Era circa un anno fa, quando sullo stesso palco del Moscone Center di San Francisco, Larry Ellison, Ceo di Oracle, con il suo solito fare spregiudicato e sornione disse: “Cos’è tutto questo parlare di cloud? Eccolo, il cloud; noi ce l’abbiamo già” indicando l’Exalogic Elastic Cloud dietro di sé come macchina deputata al consolidamento applicativo in grandi aziende e la conseguente possibilità di erogazione di servizi in modalità “private”. “Non c’è molto altro da dire” affermò allora Ellison: “It’s a cloud in a box”, snobbando così, come da consuetudine, l’articolazione strategica proposta invece da altri vendor sul cloud. Quest’anno il passo avanti è l’Oracle Public Cloud.
Con questa offerta, Oracle consolida alcuni trend tecnologici, sia nel software sia nelle
Ellison alle prese con una demo di |
architetture hardware, che già facevano parte della propria offerta; tra questi il grid computing, il clustering, la virualizzazione e la SOA.
L’Oracle Public Cloud si può definire una soluzione di servizi applicativi e platform as a service. Alcune tra le Oracle Fusion Applications, annunciate all’Openworld in “general availability”, oltre 100 moduli applicativi riscritti con uno sforzo di sviluppo di alcuni anni, basati su Java e middleware standard, interfacce user friendly con business intelligence e analytics integrate vengono ora portate “in the cloud”. Fusion Crm cloud service, Fusion HCM (Human capital management) unitamente ad alcuni platform services standard based (data base, Java, dati e servizi di security) al livello più basso, fanno di Oracle Public Cloud la risposta della società alla domanda di application e platform as a service.
Come funziona l’attivazione? In teoria in modo semplice. Si configurano i dettagli del servizio e il profilo di account desiderati. Viene poi sottoscritto il servizio al prezzo fisso mensile e aggiunti gli utenti che servono (amministratori, sviluppatori e utenti finali). Vengono poi scelte le applicazioni e i contenuti Crm/Hcm desiderati, per poi configurarli in rapporto al tipo di ambiente di utilizzo (configuration, scaling, analysis). Infine avviene la distribuzione dei servizi di piattaforma o applicativi in modo flessibile, sia on premise o in cloud a seconda delle esigenze.
“Da cosa si riconosce un falso public cloud da uno vero?” ha retoricamente chiesto Ellison durante la presentazione citando alcune piattaforme cloud concorrenti. “Puoi muovere le tue applicazioni e i tuoi dati da un cloud all’altro? I tuoi dati sono memorizzati in modo sicuro in un data base e VM separati per ogni cliente? Puoi avere in modo elastico e rapido più risorse elaborative quando ci sono picchi di richiesta? E’ semplice l’integrazione tra Paas/Iaas e sistemi in house? E quella tra applicazioni Saas e i business process aziendali è complicata?” Ellison giura che l’Oracle Public Cloud, il vero cloud e non quello falso dei competitor, garantisce tutto questo grazie alla security built in nel middleware e nel data base e non nelle applicazioni, con un VM e Db separato per cliente, no multi-tenancy, con un instant provisioning e la gestione elastica della capacità elaborativa con un modello, infine, di sottoscrizione e di attivazione di servizio sulla carta full self service e chiaro nelle modalità di configurazione e di costo. Ma non possiamo sbilanciarci troppo. Aspettiamo il primo progetto cloud Oracle italiano realizzato dai partner per verificare tutto questo.
Oracle Public Cloud fa parte di una serie di rilevanti annunci effettuati durante il recente (primi di ottobre) Oracle Openworld di San Francisco. Per leggere le altre novità leggi l'articolo "Verso la "Exa" Oracle".