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Geotermia e data center: un contributo sostenibile ma assetato



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In Nevada, Google ha realizzato un nuovo impianto per integrare l’energia geotermica nell’elenco delle rinnovabili che supportano il suo business. Non basta per il data center che ha nella zona, ma aiuta le comunità locali collegate che la ricevono. Resta il nodo del consumo di acqua, un nodo delicato, soprattutto per i data center

Pubblicato il 9 feb 2024



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Immagine di Jozsef Bagota su Shutterstock

Discontinue e imprevedibili, sia l’energia eolica che quella solare possono contribuire alla quota di rinnovabili utilizzate da una big tech, ma non riescono a fare molto di più. Difficile anche sostenere che la propria strategia di sostenibilità energetica si fondi unicamente su queste tipologie di fonti: è necessario esplorare anche altri orizzonti per arrivare a un mix di fonti sostenibili. Oppure abbassare lo sguardo e valorizzare la Terra su cui si realizzano infrastrutture e uffici, su cui trascorrono le proprie esistenze i miliardi di utenti che sostengono il proprio business.

Energia da Terra e acqua … troppa acqua?

Questa è la scelta che ha attuato di recente Google, mettendo in funzione in Nevada una centrale geotermica potenziata in Nevada a cui stava lavorando dal 2021, in collaborazione con la startup Fervo Energy. Si tratterebbe di una struttura “unica nel suo genere”, perché effettivamente collegata alla rete elettrica locale.

Come tutte le altre, utilizza il calore generato dalla crosta terrestre per trasformare l’acqua in vapore e il vapore in energia. Quanta? Secondo le stime pubblicate da Fervo, si parla di circa 3,5 megawatt, quanto serve per alimentare circa 750 abitazioni, ma con cui non si può neanche lontanamente sperare di supportare un data center. Un suo campus tipicamente consuma infatti decine e decine di megawatt.

Non si tratta di una sorpresa o di un flop, è piuttosto normale che un’energia come questa, per esigenze di certi ordini di grandezza, venga considerata come “supplemento” all’energia eolica e solare. Non deve essere una scusa per non investirci e scommetterci, come sembrerebbe infatti voler proprio fare la Casa Bianca, puntando a ricoprire il 16% del suo fabbisogno energetico nazionale proprio sfruttando il calore terrestre. Il Dipartimento dell’Energia USA ha dichiarato che potrebbe essere possibile entro il 2050, impegnandosi nei prossimi anni a investire in impianti che permettano di liberare fino a 120 gigawatt di capacità geotermica.

Google stessa sembra voler insistere su questa tipologia di rinnovabile, in collaborazione con InnerSpace, pur consapevole dei suoi limiti. Limiti geografici, perché efficiente solo dove la crosta è più sottile e il calore è più vicino alla superficie. Limiti di sostenibilità ambientale, perché consuma inevitabilmente molta acqua. Un tasto dolente per i data center, su cui non ci si può permettere di essere colti in fallo. L’idea di chi vuole comunque utilizzare la geotermica è quella di puntare al riciclo dell’acqua utilizzata all’interno del sistema stesso, l’unico modo per rendere la tecnologia valida e redditizia in climi aridi come quelli del Nevada e dello Utah.

Alimentare (e rabbonire) le comunità locali

Il Nevada è, tra l’altro, lo Stato dove Google ha realizzato il suo impianto, sfruttando anche tecniche sviluppate per l’industria del petrolio e del gas naturale. Prima ha scavato due pozzi circa 2,43 km sotto la superficie e li ha “allargati” in orizzontale in parallelo l’uno all’altro. Poi ha creato dei canali fratturando la roccia posta tra le sezioni laterali dei pozzi, in modo da poterci far scorrere l’acqua, lasciando si riscaldi. Una volta giunta all’esterno, con temperature fino a 191˚ Celsius grazie al calore ricevuto dalla Terra, grazie a generatori di vapore viene convertita in elettricità. Elettricità che, nel caso di Google, può raggiungere le comunità locali nei pressi di Reno ed Henderson, in Nevada. Un gesto per provare a compensare l’imparagonabile fabbisogno energetico dei data center di Google.

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