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Recuperare calore dei Data Center: Nord Italia come Nord Europa



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Secondo A2A, grazie al teleriscaldamento Milano riuscirebbe a usare due volte l’energia richiesta dai suoi futuri data center. Recuperare il calore di scarto in zone così densamente popolate, anzi, conviene. La tecnologia è pronta e sarebbe la stessa già applicata nel Nord Europa, diversa resta invece la mentalità. 

Pubblicato il 5 apr 2024

Marta Abba'

Giornalista



data center energia pulita

L’Italia, per lo meno alcune zone del suo territorio, dovrà rivedere le proprie infrastrutture energetiche per alimentare i data center annunciati entro il 2025. Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano recentemente creato proprio per monitorare queste strutture, 23 organizzazioni hanno intenzione di realizzarne una, spingendo in alto la potenza energetica nominale di almeno 80MW ciascuno.

Si tratta di numeri nazionali, ma Milano vi contribuisce in modo significativo (Terna parla di richieste di allacci pari a 4GW nell’area Milanese) essendo stata scelta da molti come sede per custodire i dati. Potrebbe ambire a diventare uno dei nuovi hub di data center emergenti, strappando un po’ di dati e mercato ai FLAP-D (Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Dublino).

Perché non usare l’energia due volte?

Sull’accelerazione registrata nel 2023 nel mercato dei data center italiano e alle nuove incoraggianti prospettive, cala in parte l’ombra dei consumi energetici. Una preoccupazione che è lecito, anzi, doveroso, avere, ma che deve essere affrontata con strategie ampie e ragionate, senza slogan né illusorie ricette pronte.

“La maggior parte si interessa a come rendere pulita l’energia che alimenta i data center, ma pochi pensano alla possibilità di utilizzarla due volte, una volta erogata” spiega Daniele Pasinelli, Ingegnere Energeticoresponsabile di Ricerca e Sviluppo Nuove Tecnologie di A2A Calore e Servizi. Dopo aver “supportato” l’attività del data center, infatti, quella stessa energia, ormai termica, può infatti essere riutilizzata per scaldare gli edifici grazie ai sistemi di teleriscaldamento.

Il recupero di calore da data center figura come uno dei progetti allo studio nel piano di A2A per Milano ed effettivamente i dati mostrano che lo spazio e l’opportunità ci sarebbero.

A Milano, nel 2022, gli appartamenti teleriscaldati in città erano 240 mila, grazie a una rete di 375 km che copre il 12% del fabbisogno di riscaldamento totale. “Tutto il resto è un mercato potenziale, ed è molto ampio – commenta Pasinelli – si tratta di edifici oggi riscaldati principalmente con gas metano o gasolio che utilizzano quindi energia da fonti fossili. Sostituire tutto questo con il teleriscaldamento che recupera il calore dei data center vorrebbe quindi dire abbattere i consumi energetici dell’intera città”.

Pasinelli racconta di aver visitato diversi impianti del Nord Europa e conferma che “la tecnologia e i meccanismi potrebbero essere identici anche nel Nord Italia”. I data center vengono raffreddati con circuiti ad acqua a 20-30 gradi, dai quali si può recuperare calore. Solitamente l’acqua viene raffreddata utilizzando la temperatura dell’aria esterna o mediante l’utilizzo di chiller, se la si fa però convogliare in un impianto di teleriscaldamento il suo destino cambia: la si porta da 20-30 gradi a 80-90 con l’ausilio di pompe di calore e la si indirizza verso zone abitate da scaldare.

Ci sono situazioni in cui devono essere inseriti dei chiller (dispositivi per lo smaltimento del calore) che, essendo alimentati da energia elettrica, aumentano il PUE (Power Usage Effectiveness) del data center. “In Italia in molti casi al Nord questo accade anche durante la stagione termica, ovvero quando gli impianti di riscaldamento sono accesi. Quindi, grazie al recupero di calore sul teleriscaldamento, il data center evita i consumi di energia dei chiller, riducendo di conseguenza il PUE e migliorando ulteriormente il livello di sostenibilità del data center” spiega Pasinelli.

Il potere della densità del Nord Italia

Per molti e per tanto tempo, il recupero di calore da data center tramite teleriscaldamento sembrava un’opportunità riservata al Nord Europa. Ora che Milano coltiva grandi ambizioni nel mercato dei centri dati, le posizioni stanno cambiando. Secondo Pasinelli nell’Italia settentrionale questo tipo di strategia è applicabile senza troppe differenze rispetto agli impianti che racconta di aver visitato in Finlandia e Danimarca. “È diversa la lunghezza della stagione termica, da noi più breve, ma bisogna tener conto che le nostre aree sono molto più densamente popolate. Il fabbisogno legato al riscaldamento rappresenta quasi il 30% di quello energetico totale, quindi, c’è una potenzialità rilevante per il recupero di calore, nonostante si pensi sempre all’Italia come a un Paese caldo” spiega Pasinelli.

Un’altra differenza che rimarca riguarda l’estensione delle reti: “nei Paesi nordici quelle di teleriscaldamento sono molto più estese e capillari, quindi, le temperature al loro interno possono essere più basse, ma il gap da colmare all’uscita dal data center resta simile” aggiunge.

Dal pensare che fosse una opportunità solo per Paesi scandinavi, si passa a sospettare che anche per il nostro potrebbero esserci gli stessi vantaggi, e forse anche benefici maggiori. “Il teleriscaldamento rende di più in zone densamente abitate, per cui Milano rappresenta un’area ideale per questa tecnologia – spiega Pasinelli – Rispetto alla Finlandia, molto meno popolata, qui la rete sarebbe ancora più efficace e vantaggiosa. Il data center assieme al teleriscaldamento costituisce infatti una fonte di calore continua, costante e assicurata. Non fa rumore e crea lavoro su territorio”.

Mentalità e burocrazia ostacolano più della temperatura

Forse perché molti cittadini non hanno familiarità con queste strutture come invece accade nel Nord Europa, in Italia esiste ancora una forte diffidenza. Anche il teleriscaldamento in sé è ancora relativamente diffuso. “Non siamo abituati a vedere infrastrutture per il trasporto del calore per le nostre vie e spesso non si comprende quanto il calore distribuito sulle reti di teleriscaldamento abbia un bassissimo impatto ambientale. C’è un forte problema di accettazione da risolvere legato a un gap culturale che va colmato” commenta Pasinelli, indicando altre due criticità da affrontare, se si vuole recuperare il calore dei futuri data center. Una burocratica e una economica: nulla a che vedere con la tecnologia.

Nel primo caso, Pasinelli si riferisce ai permessi che non sono scontati da ottenere. Quelli per l’installazione e il passaggio della rete di teleriscaldamento: “per questo è importante che il data center sia vicino a zone densamente popolate per massimizzare l’efficacia del recupero di calore. Infatti, la quantità di energia termica messa a disposizione dei data center è rilevante ed è paragonabile ad i consumi di riscaldamento di grandi città”. I tubi costano molto, rendono l’investimento iniziale piuttosto coraggioso da compiere e non sempre ci sono i fondi e la volontà di investire per cogliere l’opportunità. Dipende da quanto i privati e le istituzioni, assieme, faranno in modo che il business sia sostenibile.

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