Attualità

Distribuita, eterogenea e aperta: ecco l’autostrada digitale che unisce l’Italia innovativa



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Da uno dei cinque centri finanziati dal PNRR con 320 milioni, il Centro Nazionale di Ricerca in High-Performance Computing Big Data and Quantum Computing, è in arrivo una infrastruttura di calcolo unica in Europa. È dedicata a progetti a guida industriale, da realizzare grazie al contributo della ricerca, invogliando il Paese a creare nuovi talenti “trasversali”. 

Pubblicato il 26 apr 2024

Marta Abba'

Giornalista



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È lo zero a fare la differenza. In un mondo di calcolo ad alte prestazioni, dove i dati sono “big” e si sfiora con mano la potenza del quantum computing, questa cifra incarna l’unicità del centro nazionale per la ricerca che se ne occupa. È quella che identifica lo spoke dedicato alla realizzazione della più grande rete di diffusa di calcolatori d’Italia, collegata alla rete più grande del mondo.

Un unicum che il Paese ancora stenta a credere di avere e a saper sfruttare, ma chi lo ha ideato sta parallelamente (e alacremente) costruendo anche una rete di alleanze, collaborazioni e attività per rendere questo spoke 0 un punto di svolta. E iniettare un po’ di grinta e coraggio a un Paese che presto sarà la sede di una “eccellenza mondiale” nel calcolo.

Unicum europeo per scoperte a 4 mani

Il nome ufficiale del “centro con lo spoke zero” è National Centre for HPC, Big Data and Quantum Computing ed è effettivamente l’unico ad averlo di tutti i cinque “offerti” dal PNRR con un investimento complessivo di 1,6 miliardi di euro: 320 milioni ciascuno, per raggiungere entro il 2025 obiettivi specifici e misurabili. E strategici per il Paese. Privi di spoke zero, gli altri quattro si dedicano a settori specifici – agritech, mobilità sostenibile, biodiversità (futura) e medicina basata su terapie RNA – mentre l’unico che lo ha, in aggiunta ad altri 10, ci sta investendo il 50% del proprio budget, per mostrarsi degno della responsabilità che gli è stata affidata. Quella di costruire “un’autostrada digitale, un’infrastruttura abilitante, resiliente, diffusa e scalabile nel Paese, perché il valore della digital transformation non sta solo nei dati ma anche nella loro exploitation”.

Davide Salomoni, Innovation Manager della ICSC Foundation che gestisce il centro, definisce così la “missione speciale” dello spoke zero, missione affrontata “non partendo da zero, ma usando le eccellenze già presenti in Italia” spiega. “Come rete c’è quella nazionale ad altissima capacità dedicata alla community dell’istruzione, della ricerca e della cultura del GARR che espanderà la propria capacità di connessione fino a raggiungere i multipli di terabit al secondo, necessari per soddisfare le esigenze degli altri spoke” continua. “Per la parte di calcolo, colleghiamo le infrastrutture di punta del CINECA e quelle dell’INFN”. Il primo è noto per il supercomputer Leonardo, ma pochi sanno che il secondo ha da anni la più grande rete di calcolatori d’Italia, ben dieci data center di cui il più grande è anch’esso a Bologna.

Sono entrambe eccellenze, ma unirle non è una sfida banale perché eccellono, appunto, su due “scale” di calcolo differenti: rispettivamente nell’HPC e nel big data computing. Vincerla, però, rende l’Italia il primo Paese in Europa dotato di tale tipologia di infrastruttura di calcolo: distribuita e anche aperta sia alla ricerca che alle imprese.

Entrambi questi mondi sono coinvolti e invitati a sfruttarne le potenzialità, infatti, grazie a un approccio che le vede collaborare su progetti di innovazione sperimentale finalizzati a scoperte tecnologiche all’avanguardia funzionali al business delle aziende proponenti. Tra i 52 player finora coinvolti ce ne sono 15 e nel centro vedono “l’opportunità di avere un collegamento con il mondo accademico come non c’è mai stato prima, che permette di fare sperimentazioni assieme. L’infrastruttura la possono trovare anche altrove, ma questo modello di collaborazione no. Lo stesso vale per la nostra ‘neutralità’ che esclude il pericolo lock-in” sottolinea Salomoni.

