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Nuove tecniche di raffreddamento per data center ammiccano al teleriscaldamento



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Un nuovo studio inglese analizza pro e contro del riutilizzo di calore per scaldare i quartieri vicini ai data center attraverso impianti di teleriscaldamento. Oltre a pro e contro, elenca le molte sfide aperte e regala speranza accennando a nuove tecnologie in arrivo, presumibilmente adatte a un riutilizzo di calore virtuoso e a favore delle…

Pubblicato il 12 apr 2024

Marta Abba'

Giornalista



data center

Sarà l’adozione di un nuovo modello o l’arrivo di nuove tecnologie di raffreddamento il punto di svolta per il riuso del calore dei data center tramite teleriscaldamento? Oppure resterà una promessa mancata, con un lungo elenco di tentativi compiuti ma di discutibile successo sparsi per il mondo?

È ciò che ci si chiede sfogliando il nuovo report sul tema, realizzato stavolta da TechUK ma di valore globale.

Nonostante sia noto da tempo il valore ambientale di questa opzione, mancano casi di successo fragoroso e convinto, in grado di impattare definitivamente sul mercato. Al momento non sono cessati i tentativi, fioccano riflessioni e prese di posizione, ma non esempi virtuosi indiscutibilmente funzionanti e replicabili sui grandi numeri, senza “discriminazioni geografiche”.

La bilancia su cui poggiano vantaggi e ostacoli vacilla senza prendere posizione, sul perno centrale ci sono sfide che restano ancora aperte per un settore in prima fila nell’innovazione.

Benefici e ostacoli di un’opzione tra sogno e realtà

I vantaggi del collegare i data center alle reti di calore sono stati sciorinati più volte e continuano a essere validi, oltre che più attuali che mai. Il primo, sempre più urgente, riguarda la riduzione dell’impronta di carbonio dell’intero sistema, importante anche quella del costo del riscaldamento per i nuclei familiari di ogni tipologia, essendo sempre più numerosi quelli che faticano a coprire tutte le spese vive mensili. Ci sono anche dei benefici riservati ai data center di cui è necessario tener conto alla luce della fattibilità di tale opzione. Gli operatori vedrebbero diminuire i costi di elettricità e acqua legate al raffreddamento dei dispositivi IT e intravvederebbero la possibilità di una fonte di guadagno aggiuntiva. Una voce nuova e positiva da inserire nel budget.

Di contro, vi sono ostacoli significativi che fanno subito intuire quanto si stia assistendo a un vero braccio di ferro tra pro e contro. Quello che il report mette in prima posizione è di tipo normativo: il suo consiglio è quello di trovare un equilibrio tra gli obblighi di riciclare il calore residuo o di offrirlo a soggetti esterni e l’indipendenza strategia di ogni operatore. Questo passo avanti, secondo TechUK, sarebbe cruciale e trasformerebbe l’accoppiata data center e teleriscaldamento in “una vera storia di successo per la sostenibilità”.

Esistono però anche degli ostacoli tecnologici e operativi che non possono essere superati con la sola buona volontà dei legislatori. Per esempio, le reti di calore più “vecchie” potrebbero non essere in grado di funzionare con il calore di scarto a bassa temperatura prodotto da un data center. Lo sono quelle di quinta generazione, ma non hanno ancora molta diffusione sul territorio. C’è poi da analizzare la reale produzione di calore che un data center è in grado di assicurare, considerando soprattutto che nei primi anni avrà un’occupazione – e quindi una generazione di calore – modesta. Potrebbe volerci più di un decennio perché entri in regime e nel frattempo il progetto di teleriscaldamento barcollerebbe in termini di sostenibilità economica generale. In tal senso, entra in scena nel dibattito anche la certezza dell’incertezza che sempre accompagnerà le proiezioni sulla quantità di calore che un data center produrrà in futuro. Molte le variabili da considerare, compresa anche la variazione di domanda rispetto alla media stagionale. Le richieste di calore fuori stagione non potranno che pesare sempre di più sull’incertezza che già aleggia attorno alla domanda di riscaldamento nelle case, visto l’intensificarsi di episodi con temperature fuori norma che non perdona nessuna città del mondo.

Non resta che sperare nell’innovazione tecnologica

Affianco ai pro e ai contro, in un certo senso definitivi e perentori, ci sono poi delle sfide aperte che questa tipologia di riutilizzo di calore lancia sia ai data center sia alla società tutta. Per vincerle, dovrebbero “rassegnarsi” ad agire in squadra, ma potrebbe comunque non bastare.

Un dilemma da affrontare e risolvere è quello delle dimensioni dei nuovi magazzini di dati. Se piccoli, producono meno calore ma possono essere comodamente posizionati all’interno delle aree urbane, vicino a dove c’è la reale domanda. Gli hyperscaler preferiscono però data center in formato XXL, o addirittura raggruppati in un campus, sicuramente una fonte di calore più massiccia ma massiccia anche la loro presenza, e adatta quasi solo a regioni periferiche. Servirebbe poi collegarli in modo efficace e normativamente lecito ai quartieri scelti per beneficiare del calore generato e non è detto sia sempre fattibile, conveniente e compatibile con le reti di zonizzazione definite localmente.

Un’altra domanda contenuta nel report di TechUK riguarda l’adeguatezza delle strutture esistenti rispetto ad un futuro nel teleriscaldamento. Secondo quanto affermato nel documento, “il successo del riutilizzo del calore residuo dei data center richiede scelte in fase di pianificazione e progettazione, poiché l’adattamento potrebbe essere difficile”. Si usa il condizionale elencando le complessità che si presentano in un caso tipo: riguarderebbero le tubature, le pompe per fluidi, le pompe di calore e gli scambiatori di calore, tanto per iniziare. Niente di impossibile, tecnicamente, ma forse economicamente sì: il timore è che non valga la pena di intervenire su un data center esistente per renderlo future ready rispetto al riutilizzo di calore.

Il tasto dei costi è dolente e il report non lo nasconde, anche perché sull’opportunità del teleriscaldamento incombe l’incertezza delle previsioni, uno dei suoi “contro”, che la rende un investimento rischioso. Non è detto che il settore sia e voglia essere pronto ad affrontarlo, avendo di fronte a sé anche molte altre sfide non certo meno complesse.

L’orizzonte non é però da dipingere con sole tinte fosche: sarebbero infatti in arrivo delle tecnologie di raffreddamento avanzate, come il raffreddamento a liquido a immersione e diretto al chip e si potrebbero rivelate funzionali alle applicazioni di riutilizzo del calore. Secondo TechUK, garantirebbero densità di potenza molto elevate nelle applicazioni AI e una elaborazione ad alte prestazioni, ma con il calore già catturato nel liquido di raffreddamento, pronto per eventuali collegamenti con reti di riscaldamento esterne”.

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