Data center

Smart city: il futuro intelligente sarà supportato dai data center subacquei?

Data center sotto gli oceani. Potrebbero aiutare i fornitori a risparmiare sui costi e sulle operazioni di raffreddamento. A portare avanti il progetto è Microsoft che ha utilizzato una serie di sensori per il monitoraggio a distanza delle condizioni interne ed esterne del data center per analizzare l’insorgere di eventuali problemi di manutenzione

Pubblicato il 06 Mag 2016

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Data center sotto i mari, controllati da sensori che permettono il loro controllo a distanza. Sarà questo il futuro delle smart city? Non è fantascienza ma è già realtà ma le sperimentazioni sui data center subacquei di Microsoft hanno subito attirato l’attenzione di ambientalisti e osservatori del settore, ponendo molti dubbi non solo circa la loro redditività a lungo termine ma anche sull’impatto che potrebbero avere sull’ambiente.

I benefici di un data center subacqueo

L’azienda infatti ha creato un data center sottomarino autonomo come parte del progetto di ricerca denominato Project Natick per la realizzazione di strutture capaci di soddisfare in modo sostenibile la crescente domanda di servizi basati sul cloud.

In linea di principio un data center subacqueo potrebbe rappresentare una buona soluzione poiché non richiede sistemi di raffreddamento meccanici costosi. Il modello proposto dalla casa di Redmond parte dal presupposto che questo tipo di impianti venisse abbinato a sistemi di energia idroelettrica, potrebbe rivelarsi più rispettoso dell’ambiente rispetto ai tradizionali data center terrestri. Secondo i ricercatori, dato che la metà della popolazione mondiale vive entro duecento chilometri da un oceano, il data center sottomarino potrebbe ridurre in modo significativo i tempi di trasferimento dei dati verso gli utenti.

“La stragrande maggioranza della superficie terrestre – spiega il direttore tecnico David Barker – è coperta da acqua e tutte le tratte in fibra internazionali corrono sotto il mare. Con l’implementazione di un data center sul fondo del mare si possono ovviare alcuni problemi tipici della costruzione degli impianti a terra, come per esempio dover costruire a distanza dalle principali aree metropolitane, in zone con bassa connettività a fibra per contenere i costi.

Dal progetto all’entrata in produzione

Secondo un rapporto del New York Times relativo al progetto, il prototipo conteneva un singolo rack operativo che è stato circondato di azoto pressurizzato per assorbire il calore generato dal kit IT interno. Il rapporto afferma che in progetto c’è la creazione di un secondo data center, grande circa tre volte il primo prototipo, che potrebbe essere sperimentato già nel 2017. In ogni caso, un portavoce di Microsoft ha sottolineato che il progetto sta muovendo i suoi primi passi e che probabilmente passerà un po’ di tempo prima che altri data center modulari oceanici entrino in produzione. Il primo prototipo venne situato, tra l’agosto e il novembre 2015, a un chilometro al largo della costa del Pacifico negli Stati Uniti, per poi essere rispedito a Redmond (presso il quartier generale di Microsoft) per i dovuti controlli da parte dei ricercatori. La società auspica che, con il tempo, simili data center potranno essere impiegati sott’acqua per un massimo di cinque anni alla volta, in linea con la vita media delle apparecchiature contenute al loro interno.

Quali gli effetti sull’ambiente marino?

In merito alla creazione e all’attività di questo tipo di data center, Gary Cook senior corporate campaigner e IT sector analyst di Greenpeace, sostiene la necessità di avviare ricerche più approfondire volte a sondare l’impatto ecologico che queste strutture potranno avere nel lungo periodo. Cook, in particolare, ha posto l’accento sulla necessità di esaminare la quantità precisa di inquinamento termico emesso e il conseguente eventuale aumento della temperatura marina che rischia di verificarsi.

Aumenti localizzati della temperatura del mare causati dalla fuoriuscita di acqua calda dalle centrali elettriche, per esempio, può avere un impatto negativo sulle creature acquatiche e sui loro ecosistemi delicati. In questi casi, le specie che non sanno adattarsi alle mutevoli condizioni ambientali migrano o, nel peggiore dei casi, muoiono. Fatte queste considerazioni, Cook ha comunque dichiarato di apprezzare la volontà di Microsoft di porre in prima linea nel progetto la sostenibilità e le energie rinnovabili.

Gli scenari futuri

Secondo Andrew Donoghue, European research manager di 451 Research, se e quando il progetto di Microsoft entrerà in piena produzione è improbabile che gli altri attori del mercato dei data center ne vogliano seguire l’esempio. Gli operatori dei cosiddetti hyper-scale data center come la stessa Microsoft e poi Google, Facebook e Apple di recente hanno efficacemente riscritto le regole relative al design dei data center con l’uso di data center containerizzati, nuove architetture IT e iniziative come Open Compute. “Non crediamo che queste strutture sottomarine – ha spiegato Donoghue – verranno adottate presto dagli altri operatori del settore, ma è possibile che Microsoft decida di spostare questo progetto da un piano di mera ricerca a un livello di effettiva distribuzione commerciale per alcuni specifici casi d’uso. Nel caso di Microsoft, invece, questi tipi di strutture potrebbero agire come data center all’avanguardia per la fornitura di servizi IoT correlati al Cloud o per l’hosting di applicazioni Smart City basate su connessioni a bassa latenza”. In ogni caso, una serie di sfide normative, logistiche, economiche e operative renderebbero difficile per la maggioranza dei fornitori di data center seguire l’esempio di Microsoft.

“Nel breve termine – fa notare Barker – solamente società con enormi budget dedicati ad attività di ricerca e sviluppo potrebbero investire in progetti come questo, ma se Microsoft sarà in grado di commercializzare questa tecnologia allora una rete di data center subacquei a sostegno dei servizi Cloud che usiamo ogni giorno potrebbe diventare realtà”. Inoltre, pensare a un data center collocato in fondo al mare in acque internazionali pone alcune interessanti riflessioni in merito alla protezione dei dati e alla privacy: se le informazioni sono raccolte in acque internazionali il diritto d’autore si applica ancora? Esistono regolamenti o specifici requisiti in materia di sicurezza dei dati a cui fare riferimento se questi ultimi vengono immagazzinati al di fuori della giurisdizione di qualsiasi Paese?

La manutenzione subacquea

Essendo una struttura progettata per essere senza equipaggio, durante la fase di test durata tre mesi, Microsoft ha utilizzato una serie di sensori per il monitoraggio a distanza delle condizioni interne ed esterne del data center per analizzare l’insorgere di eventuali problemi di manutenzione. Karl Mendez, managing director di CWCS Managed Hosting, ha dichiarato che questo aspetto potrebbe rivelarsi un ostacolo per le aziende abituate ad avere un facile accesso in loco per le loro risorse IT, in caso di un guasto hardware.

“L’accesso a un data center subacqueo e il suo mantenimento potrebbero rappresentare senza dubbio una difficoltà per tecnici e ingegneri; un problema potenzialmente devastante in caso di un guasto hardware, per non parlare del fatto che l’acqua di mare potrebbe a lungo andare corrodere l’apparecchiatura”.

Donoghue invece ha fatto notare che per un sito subacqueo potrebbe risultare problematico anche trovare efficaci sistemi di approvvigionamento energetico: “L’alimentazione primaria potrebbe provenire da fonti rinnovabili – come l’energia del moto ondoso o una centrale idroelettrica – ma non è chiaro invece quale potrebbe essere la fonte di backup. Si potrebbe creare una grid connection quando i data center saranno impiegati vicino alla riva”.

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