Nel “dopo PNRR”, apertura e condivisione

Gli altri spoke del centro – quelli da 1 a 10 – sono verticali come quelli degli altri “fratelli”, anch’essi finanziati con i fondi del PNRR, ma hanno la fortuna di poter contare sull’infrastruttura offerta dallo spoke 0. In un contesto in cui si può accedere solo se disposti a condividere, appare strano che si distribuiscano solo al proprio interno i benefici di un unicum addirittura europeo. Infatti, Salomoni conferma che è solo una questione di tempo. “Ci aspettiamo che anche gli altri centri abbiano bisogno delle nostre risorse – spiega – e se mettiamo a disposizione la competenza del mondo della ricerca e delle imprese nei settori chiave e le infrastrutture dello spoke zero, creando un ecosistema, potremo attirare l’interesse anche di altri attori”.

Pensando al “dopo PNRR”, cioè a dopo il 2025, si vorrebbe quindi realizzare un portfolio di soluzioni che permetta alla ricerca e alle imprese anche esterne di sviluppare assieme delle tecnologie di punta, sfruttando quell’autostrada digitale ad altissime prestazioni e distribuita su territorio già in fieri.

Nel realizzarla, è quindi necessario fare in modo che in futuro si possa integrare anche con provider esterni. Ciò significa rispettare standard de facto e de iure, in modo che possa nel tempo essere trasformata in un sistema integrato unico composto da tanti data center in grado di “parlarsi”. È una sfida non banale, e in parte già lo si nota mentre si collegano due mondi diversi come quello di CINECA e INFN, ma ne può valere la pena.

A maggior ragione servirà, però, chi ci potrà lavorare alacremente, e che ci sappia lavorare. Il tasto “talenti” in Italia è quasi sempre dolente e lo “zero” dello spoke in questo caso non aiuta, anzi, in parte condanna: non è semplice trovare profili con le competenze richieste. Ma può essere anche il punto zero di un percorso di trasformazione che regali all’Italia una nuova generazione di “talenti non verticali”.

Salomoni li definisce così, e spiega che, al di là delle cifre, una criticità riscontrata nel reperire risorse per il centro è quella di “non trovare profili scientifici con competenze anche relative agli strumenti informatici e tecnologici, per esempio per il processamento big data e gli algoritmi AI e quantistici, o per poter usare calcolatori HPC” racconta. E aggiunge: “la parte tecnologica non può essere scollegata ad attività scientifica: noi vogliamo essere il ponte tra scienza e tecnologia”.

Con questo obiettivo, il centro sta costruendo un ecosistema di esperti, attingendo dalle università circa 1.500 tra dottorandi e assegnisti ma anche assumendo direttamente 400 ricercatori e attivando 200 nuovi dottorati. “In mancanza di persone adatte, accettiamo la sfida di trasformare il panorama nazionale, portando avanti la nostra visione e sperando – precisa Salomoni – che questo nostro ‘piccolo seme’ possa aiutare a mettere assieme due mondi che necessitano sempre di più l’uno dell’altro”.

32+32: milioni scommessi su progetti “da autostrada”

Il terreno in cui far crescere questo seme è composto da tanti appezzamenti: i progetti, rigorosamente a guida industriale ma da realizzare in tandem con la ricerca. Ci sono 32 milioni di euro a disposizione per attivare quelli delle aziende affiliate, e in pochi mesi ne sono già stati proposti 75. Si è scelto di erogarne altrettanti “per portare on board negli spoke da 1 a 10 altri attori ed espandere così le attività del centro, sia ad altre aziende che ad altre università. Ogni spoke emetterà un bando a cascata relativo alla propria tematica, incoraggiando la presentazione di proposte da parte di esterni al centro che, in questo modo, potranno già usufruire delle risorse dello spoke zero per il loro progetto” spiega Salomoni.

Per capire come “lo zero” può fare anche stavolta la differenza, Salomoni illustra un esempio “significativo di come si possa sfruttare bene la combinazione degli spoke tematici e dell’infrastruttura creata con quello zero”. Si tratta di un sistema di mapping eterogeneo di dati sui rischi e le vulnerabilità a livello ambientale. “Non è mai stato realizzato prima e richiede un sistema per la raccolta di dati distribuiti e differenti: ci sono quelli da satellite di vario tipo, ma anche quelli provenienti da droni o telecamere. Serve un sistema per collegarli, come il data lake creato con lo spoke zero, la potenza di calcolo che abbiamo messo in rete e gli algoritmi intelligenti che il mondo della ricerca è pronto a creare. È un progetto che fa leva su tutti i benefici offerti dal nostro centro e ne offre altrettanti alla protezione civile, ma non solo. Potrà essere utile per chiunque faccia monitoraggio ambientale e anche per il mondo assicurativo”. Infatti, la proposta arriva da lì.

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