Iniziamo il nostro articolo di approfondimento sulle iPaaS (integration Platform as a Service) dalla cosa più semplice, un precisa definizione: un servizio cloud che offre all’IT una piattaforma per l’integrazione di dati, applicazioni, servizi e processi. “Storicamente – ha spiegato Massimo Pezzini, VP & Gartner Fellow, in un recente Webinar organizzato dalla società di ricerca – i fornitori di iPaaS hanno privilegiato l’usabilità rispetto alle funzionalità. Si tratta quindi di piattaforme che spesso hanno meno funzionalità rispetto a quelle on premise, ma sono più facili da usare e, soprattutto, forniscono tool di sviluppo basati su modelli e un portfolio di integrazioni pre-pacchettizzate; inoltre, sempre più frequentemente, integrano funzionalità di API management”. Il VP Gartner prosegue poi indicando le due principali ragioni per le quali le iPaaS sono un ingrediente importante di una strategia di integrazione: “In primo luogo sono le piattaforme ideali per supportare l’integrazione cloud to cloud [fondamentale se, come abbiamo visto nel corso degli ultimi due anni, l’approccio multicloud è uno dei trend distintivi dell’evoluzione dell’hybrid cloud – ndr] e mobile to cloud; in secondo luogo, queste piattaforme forniscono ambienti di sviluppo più semplici rispetto a quelle on premise, consentendo di realizzare con maggior facilità quella che chiamiamo ad hoc integration, ossia l’integrazione di progetti specifici”.
Le funzionalità principali di una iPaaS
Riassumiamo brevemente alcune delle principali funzionalità incluse normalmente in una piattaforma iPaaS, tenendo sempre presente che si tratta di soluzioni in continua evoluzione (status che presumibilmente manterranno sempre perché fortemente dipendenti dalla estrema variabilità, ormai intrinseca, delle applicazioni, dei formati di dati e della loro modalità di trasporto):
- integrano connettori per molteplici protocolli di comunicazione (FTP, http, Amqp, Mqtt ecc.) e per applicazioni pacchettizzate fruite in SaaS o on premise;
- supportano vari formati di dati (XML, Json, ASN.1 ecc.) e standard (Edifact, Swift, HL7 ecc.) nonché data mapping, data quality, data synchronization;
- oltre alla varietà dei dati oggi disponibili ne gestiscono anche velocità e volume quindi bulk (importazioni massive), transazionali in tempo reale, in streaming (tipici dell’IoT), big data, strutturati e non;
- dispongono di strumenti di sviluppo dei processi di integrazione;
- effettuano gestione e monitoraggio dei flussi operativi di integrazione;
- sempre più frequentemente integrano API management.
Avvalendosi di un repository multi-tenant, queste piattaforme consentono una facile collaborazione e condivisione di metadati tra IT e utenti di business.
La figura 1 descrive le caratteristiche che oggi identificano una iPaaS.
Se finora abbiamo definito cos’è una iPaaS, vediamo, con il supporto di un White Paper realizzato da Informatica, La guida per l’iPaaS rivolta ai responsabili dell’architettura Cloud, cosa “non” è. “L’iPaaS non è un ESB (Enterprise Service Bus) che – spiega la guida realizzata da Informatica – sono stati progettati per gestire l’accesso a sistemi legacy on-premise, come, ad esempio, i sistemi ERP attraverso un’interfaccia loosely coupled orientata ai servizi. In teoria questo aspetto era positivo, ma la mancanza di flessibilità delle tecnologie sottostanti implica che di fatto risulti costoso, poco pratico e complesso”. In conclusione, affermano gli esperti del vendor: “È ragionevole utilizzare un ESB per accedere agli endpoint legacy per i quali sono già predisposti, se si rispettano i requisiti funzionali. Tuttavia, a mano a mano che l’architettura diventa più focalizzata sul cloud e ibrida, è molto più ragionevole iniziare a utilizzare l’iPaaS come backbone di integrazione”.
Sempre con il supporto del White Paper realizzato dal vendor, nel riquadro delle pagine successive proponiamo alcuni casi d’uso di queste piattaforme, mentre qui proseguiamo con l’analisi dell’offerta.
iSaaS, un fenomeno emergente
Seppure facilitino le attività di integrazione e forniscano un importante contributo nel ridurne la complessità, le iPaaS rimangono “roba da specialisti” e sono necessarie competenze IT per utilizzarle, ma negli anni più recenti si sta assistendo a un altro fenomeno: “Da 2-3 anni – spiega Pezzini– abbiamo iniziato a vedere una nuova tipologia di soluzioni, che abbiamo definito iSaaS e che potremmo chiamare una sorta di iPaaS consumer, che propongono soluzioni di integrazione pre-pacchettizzate di applicazioni fruibili in SaaS”.
Il target di queste soluzioni sono il mercato consumer e i business users all’interno delle linee di business: “Non si indirizzano ai team IT o agli sviluppatori o ai SaaS administrator bensì alle persone che lavorano all’interno delle vendite, del marketing, delle HR che hanno necessità di integrazioni molto basiche, non complesse”. Un mercato che Gartner definisce della citizen integration ossia la possibilità per alcuni utenti business (o consumer) di occuparsi essi stessi dell’integrazione di alcune applicazioni, già fruite in cloud; una sorta di self service integration che abilita lo sviluppo rapido di servizi ma che per concretizzarsi deve anche vedere una trasversalità delle competenze digitali in tutta l’azienda.
