Negli ultimi anni l’Europa si è costruita un buon parco di supercomputer, iniziando a occupare in modo stabile, e per USA e Cina magari anche fastidioso, alcuni posti alti della classifica mondiale TOP500. Il finlandese LUMI, l’italiano Leonardo, lo spagnolo MareNostrum 5 non sono però che il “rullo di tamburi” che precede il primo exascale 100% europeo: Jupiter. Ora che siamo nell’anno annunciato come quello della sua inaugurazione, presumibilmente in autunno, emergono maggiori dettagli sulla sua struttura e l’approccio con cui lo si sta realizzando.
Velocità e risparmio, container dopo container
Al di là del fascino del pianeta Giove, il nome Jupiter vuole significare “Joint Undertaking Pioneer for Innovative and Transformative Exascale Research” e entrerà nella storia perché indicherà il primo computer europeo in grado di eseguire più di un miliardo di miliardi di operazioni in virgola mobile al secondo.
Questo, infatti, significa essere exascale, e questo è riuscita a ottenere l’European High Performance Computing Joint Undertaking (EuroHPC JU), affidando il progetto al tedesco Jülich Supercomputing Center (JSC). A quanto emerge da chi lo sta seguendo passo dopo passo, l’approccio innovativo scelto per la nuova attesa struttura consiste nell’essere costituito da moduli racchiusi in container. Venti custodiranno dispositivi IT, quindici i sistemi di alimentazione e una decina sarà dedicata a tutti i componenti di logistica necessari, a partire dalla hall e dall’officina, comprendendo anche gli spazi per il data center. In totale si parla quindi di circa 50 moduli container da “spargere” su un’area di oltre 2.300 metri quadrati, su una “metà campo”, se si trattasse dei giocatori di una squadra di calcio.
Prima della consegna, nei vari container viene inserito tutto ciò che serve per il funzionamento sul campo, per il raffreddamento e l’alimentazione, ma anche per il cablaggio e la connessione. Va da sé, quindi, che il processo di programmazione e di installazione diventa fortemente più rapido e pratico. Non solo: il rischio di guasti tardivi si minimizza perché arriva sul posto tutto “impacchettato” alla perfezione, o per lo meno questo è l’obiettivo.
Un altro vantaggio particolarmente apprezzato è quello sui costi. Sia per la costruzione sia per la manutenzione e per l’operatività, infatti, le spese dovrebbero ridursi in modo evidente. Ogni volta che sarà necessario un intervento di riparazione o aggiornamento di un sistema obsoleto, per Jupiter basterà scambiare un modulo con un altro dotato di hardware più recente. Lo stesso vale per il sottosistema di alimentazione e per l’area logistica: una vera novità rispetto a infrastrutture che richiedono tuttora diverse settimane per questo tipo di attività.
I vantaggi promessi sono particolarmente allettanti, ma ancora serve tempo per poterli toccare con mano. Ce ne sono altri, però, che già possono essere misurati e apprezzati come i tempi di consegna che, secondo i costruttori della struttura, si sarebbero dimezzati, scendendo a meno di un anno, con una conseguente riduzione dei costi a un terzo, un terzo della cifra annunciata lo scorso anno, pari a 273 milioni di euro.
Ci sono poi vantaggi auspicabili ma ancora tutti da esplorare, come quelli sul consumo di energia. Così potente, Jupiter sembrerebbe destinato a richiederne enormi quantità. La sua natura modulare, però, potrebbe aprire la strada a nuove sperimentazioni che ammiccano anche alla possibilità di utilizzare l’energia termica generata durante il raffreddamento per riscaldare il campus.
Questa opzione resta per ora un’ipotesi mentre da metà gennaio 2024 è realtà il Jupiter Research and Early Access Program (JUREAP), un progetto per individuare le potenziali applicazioni del nuovo sistema exascale. La prima fase attualmente in corso consiste nella valutazione della scalabilità e delle prestazioni (SPEP), è obbligatoria per chiunque voglia poi “giocare” con l’exascale europeo e prevede simulazioni di grandi dimensioni, da condurre collaborando con altri ricercatori e scienziati. Anche da questo punto di vista, quindi, un approccio “modulare” e componibile, per un supercomputer che vuole essere di svolta, non solo in termini di potenza di calcolo.