, ancora una volta, assumere il ruolo di colui che rincorre le tecnologie, sprecando energie e risorse per integrare i sistemi e gestire la complessità, quando, invece, potrebbe “elevarsi” ad un ruolo più proattivo, di innovatore, proprio grazie al cloud”.

È evidente che non stiamo parlando di un percorso facile, né per le aziende utenti, né per i provider It né per i nuovi service provider che puntano all’erogazione di nuovi servizi sfruttando proprio le potenzialità offerte dal cloud e le sue caratteristiche intrinseche (self-service on demand, accesso ubiquo alla rete, elasticità, condivisione delle risorse, misurabilità del servizio).
“Il solo districarsi all’interno dell’offerta dei vendor rappresenta una complessità – osserva Mainetti -. Se volessimo però identificare una roadmap evolutiva, dovremmo cogliere, all’interno di una matrice, le discriminanti da mettere sul tavolo per capire quale tipo di percorso è più opportuno intraprendere: verso il private cloud, il pubblico o l’ibrido? Sulla base di esigenze dettate più dalla rapidità di risposta alle richieste del mercato e del business o dalla necessità di avere soluzioni molto personalizzate? Con l’obiettivo di contenere gli investimenti in It o di mantenere il controllo diretto sugli asset?”.

Gianluca Guidotti, Ict Corporate manager e eCommerce director di La Perla

Domande che hanno aperto un interessante dibattito durante la tavola rotonda, seguita agli interventi di Otello Costa, server managed manager di Ibm, e Gianluca Guidotti, Ict Corporate manager e eCommerce director di La Perla, tipica azienda del “made in Italy” che ha approcciato il cloud con un primo progetto di desktop virtualization. “Tutto parte dalla conoscenza – ha più volte sottolineato nel corso della serata Costa -. Una strategia di trasformazione (fondamentale alla base di qualsiasi scelta di passaggio al cloud) parte sempre dall’analisi di ciò che si è e di ciò che si vorrebbe essere: perché un’azienda dovrebbe muoversi verso il cloud? Quando? Come? Con chi?”. “E le risposte saranno diverse da impresa a impresa – aggiunge Costa – non c’è una regola valida per tutti, così come non c’è una strada comune. E per capire il proprio percorso è fondamentale conoscere la propria azienda a livello di strategia di business, modelli operativi e funzionali, esigenze ed obiettivi, così come le infrastrutture It di supporto e il loro modo di rispondere a questi requirement”.

Cloud: riduzione di costi ma soprattutto efficienza
“Siamo partiti dalle richieste del nuovo business aziendale per capire come poter rispondere ad una richiesta iniziale di riduzione dei costi dell’It – ha portato ad esempio Guidotti -. Nel 2007 l’azienda familiare La Perla è stata ceduta ad un fondo di investimento americano che, nel processo di trasformazione verso un modello manageriale tipico da multinazionale, ha chiesto all’It di ridurre i propri costi. Partendo da questa esigenza, che doveva però convivere con quella di un più efficiente ed efficace supporto al business (non solo in fase di riassetto organizzativo ma anche di sviluppo verso nuove geografie), abbiamo analizzato i possibili scenari mettendo a confronto il “modello classico dell’It” (upgrade tecnologico delle infrastrutture) con il “modello virtuale” (virtualizzazione server e virtualizzazione desktop per la costruzione di un ambiente di tipo private cloud). Dall’analisi dei risultati ottenibili, il primo modello risultava meno costoso in fase iniziale ma mostrava un’esponenziale forte crescita dei costi di gestione successiva (a causa dell’aumento della complessità It); il secondo, al contrario, richiedeva uno sforzo di investimento iniziale maggiore (a causa dell’adattamento dei sistemi e del passaggio ad ambienti virtuali), tuttavia mostrava un evidente e progressivo calo dei costi dell’It nel suo complesso, a partire dal terzo anno”. In realtà i vantaggi Guidotti li ha visti ben prima del terzo anno. Ai colleghi intervenuti alla tavola rotonda, infatti, ha raccontato di risparmi significativi sui costi dell’energia oltre ad una serie di benefici a livelli di efficienza che si traducono poi in contenimento di costi: “è cresciuta la nostra capacità di controllo degli ambienti It (che richiede quindi meno personale dedicato); siamo molto più veloci ed efficaci nel rendere disponibili le postazioni di lavoro e nei processi di migrazione (parliamo di minuti/ore e non più di settimane/mesi); oggi solo 1,5 Fte (full time employee) è dedicato all’help desk di primo livello (-50% rispetto al 2007)”, porta ad esempio Guidotti.

Troppo presto per le core applications
Anche quello dell’Aeroporto Marconi di Bologna è stato un approccio orientato al private cloud, almeno nella fase iniziale, così come ha raccontato Roberto Raciti, responsabile Ict. “Tuttavia, sulla base delle esperienze maturate con il private cloud, abbiamo deciso di aprirci anche a servizi di tipo pubblico, partendo con soluzioni non core ma ormai considerate commodity, come la posta elettronica”, descrive Raciti. “In questo momento stiamo facendo delle valutazioni per capire se il cloud può portare benefici anche su aree più mission critical”.

La sala dell'evento

Considerazioni condivise anche da Francesco Campioni, Cto di Coop Adriatica: “A mio avviso è da escludere, almeno per i prossimi 3-5 anni, il passaggio delle applicazioni core in ambienti cloud perché la proposta dell’offerta non è ancora matura per sostenere applicazioni caratterizzate da una forte personalizzazione, depositarie di logiche di business su cui le aziende si sono costruite il proprio vantaggio competitivo. Vedo, invece, una fortissima spinta del Paas: avere a disposizione ambienti di sviluppo e test applicativo “ready to use” e tecnologicamente aggiornati può rappresentare un fortissima spinta verso un It più veloce nel proporre soluzioni e servizi al business”.
“Il futuro che ci attendiamo è, infatti, quello dell’IPaas (Integration Platform as a Service) – interviene Mainetti – come servizio in grado di offrire la possibilità alle aziende di scegliere il proprio livello di equilibrio tra soluzioni standard e soluzioni personalizzate contando su strumenti che ne facilitano integrazione e interoperabilità”.
Ma se questo è forse uno scenario ipotizzabile nel lungo periodo, ciò su cui puntano i riflettori i Cio è la capacità di individuare il proprio percorso di cambiamento con criticità che non vanno solo nell’ordine della scelta tecnologica ma che coinvolgono anche i processi e l’organizzazione (It prima di tutto ma anche di business). Cio ed It manager chiedono ai vendor supporto proprio in questa direzione.

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