Una graduatoria dell’offerta? Molto difficile
Il primo commento che possiamo fare, dopo avere analizzato i documenti di riferimento relativi al panorama dei vendor in ambito iPaaS pubblicati dalle due principali società di ricerca del mondo ICT, Forrester e Gartner (The Forrester Wave: iPaaS for Dynamic Integration e Gartner Magic Quadrant for Enterprise Integration Platform as a Service), è che è molto difficile, se non impossibile, identificare “la migliore” piattaforma di integrazione in cloud perché un giudizio di valore più che oggettivo è strettamente legato alle specifiche necessità dell’azienda utente, I grafici pubblicati devono dunque essere letti con prudenza, mentre per un’analisi più approfondita consigliamo la lettura delle presentazioni delle singole piattaforme presenti nei due documenti (disponibili sui siti delle due società). Entrambi gli analisti in questi documenti non analizzano le piattaforme ibride che contengono iPaaS, seppur molto forti, e quindi limitano l’analisi a pure iPaaS (ma anche con questa premessa, come si vede dalle figure, non sempre concordano nell’inserire un vendor nelle loro matrici). Ma, al di là dei nomi, vediamo, con il supporto del documento Forrester, qual è lo stato dell’arte e quali sono gli ambiti sui quali c’è ancora lavoro da fare.
Prima di tutto Forrester identifica i 3 principali driver che spingono l’adozione di piattaforme di integrazione in cloud:
- i systems of engagement richiedono un’integrazione dinamica – Al contrario dei tradizionali System of record che tracciano le transazioni e la contabilità, i Systems of engagement sfruttano la combinazione di mobile, social, cloud, big data e altre tecnologie innovative per fornire applicazioni e cambiano continuamente per poter rispondere alle esigenze di un mercato sempre più variabile, pertanto le interfacce con queste soluzioni devono evolvere altrettanto rapidamente e continuamente. Le piattaforme in cloud abilitano l’integrazione dinamica, difficile da perseguire con piattaforme on premise;
- l’overlap dell’integrazione di dati e applicazioni richiede la convergenza degli strumenti di integrazione – La maggior parte delle aziende utenti utilizza due soluzioni di integrazione separate per dati e applicazioni: 1) classiche soluzioni ETL (Extract, transform, load) per i primi, spesso gestite dal team che si occupa del data warehouse; 2) ESB per l’integrazione delle applicazioni, gestite da specifici team di integrazione. Anche se questo è uno degli aspetti sui quali le soluzioni non sono ancora mature, è una strada più facilmente perseguibile con una integrazione in cloud;
- le grandi aziende necessitano di soluzioni tattiche di integrazione – Le grandi aziende hanno effettuato importanti investimenti in ESB e SOA. Ma se queste soluzioni consentono l’integrazione di systems of records (sistemi transazionali) on premise, raramente consentono l’integrazione di applicazioni fruite in cloud o le esigenze di integrazione dinamica che, invece, possono trovare una risposta nell’adozione di iPaaS in modo tattico.
Forrester ha quindi “clusterizzato” i vendor in 3 differenti categorie:
- grandi vendor come Dell Boomi o IBM con una suite ampia che copre una vasto range di esigenze di integrazione e supporta differenti casi d’uso;
- piccoli vendor ma con una solida esperienza (in alcuni casi decennale) nell’integrazione B2B o nella data integration, come Adeptia, Flowgear e Scribe e che hanno portato le loro soluzioni in cloud per ampliare il proprio mercato;
- nuovi, piccoli e innovativi vendor come Jitterbit, SnapLogic e Workato: si tratta di realtà nate a partire dal 2010 dall’iniziativa di “veterani” sui temi dell’integrazione che hanno sviluppato soluzioni native per il cloud. Sono realtà che stanno lavorando su nuovi concetti per facilitare l’integrazione come lo sviluppo di modelli condivisi, la creazione di community di utenti e indirizzando la citizen integration.
Concludiamo con due considerazioni, sempre di Forrester:
- la prima è che le tecnologie di integrazione sono mature (sebbene si debba sempre tener presente quanto scritto all’inizio: dimentichiamo le soluzioni “statiche” con rilasci annuali o biennali, l’evoluzione continua è insita sia nel concetto stesso di applicazione sia, di conseguenza, in quello di integrazione) e gli utenti dispongono di un’ampia scelta nella quale trovare quella che meglio risponde alle proprie esigenze;
- la seconda riguarda la citizen integration che, scrive testualmente l’analista, “è ancora più uno slogan che una realtà” perché se è vero che, come abbiamo visto, i vendor stanno lavorando alla “democratizzazione” dell’integrazione, questa rimane un tema ancora molto complesso (inoltre l’aggiunta di sempre nuove funzionalità non fa che mantenerlo tale) e le soluzioni di iSaaS attualmente sono disponibili per contesti molto limitati.