Fa tappa a Torino il tour di Executive Dinner che ZeroUno sta organizzando e promuovendo, con la sponsorship di Ibm, dal titolo “Cloud computing: come evolvere verso il modello as-a-service”. Dopo il primo appuntamento, tenutosi a Brescia, si sono riuniti al tavolo i Cio e gli It manager piemontesi confrontandosi su un tema che sta decisamente cambiando il modo di erogare e gestire l’It (e di “essere” Cio), e nemmeno poi tanto lentamente.
Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno, ha introdotto la serata definendo un quadro di riferimento all’interno del quale stanno avvenendo profondi cambiamenti sia nel modello di fruizione dell’It (il cloud, appunto) sia nell’organizzazione e nelle competenze dei dipartimenti informatici delle aziende. Per questo sono stati riportati, a titolo di esempio, alcuni dati Forrester: “Si stima una crescita molto forte dei servizi tecnologici acquistati direttamente dal top management e dalle line of business. Oggi questi servizi generano circa 28 miliardi di dollari complessivi (a livello mondiale naturalmente); nel 2020 arriveranno a 258 miliardi. Non solo: è previsto che nei prossimi 6/7 anni la forza lavoro con un’età al di sotto dei 30 anni potrebbe rappresentare il 45% dei dipendenti/collaboratori di un’organizzazione (oggi è circa il 25%)”. Questi dati sono riportati, come ha precisato il direttore, non tanto per ipotizzare una disintermediazione del dipartimento It, ritenuta improbabile, quanto per sottolineare come il trend di avvicinamento degli utenti all’utilizzo (e all’acquisto) di informatica sia un fenomeno reale e concreto per i prossimi anni. Fenomeno al quale va associato l’abbassamento dell’età lavorativa in azienda, elemento che porta con sé una serie di aspettative nella tipologia di strumenti e di tecnologie utilizzate, alle quali il dipartimento It, pur salvaguardando logiche di security e di governance, dovrà saper rispondere.
L’articolo continua alla pagina seguente
*BRPAGE*
(segue dalla pagina precedente)
“La consumerizzazione It è tutt’altro che un fenomeno passeggero”, sottolinea in più d’una occasione Stefano Mainetti, co-direttore scientifico dell’Osservatorio Cloud & Ict as a Service School of Management del Politecnico di Milano. “Attenzione, quindi: con soluzioni It dall’adozione piuttosto semplice, non va comunque sottovalutato il rischio che l’It venga talvolta bypassato dalle business unit. Questo genera problemi, nel medio lungo termine, di integrazione di soluzioni adottate senza una visione d’insieme. E il cloud computing, questo fenomeno lo accelera, dato che, dal punto di vista consumer, gli utenti sono già abituati a fruire di servizi It attraverso il modello dell’as-a-service e secondo le logiche del pay-per-use (per esempio, con il servizio e-mail o le applicazioni Google, così come con i servizi Amazon o di altri player, come Apple, che stanno aggredendo il mercato in questa direzione)”.
“La fortissima spinta del cloud computing – sottolinea Mainetti – deriva proprio dalla sua forza commerciale, comprensibilissima ai ‘non tecnici’: utilizzo ciò che mi serve, solo quando davvero ne ho necessità, per il tempo dovuto e pagando solo per ciò che realmente impiego”. Una “comodità” pienamente condivisa da Claudio Pasini, direttore del personale e It in Ipi, società di servizi immobiliari con sede a Torino.
Pasini, infatti, ha evidenziato la sua diretta esperienza in azienda (Ipi ha scelto di sfruttare l’infrastruttura Ibm attraverso il cloud per un progetto di upgrade dell’Erp Sap, dalla versione R/3 alla 4.6C) per sottolineare come il modello “as-a-service” si inserisca perfettamente anche in progetti complessi e delicati come può essere una migrazione di Sap. “Quando abbiamo definito il progetto di upgrade della soluzione Sap – spiega Pasini -, progetto già di per sé costoso, sia da un punto di vista economico per l’investimento necessario ad acquistare la nuova release di prodotto, sia sotto il profilo organizzativo e di processo, ci siamo resi conto che anche l’infrastruttura sottostante andava adeguata (hardware e sistema operativo) e questo avrebbe comportato ulteriori costi per i quali non eravamo poi certi di poter beneficiare di un Roi adeguato (per esempio, a causa dell’eventuale sottoutilizzo della nuova infrastruttura)”. Un problema risolto grazie all’adozione di una Iaas, Infrastructure as a service, fornita da Ibm che, sfruttando i propri data center (in particolare quello di Ehningen in Germania, sviluppato appositamente per l’erogazione di servizi “in the cloud”) ha fornito a Ipi hardware virtuale, risorse di storage e un servizio di backup con le immagini complete delle macchine virtuali.
Ogni azienda deve disegnarsi la propria roadmap al cloud
L’esempio di Ipi testimonia esattamente ciò su cui Mainetti punta i riflettori: la facilità d’uso del servizio It e la forza commerciale ad esso collegata. Ma lo stesso caso Ipi racchiude la problematica dell’integrazione tecnologica (è in fase di analisi che è emersa l’inadeguatezza dell’infrastruttura sottostante per supportare il progetto di upgrade) che, secondo Ibm, non deve mai essere trascurata.
“L’adozione di modelli “as-a-service” e il ricorso al cloud computing dovrebbero sempre essere supportati da un approccio metodologico strutturato”, ha evidenziato Giovanni Boniardi, infrastructure consultant – cloud solutions sales specialist di Ibm. “Non esiste un percorso valido per tutti e non esistono modelli adattabili a qualunque contesto ed esperienza aziendale. Ogni realtà ha il proprio modello di business e la propria strategia It di supporto, fatta da workload specifici. È su questo che, a nostro avviso, bisogna concentrarsi per disegnare una roadmap di riferimento. Una roadmap costruita sulla base del contesto di riferimento e sugli obiettivi (e potenzialità) da sviluppare e raggiungere attraverso il cloud computing”.
La visione è stata ampiamente condivisa dai Cio presenti all’evento che più volte hanno espresso dubbi e perplessità sulla costruzione di un modello It totalmente incentrato sul cloud computing. Livelli di servizio, capacità di governance e controllo, attenzione sulla costruzione di efficienti cataloghi di servizio (con logiche di self-service più o meno estese a seconda del contesto in cui viene calato il catalogo), controllo delle performance, sono solo alcuni degli aspetti su cui si sono confrontati i responsabili It durante il dibattito.
In linea di massima, ad oggi, quasi tutti concordano su un “approccio cautelativo” che vede la scelta del public cloud solo per servizi accessori e non core. Più aperti e, in molti casi già su un cammino avviato, sono invece i Cio in ambito private cloud.
Attenzione però, sottolinea Uberti Foppa in chiusura di lavori, “è proprio sui modelli misti che si crea la maggior complessità di integrazione, controllo e governance”.